Se l’ondata si avvicina
Se l’ondata si avvicina
Nel 2020 lo stock di crediti deteriorati è sceso, ma per i prossimi due anni PwC prevede un brusco aumento. Per contrastarlo servirà un lavoro di squadra tra le banche, i servicer e gli operatori specializzati

di Luca Gualtieri 19/12/2020 02:00

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Qualcuno la definisce «quiete prima delle tempesta». Certamente, se il 2020 è stato l’anno della pandemia e dei lockdown, il 2021 potrebbe essere il momento in cui il sistema finanziario farà i conti con gli effetti del Covid. In prima linea ci saranno soprattutto le banche che negli ultimi nove mesi sono state chiamate a supportare l’economia reale con importanti iniezioni di liquidità e con ampi programmi di moratoria. Le conseguenze principali si vedranno nel credito deteriorato, un settore su cui gli istituti italiani hanno lavorato intensamente negli ultimi cinque anni ma che è destinato a restare caldissimo anche nei prossimi 12-24 mesi.
Ne sono convinti gli esperti di PwC, che nel nuovo report dedicato a questo mercato tracciano una serie di previsioni sull’anno che verrà: «Il combinato disposto di moratorie, prestiti garantiti e cassa integrazione ha contribuito finora a sostenere l’economia reale e ha correttamente evitato che si verificasse una crescita straordinaria dello stock di crediti non performing», spiega Pier Paolo Masenza, partner e Financial Services leader di PwC Italia. «Ecco perché ancora non vediamo gli effetti della crisi: nel 2020 il totale dei crediti deteriorati in Italia scenderà probabilmente a circa 115/120 miliardi rispetto ai 130 miliardi di fine giugno e ai 135 miliardi di dicembre 2019. Non ci sono stati afflussi significativi e molte operazioni di cessione hanno ulteriormente abbattuto lo stock». Anche sul fronte degli accantonamenti le banche sono state caute: i grandi istituti hanno per lo più aumentato il presidio sul bonis, lasciando pressoché inalterate le coperture sugli npe.
Che cosa accadrà nel 2021? Molto dipenderà dalla durata delle misure di sostegno all’economia che dovrebbero restare in vigore almeno fino a metà anno. «A fronte di afflussi significativi le banche vorranno quantomeno conservare l’npe ratio raggiunto finora. Ci aspettiamo sforzi significativi in questa direzione, tenendo conto che i nuovi flussi saranno rappresentati principalmente da un’asset class complessa da trattare come gli unlikely to pay», spiega Masenza. «Se infatti finora il derisking del sistema bancario ha riguardato soprattutto portafogli di sofferenze ceduti in molti casi con l’assistenza di garanzia statale (gacs), gli utp richiedono un approccio diverso. Per questo pensiamo che ci dovrebbe essere un’azione di sistema, rappresentata da una vera e propria alleanza tra tutti gli attori, per sostenere le imprese in difficoltà da un punto di vista finanziario e industriale».
I soggetti che potrebbero entrare nella partita degli utp sono numerosi. Si va da nuove tipologie di investitori come i fondi di credito (che possono fornire sia nuova finanza sia le competenze per la gestione industriale) a operatori specializzati nel real estate, fino a soluzioni guidate dal pubblico come per esempio Amco o il Patrimonio Destinato di Cassa Depositi e Prestiti. «L’obiettivo dovrebbe essere sostenere il tessuto economico ed evitare alle banche un incremento straordinario in termini di provisioning. Con un’opportunità aggiuntiva: in un periodo di bassi rendimenti un’evoluzione possibile del mercato degli npe può essere l’ingresso di nuove categorie di investitori come i fondi pensione, i family office o la clientela private. Riteniamo che questi soggetti possano svolgere un ruolo importante di sostegno all’economia reale e avere un ritorno adeguato in termini di rischio/rendimento acquistando per esempio quote di fondi con diritti privilegiati o note senior dai veicoli di cartolarizzazione», spiega Gabriele Guggiola, regulatory deals leader di PwC Italia.
Anche chi già opera sul mercato dovrà affrontare sfide altrettanto impegnative. «Negli anni scorsi si è discusso molto sulla crescita dei servicer. Dopo aver industrializzato i processi e aver acquisito competenze specializzate nel mondo delle sofferenze, oggi l’evoluzione a cui sono chiamati questi soggetti sarà gestire in maniera efficace il mondo degli utp. Questo percorso è cominciato nell’ultimo periodo e richiederà ulteriore focalizzazione agli operatori. Si tratta del resto di una sfida molto impegnativa che richiede soprattutto una gestione industriale del sottostante con una vera e propria attività di turnaround management», puntualizza Masenza.
Come muoversi? «Mi aspetto soprattutto soluzioni innovative e distintive, tra cui anche alleanze con operatori specializzati che supportino il turnaround delle imprese in difficoltà. L’aspettativa è che nel prossimo anno l’accelerazione sarà forte: nessuno vorrà correre il rischio di restare indietro», conclude Masenza. (riproduzione riservata)