Startup: viaggio in Israele, la Silicon Valley del Mediterraneo alle prese con Svb e rivolte interne
Startup: viaggio in Israele, la Silicon Valley del Mediterraneo alle prese con Svb e rivolte interne
Grazie alle strategie di governo ed esercito il Paese è una culla per aziende innovative: 15 miliardi di dollari di investimenti privati annui e 63 unicorni. Ma il crack della Silicon Valley Bank e le proteste interne ora minacciano questo Eldorado

di di Marco Capponi 31/03/2023 21:00

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Negli uffici dell’unicorno della cybersecurity Pentera, a Tel Aviv, appena metà delle postazioni sono occupate. I dipendenti in bermuda e t-shirt alternano il lavoro a partite di flipper su una console anni Novanta. In sala comune, poggia-bicchieri con frasi motivazionali vecchia scuola: «Punta all’eccellenza»; «Lavoro di squadra». L’ufficio non è mai pieno: «Lo stipendio da solo non basta per avere i migliori talenti», spiega la responsabile dei rapporti con la stampa. «Offriamo yoga, sala giochi e ovviamente lo smart working». A Tel Aviv, capitale hi-tech di Israele e cuore pulsante della Silicon Valley mediterranea, essere uno startupper di successo consente, tra ospitate in tv e selfie in strada, di avere lo status di una rockstar.

La rivolta del tech 

Ma nelle ultime settimane Tel Aviv e Israele sono in fermento. Il giorno precedente migliaia di lavoratori del settore tecnologico erano in piazza a protestare contro il governo di Benjamin Netanyahu. Chiedevano al primo ministro di bloccare la riforma della giustizia che darebbe al potere esecutivo un controllo su quello giudiziario: provvedimento che secondo David, ingegnere informatico, «farà fuggire da Israele startupper e investitori: chi mette il suo denaro in un posto dove il governo può fare quel che vuole con la tua proprietà e i tuoi soldi?». In piazza con lui c’erano anche i rappresentanti dei fondi di venture capital, circa 400 nel Paese. Gli investimenti di capitali di rischio in startup israeliane hanno raggiunto quota 15 miliardi di dollari nel 2022, peraltro in calo dai quasi 26 del 2021. In Italia, per fare un confronto, lo scorso anno è stato quello del record storico, con investimenti pari a 2 miliardi.

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Dove cavalcano gli unicorni

La storia dell’innovazione in Israele risale al 1993, quando venne lanciato il primo fondo di venture capital in cui il governo investiva per il 15%. L’ecosistema delle startup israeliano rappresenta già da tempo un caso di scuola che ha fatto gola anche a grandi aziende italiane investitrici (due nomi su tutti: Enel e Leonardo). I numeri parlano da soli: ormai oltre il 10% dei salari del Paese è destinato al settore tecnologico, e la spesa in ricerca e sviluppo ha superato il 5,4% del pil. Gli unicorni israeliani sono 63: niente male per un Paese da neanche 10 milioni di abitanti.

Da startup a scale-up

Ora l’ambizione del governo è un’altra: «Trasformare il Paese nella nazione delle scale-up», ha spiegato Ami Appelbaum, direttore della Israel Innovation Authority, ente deputato alla regia dell’innovazione israeliana, nell’aprire i lavori di Innotech 2023, conferenza internazionale sulla tecnologia e la cybersicurezza svoltasi a Tel Aviv. Per farlo l’agenzia ha già in programma investimenti da 2,4 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni da destinare ad aree strategiche affinché costituiscano un acceleratore per i capitali privati. «Il governo non è un investitore diretto», spiega a MF-Milano Finanza Appelbaum, «ma si limita, tramite l’Authority, a fornire prestiti alle startup, che poi restituiscono il denaro tramite una quota dei ricavi inferiore al 10%». E se non fanno ricavi? «In quel caso abbiamo perso il denaro, ma abbiamo condiviso il rischio con lo startupper e con i fondi di venture capital».

Terremoto Svb

L’impatto della crisi di Svb qui è stato forte: «Molte startup israeliane avevano il proprio denaro depositato nella Silicon Valley Bank: di certo la crisi dell’istituto americano non ci lascia indifferenti», ammette Appelbaum. Il direttore dell’Authority parla di «tempesta perfetta: la guerra in Ucraina, l’inflazione, Svb, le proteste interne, sono tutti elementi che ci fanno presagire tempi duri». Allo studio del governo e dell’Innovation Authority ci sono pacchetti di stimoli specifici per supportare le startup nell’affrontare la tempesta. Ma il direttore ha una certezza: «Lo Stato di Israele è abituato alle turbolenze: supereremo anche questa».

Zuckerberg in divisa 

La forza del sistema di innovazione israeliano, secondo Appelbaum, è basata essenzialmente su sei pilastri: «Startup, multinazionali, venture capital, università, governo ed esercito». L’aspetto decisamente interessante è la forte interconnessione con il settore militare. Per capirlo bisogna spostarsi nel deserto, circa un’ora a sud di Tel Aviv, nel distretto di Beer Sheva. Mentre le proteste di piazza sono in pieno fermento c’è un ufficio, nella città della cybersecurity, che lavora a pieno regime: l’Israel Nation Cyber Directorate. A fare da poliziotti del cyberspazio sono quattro ragazzi giovanissimi, anche loro vestiti in felpa e pantaloncini, un po’ come Mark Zuckerberg degli inizi. «Sono militari di leva», spiega Erez Tidhar, direttore esecutivo dell’Incd. In Israele il servizio militare è obbligatorio, circa tre anni per uomini e donne, e tra i posti dove si può essere assegnati c’è anche la divisione di cybersicurezza, primo settore di investimento per i venture capitalist che scelgono le startup israeliane (tabella in pagina). Beer Sheva è la perfetta dimostrazione del complesso militare-industriale: ufficio pubblico, servizio di sicurezza, incubatore di startup si fondono insieme nello stesso posto. In un monitor il software fornito dall’azienda CheckPoint traccia i possibili attacchi hacker tentati in giro per il mondo: alle 11 di mattina il contatore supera quota 20 milioni. (riproduzione riservata)