Per la piena ufficialità bisognerà attendere qualche giorno, ma informalmente Bruxelles avrebbe già dato luce verde al salvataggio della Popolare di Bari, l’istituto commissariato alla fine dell’anno scorso per gravi irregolarità gestionali. In questi mesi i tecnici dell’Antitrust europeo guidato da Margrethe Vestager, in stretto contatto con il ministero dell’Economia italiano, hanno seguito da vicino il lavoro dei commissari straordinari Enrico Ajello e Antonio Blandini e delle altre istituzioni coinvolte sul dossier. Il percorso non è stato semplice perché, se da un lato Bruxelles ha richiesto il rispetto delle regole sulla concorrenza, dall’altro lato il sistema bancario e il Tesoro hanno dovuto convogliare sulla popolare risorse ingenti. L’ultima versione del piano di salvataggio fissa infatti il fabbisogno di capitale a 1,6 miliardi di euro a seguito della doppia due diligence condotta in parallelo dal Fitd (affiancato da Kpmg) e dai commissari (coadiuvati da Oliver Wyman). Si tratta di un importo superiore rispetto a quello ipotizzato nel dicembre scorso, subito dopo il commissariamento della banca, ma la scelta era nell’aria.
Il fardello del salvataggio ricadrà in larga parte sulle spalle del Fitd, che dovrà staccare un assegno da 1,17 miliardi. L’altro attore della partita, il Mediocredito Centrale, non si impegnerà invece per una cifra superiore a 430 milioni. Pur impegnando una somma inferiore rispetto ai 700 milioni ipotizzati inizialmente, Mcc (che proprio nei giorni scorsi ha presentato alla Vigilanza istanza formale) assumerà comunque il pieno controllo della banca, di cui gli attuali azionisti avranno soltanto una quota residuale. Il Fitd invece non avrà azioni, visto che il suo intervento (il più cospicuo nella pur lunga storia del veicolo guidato da Giuseppe Boccuzzi e presieduto da Salvatore Maccarone) servirà solo per coprire le perdite dell’istituto. Si vedrà se altri soggetti vorranno investire nella popolare; sembra che qualche riflessione in tal senso sia in corso ai vertici della Regione Puglia, che potrebbe acquisire una quota simbolica nella maggiore banca del Mezzogiorno. Insomma una nazionalizzazione totale. In parallelo al rafforzamento patrimoniale procederà il derisking con la cessione di un portafoglio di crediti deteriorati da circa 2 miliardi ad Amco (la ex Sga).
Ieri intanto dopo una delicata trattativa è stato raggiunto l’accordo tra la banca e i sindacati. L’intesa prevede 650 esuberi (sul totale di 2.700 dipendenti) spalmati su un arco temporale di dieci anni anche con l’utilizzo delle norme per l’anticipo della pensione Quota 100. I pensionamenti e i prepensionamenti saranno gestiti solo su base volontaria e permetteranno un risparmio di 67 milioni, meno rispetto ai 70 milioni inizialmente chiesti dai commissari. Saranno chiuse 91 filiali, anche in questo caso con una riduzione rispetto alla richiesta dei commissari di 94. Scongiurata qualsiasi ipotesi di esternalizzazione, mentre verranno confermati tutti i contratti di lavoro a tempo determinato. Nell’accordo non hanno trovato spazio né i riferimenti alla legge 223 del 1991 sui licenziamenti collettivi né i riferimenti al demansionamento dei lavoratori.
A questo punto entro sabato i commissari dovrebbero convocare gli azionisti per l’assemblea straordinaria che tra il 28 e il 30 sarà chiamata a votare il piano di salvataggio. Il rafforzamento patrimoniale è previsto nel corso dell’estate mentre a settembre, contestualmente all’uscita dal commissariamento, potrebbe essere convocata una nuova assemblea per eleggere il cda targato Mcc. Difficile prevedere quale sarà la strategia dell’istituto ricapitalizzato, ma già oggi si respira una certa soddisfazione in alcuni ambienti della maggioranza di governo. La ricostituzione di una banca pubblica in un bacino elettorale strategico come il Mezzogiorno era del resto un obiettivo che più di un partito si era prefissato a inizio legislatura. (riproduzione riservata)