Private equity, agosto in frenata: in porto solo 16 deal. Ma il 2023 resta ancora su livelli record: ecco perché
Private equity, agosto in frenata: in porto solo 16 deal. Ma il 2023 resta ancora su livelli record: ecco perché
Pesa l’effetto tassi d’interesse, ma ancora è presto per parlare di crisi. Nel 2023 messe a segno 259 operazioni totali, le stesse del 2022. I dati dell’Osservatorio Pem

di di Marco Capponi 18/09/2023 20:00

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Le grandi operazioni del mese, dall’investimento di 100 milioni di Fsi in Nice al deal che permetterà a Fondo Italiano d’Investimento di arrivare fino al 33% del capitale di Rina (con iniezione di capitale di massimi 180 milioni), non sono sufficienti a tamponare la frenata di agosto del private equity italiano, arenatosi a 16 investimenti totali, sensibilmente meno sia dei 27 del 2022 sia dei 25 del 2021. L’evidenza emerge dall’Osservatorio Pem di Liuc-Business School (realizzato in collaborazione con Aifi e con il contributo di Deloitte, Di Luccia & Partners, Fondo Italiano d’Investimento sgr, McDermott Will&Emery e Value Italy sgr), che sanciscono per l’industria dei capitali privati il peggior mese da aprile 2021 a livello di operazioni registrate (considerando però i soli mesi raffrontabili, quindi da gennaio ad agosto dei tre anni presi in esame).

L’effetto tassi pesa sulle tempistiche

Una possibile spiegazioni delle frenata estiva la fornisce Emidio Cacciapuoti, partner di McDermott Will&Emery: «La flessione registrata nel mese di agosto, così come quella di gennaio (24 investimenti, ndr), è principalmente dovuta alle difficoltà, spesso solo contingenti, nella fase di negoziazione del deal». Con l’incremento dei tassi d’interesse, aggiunge, «si fa sempre più ricorso a fonti di finanziamento alternative rispetto alle banche, le quali richiedono un maggior grado di sofisticazione della struttura d’investimento allungandone i relativi tempi di esecuzione».

L’effetto tassi sarebbe quindi arrivato anche sul private equity, che finora sembrava più immune, ma più che le operazioni in sé sarebbero le tempistiche a risentirne maggiormente. «I gestori di private equity», conclude a tal proposito Cacciapuoti, «rimangono molto attivi nella ricerca e individuazione delle opportunità d’investimento».

Crisi? Giudizio sospeso

L’Osservatorio, non a caso, ha «prudenzialmente sospeso il giudizio» su una possibili crisi del settore, rimandando una qualsiasi riflessione almeno dopo il dato di settembre, considerando anche il fattore della stagionalità agostana.

D’altro canto non si può dire che finora il 2023 del private equity sia proceduto col freno a mano: tolta la parentesi negativa di agosto (e la parziale frenata di gennaio) il settore ha archiviato i primi otto mesi dell’anno con 259 operazioni andate in porto, esattamente lo stesso numero del 2022 dei record e 20 in più rispetto al 2021. Merito anche del mese di luglio, che con 49 deal era stato in assoluto il migliore della serie storica dal 2021 a oggi (periodo gennaio-agosto).

Pochi add-on rispetto alla media storica

Entrando nel merito delle operazioni agostane, il 63% è riconducibile a buy out mentre gli add-on (aggregazioni) hanno rappresentato solo il 6%. Questo dato, in controtendenza rispetto all’ultimo triennio, «costituisce elemento di nuova linfa al mercato, in quanto determina l’ingresso nel circuito diretto del private equity di nuove imprese da guidare lungo processi di crescita e sviluppo», si legge in una nota. (riproduzione riservata)