Quando in piena crisi del debito sovrano Carlo Cimbri pilotò Unipol verso il salvataggio di FonSai l’impresa poteva sembrare ambiziosa fino all’azzardo. Non solo per le fibrillazioni dei mercati ma anche perché dal capezzale del gruppo di casa Ligresti erano scappati player di peso come la francese Groupama, a cui il dossier era stato sottoposto da Vincent Bolloré. Qualcuno scrisse di un salto nel vuoto per via Stalingrado, che però alla fine completò la missione malgrado le bordate delle Procure e i colpi di coda dei Ligresti. L’integrazione di FonSai non fu meno complessa, ma oggi nella city milanese pochi dubitano che 8 anni fa Cimbri abbia fatto un affare. Un affare che deve molto alla Mediobanca di Alberto Nagel con cui Unipol ha mantenuto ottimi rapporti, come dimostrano la vicenda Ieo-Monzino e il ritorno della compagnia nel capitale di Piazzetta Cuccia. FonSai però non è stato un punto di arrivoma una linea di partenza per la compagnia bolognese.
Da allora il terreno di conquista è cambiato. Il banchiere Enrico Cuccia aveva una passione per le assicurazioni, ritenendo a ragione che le loro riserve fossero il misconosciuto tesoretto della finanza italiana. Cimbri vede le cose da una prospettiva opposta e, muovendo dalle polizze, ha progressivamente spostato l’attenzione sul sistema bancario. Se ai detrattori piace parlare di un’ossessione nata con la sfortunata scalata alla Bnl del 2005 (quella che portò Piero Fassino a esclamare «abbiamo una banca»), va detto che alla strategia di mister Unipol non mancano solide basi industriali: in un periodo di bassa redditività per il credito tradizionale la bancassurance è una proficua fonte di ricavi e una direttrice strategica da sfruttare. Così nel 2016 Bologna è entrata nel capitale di Bper. La ex popolare guidata da Alessandro Vandelli aveva un forte radicamento in alcune regioni ma mostrava una certa ritrosia a compiere quel balzo che l’avrebbe proiettata in una dimensione nazionale. Il nuovo socio ha fornito il pungolo necessario per rompere gli indugi e sedersi ai grandi tavoli della finanza. Così, dopo una fruttuosa colazione tra Cimbri e il ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, a fine 2019 ha preso forma l’operazione Ubi, nell’ambito della quale Bper-Unipol si è aggiudicata una corposa fetta della rete del gruppo bresciano-bergamasco. Qualcuno ha giudicato rischioso ampliare così tanto un network commerciale nell’era delle app e dell’home-banking, ma l’operazione ha definitivamente sprovincializzato il gruppo modenese come Bologna chiedeva da tempo.
Chi oggi pensa che le ambizioni di Bper-Unipol si fermeranno qui probabilmente si sbaglia. Di certo, chiuso l’aumento di capitale, in queste settimane il top management della banca è impegnato nel processo di integrazione delle filiali Ubi. Al vertice però si guarda già oltre. Come nella crisi del 2012, anche nella pandemia del 2020 investitori sufficientemente determinati possono fare affari. Il target più naturale sarebbe un istituto con qualche centinaio di sportelli, molte sinergie e una lunga consuetudine con Bper. L’identikit è quello della Popolare di Sondrio, che tra l’altro, diventerà società per azioni entro fine 2021 e vorrà certamente evitare manovre ostili. Al mercato non è sfuggito che proprio nei mesi scorsi Unipol ha fatto capolino nel capitale dell’istituto valtellinese acquistando poco meno del 2%. L’operazione sulla carta c’è tutta, ma forse non basterebbe a placare l’appetito di Bper-Unipol. Ecco allora farsi strada un’opzione più ambiziosa ma altrettanto razionale: Banco Bpm. Nei mesi scorsi il blitz di Intesa su Ubi ha privato Piazza Meda del suo partner naturale lasciando il ceo Giuseppe Castagna a bocca asciutta. Il banchiere ha esplorato molte possibilità: da un matrimonio con Unicredit a un’integrazione con il Crédit Agricole fino a un’acquisizione del piccolo ma rodato Credito Valtellinese. E, se negli ultimi giorni in qualche banca d’affari si mormora anche di ammiccamenti tra Banco e Bnl, l’ipotesi che, come anticipato nei giorni scorsi da MF-Milano Finanza, sta prendendo quota è quella di un merger sull’asse Milano-Modena.
Banco Bpm e Bper hanno molto in comune. Non solo la contiguità territoriale e le comuni radici cooperative, ma anche più di un tentativo di fidanzamento. Qualche manager a Milano come a Modena ricorda ancora l’abortito matrimonio del 2007 quando gli influenti e litigiosi sindacati della Bpm stracciarono un contratto già pronto, con tanto di concambio. Dopo anni burrascosi in Piazza Meda l’ipotesi riprese quota nel 2015, quando, in vista della trasformazione in spa, l’istituto già guidato da Castagna si mise alla ricerca di un partner. Anche in quel caso il progetto tornò presto nel cassetto e Bpm preferì concedersi al Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti. Oggi però le premesse per un terzo tentativo ci sono tutte e Lazard (advisor di Banco Bpm) avrebbe iniziato a studiare il dossier da un mese. L’idea di riuscire dove il rivale Victor Massiah ha fallito piace parecchio a Castagna. Secondo Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim specializzato nel settore bancario, da un fusione tra Banco e Bper nascerebbe il secondo player per dimensione sul mercato domestico con una quota del 13,6% negli sportelli (quindi davanti a Unicredit). Il 62% delle filiali inoltre sarebbe concentrato nel Nord del Paese, dove la quota di mercato si aggirerebbe attorno al 15% (19% in Lombardia). In termini di governance Unipol resterebbe il primo azionista del nuovo gruppo con l’8%, mentre la Fondazione Banco di Sardegna sarebbe seconda al 4%. Con il contributo delle fondazioni e di alcuni imprenditori si potrebbe insomma dar vita a un nocciolo stabile vicino al 15%, cosa che oggi manca al Banco e lo espone a possibili raid esterni. Sul fronte industriale poi Unipol potrebbe sfruttare il change of control di Cattolica per subentrare nell’accordo bancassicurativo e quindi stringere ancora di più il legame con la nuova realtà.
Si sa che il diavolo sta nei dettagli e che la trattativa per una fusione è costellata di imprevisti. Di certo però le premesse per un merger of equal ci sono. Nella city milanese c’è peraltro chi ritiene che l’obiettivo di Castagna fosse da tempo Bper e che quella dell’Agricole sia stata una falsa pista data in pasto al mercato. E Cimbri? Le dichiarazioni rese venerdì 20 dimostrano che il numero uno di Unipol è pronto a chiudere il secondo big deal dell’anno in barba alla recessione e alle fibrillazioni delle borse. E poi? Da workaholic della finanza è difficile immaginarlo inattivo per un lungo periodo e nelle banche d’affari c’è chi si diverte a immaginare la prossima mossa nello scacchiere del credito. Un conglomerato Banco-Bper-Unipol potrebbe muoversi in diverse direzioni. Magari verso un’operazione di sistema che metta in sicurezza Mps, ove mai Unicredit si sfilasse dalla partita. Oppure potrebbe rafforzare la propria presenza nell’investment banking e nel wealth management, mettendo Mediobanca al sicuro da appetiti italiani o stranieri. Suggestioni a parte, sul tavolo c’è un’ipotesi molto concreta che nelle prossime settimane sarà sottoposta alla prova dei fatti. (riproduzione riservata)