La Bce ha iniziato il ciclo di tagli con due riduzioni dei tassi di 25 punti base, una a giugno e una il 12 settembre. La Fed non si è ancora mossa ma tra pochi giorni, il 18 settembre, potrebbe raggiungere Francoforte in una sola seduta. I mercati hanno iniziato a scontare in misura maggiore la probabilità di una maxi-sforbiciata negli Usa. Venerdì 13 settembre gli operatori erano divisi a metà tra un taglio di 25 e uno di 50 punti base.
Lo scenario negli Usa
Entrambe le opzioni hanno pro e contro. Una riduzione dello 0,5%, esplicitamente sostenuta dall’ex presidente della Fed di New York Bill Dudley, permetterebbe di abbassare i rischi di una caduta del mercato del lavoro. La banca centrale americana inoltre ridurrebbe così le probabilità di lasciarsi sfuggire proprio all’ultimo il soft landing dopo la stretta record sui tassi. A inizio agosto i mercati sono andati in cortocircuito (anche) per un dato peggiore delle attese sui posti di lavoro negli Stati Uniti: improvvisamente gli operatori hanno scontato la prospettiva di una recessione in arrivo a causa di una Fed troppo lenta a tagliare. Nei giorni successivi i timori sull’economia (peraltro in salute migliore rispetto a quella europea) si sono ridimensionati. Ma i banchieri centrali Usa ricordano bene quei giorni e alcuni vorranno evitare un bis.
Il maxi-taglio tuttavia potrebbe anche avere controindicazioni. Gli operatori potrebbero leggere nella riduzione dei tassi di 50 punti base un segnale negativo sulla salute dell’economia aumentando (anche in modo eccessivo) le attese sui tagli futuri, per esempio anticipando una serie di tagli da 50 punti base. Se così fosse, i tassi di mercato scenderebbero in modo rilevante e la Fed avrebbe vita più dura nel riportare l’inflazione definitivamente al 2% (ad agosto è arrivata al 2,5%). La maggior parte degli economisti punta così su un taglio standard da 25 punti base, ma nessuno esclude un allentamento doppio.
La banca centrale americana dovrà scegliere se prendere più rischi sul mercato del lavoro o sull’inflazione, aspetti entrambi considerati nel mandato duale della Fed, a differenza di quello della Bce. In aggiunta a tutto ciò, c’è un altro fattore importante da considerare: le elezioni presidenziali di novembre. Donald Trump ha già messo in guardia i banchieri centrali Usa: «Sanno che non devono tagliare».
Il presidente della Fed Jerome Powell a Jackson Hole ha sottolineato che «è arrivato il tempo di aggiustare i tassi». Il membro del board Cristopher Waller, considerato un falco, si è detto in favore di una mossa dello 0,25%. Il presidente della Fed di New York John Williams ha fatto sapere che deciderà all’ultimo. Unicredit si aspetta tagli per 75 punti base quest’anno e per 125 l’anno prossimo. I mercati monetari scontano 115 punti base entro fine 2024 (contro 40 nell’Eurozona) e 240 entro luglio 2025 (contro 150 nell’Eurozona).
Il quadro nell’Eurozona
In questo quadro non ci sono più le prospettive di qualche mese fa su una possibile divergenza tra Fed e Bce, anzi la banca centrale Usa potrebbe accelerare e superare presto quella europea. Francoforte è in anticipo e ha già varato il secondo taglio. Ma al momento gli analisti sono concordi nel ritenere improbabile una riduzione Bce a ottobre, anche a causa dei pochi dati economici in arrivo prima della prossima riunione. Il terzo taglio del 2024 così dovrebbe arrivare a dicembre.
Riguardo a ottobre, la presidente Christine Lagarde ha detto che la Bce potrebbe considerare una riduzione dei tassi in caso di una forte battuta d’arresto dell’economia, mentre a dicembre il quadro sarà più completo con le nuove proiezioni. Peraltro Lagarde ha aggiunto che l’inflazione a settembre sarà bassa ma un singolo dato non basterà per ridurre i tassi.
In generale però i banchieri centrali europei, anche i falchi, sono consapevoli che l’economia è bloccata con scarse prospettive di ripresa. Inoltre non è escluso che l’inflazione possa scendere sotto l’obiettivo del 2%. «Dobbiamo essere attenti al rischio di undershooting così come a quello di overshooting» sul carovita, ha ricordato il governatore francese François Villeroy de Galhau. Il banchiere centrale ha aggiunto che gli ultimi dati sull’attività economica sono stati «piuttosto deludenti», con una crescita derivante soprattutto dalla spesa pubblica e dalle esportazioni. Inoltre Villeroy ha osservato che sull’inflazione le aspettative di mercato sono inferiori a quelle Bce, invariate a settembre rispetto a giugno.
Anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel ha osservato che l’aumento dei salari e il carovita nei servizi scenderanno in ritardo rispetto all’inflazione complessiva, come rileva da tempo il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta. Secondo Nagel e altri falchi, tuttavia, la crescita è debole per fattori strutturali, quindi i tassi dei tagli possono far poco. Il membro del board Bce Piero Cipollone ha invece sottolineato nei giorni scorsi che l’Europa ha un «disperato bisogno di investimenti e crescita».
Le reazioni degli economisti
Nonostante il taglio del 12 settembre, molti economisti hanno evidenziato il rischio per Francoforte di frenare troppo l’economia. «I dati finiranno per spingere la Bce ad accelerare il ciclo di tagli, con una riduzione per riunione, a partire da marzo 2025», secondo BofA che però ipotizza anche un anticipo del ritmo accelerato da fine 2024. Lo scenario base è quello di un tasso sui depositi al 2% al massimo entro settembre 2025, con ulteriori interventi nel 2026. Goldman Sachs stima tassi al 2% a luglio: «La riunione di dicembre mostrerà un declassamento delle prospettive di inflazione, evidenziando la necessità di una normalizzazione della politica monetaria».
«Se c’è una preoccupazione, sembra essere il rallentamento della domanda», rileva Pictet WM. «Perciò il rischio è che le riduzioni dei tassi siano più consistenti e più rapide». Per Citi la Bce è «relativamente insensibile ai dati deludenti sulla crescita e incline a una stretta eccessiva. Un’accelerazione dei tagli quest’anno rimane improbabile, mentre è più probabile che le riduzioni siano più rapide e/o più ingenti l’anno prossimo». Ing osserva: «Se valutiamo l’andamento dell’economia dell’Eurozona nei prossimi mesi, ci aspettiamo che la Bce finirà per accelerare il ritmo di ulteriori tagli dei tassi. Non quest’anno ma il prossimo perché le trattative salariali tedesche indicano ancora una certa vischiosità dell’inflazione». Per gli economisti della banca olandese comunque «sembra solo questione di tempo prima che le prospettive di crescita più fosche si traducano in tagli dei tassi più aggressivi». (riproduzione riservata)