Da FinecoBank a Banca Generali fino ad Azimut. Ecco tutte le azioni che potrebbero beneficiare del risiko nel risparmio gestito
Da FinecoBank a Banca Generali fino ad Azimut. Ecco tutte le azioni che potrebbero beneficiare del risiko nel risparmio gestito
Basse valutazioni, commissioni in ripresa e raccolta in crescita. Oggi il contesto è ideale per un consolidamento del settore, ma gli eventuali corteggiatori potrebbero incontrare diversi ostacoli sulla strada delle nozze

di di Luca Gualtieri 26/07/2024 19:00

Ftse Mib
33.291,39 8.04.37

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Dax 30
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Euro/Dollaro
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Nell’ultima settimana le azioni dell’industria italiana del risparmio sono cresciute. La smentita di un interesse per FinecoBank da parte di Zurich non è bastata a spegnere le speculazioni del mercato dove molti scommettono ancora su un consolidamento nel settore. Le ragioni sono almeno un paio.


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Le occasioni di acquisto

Da un lato negli ultimi due anni le valutazioni dei principali asset manager quotati sono scese, determinando così un’occasione di acquisto per i possibili predatori. Dall’altro lato, dopo una fase di frenata sul fronte del gestito, nell’industria è tornato il sereno e le aspettative sui fondamentali sono andate migliorando. Questi elementi spianeranno la strada a operazioni di m&a? Non è scontato, soprattutto perché gli eventuali corteggiatori potrebbero incontrare diversi ostacoli sulla strada delle nozze.

La frenata da 2023

Se il risparmio è il petrolio della finanza italiana, l’asset management è sempre stato uno dei fiori all’occhiello di Piazza Affari. Nel 2023 però il quadro si è complicato. La concorrenza serrata dei titoli di debito pubblico (con il conseguente passaggio di risorse dal gestito all’amministrato) unita all’incertezza sullo scenario macroeconomico e all’ondata di riscatti dalle polizze Vita, ha provocato deflussi che Assogestioni ha quantificato in 50 miliardi di euro. Queste criticità sono andate a sommarsi ad alcuni fenomeni di più ampio respiro come l’affermazione del trading a basso costo e la proverbiale resistenza degli italiani a togliere il denaro dai conti correnti.

L’effetto sui titoli

Vero è che la rapida salita dei tassi ha spinto i ricavi da margine di interesse per gli asset manager con licenza bancaria, ma complessivamente questo quadro ha avuto un effetto negativo sui titoli quotati. Si è verificato quello che gli analisti chiamano de-rating, cioè una situazione in cui gli investitori riconoscono un prezzo più basso alle azioni di una società. Un recente report di Equita segnala che all'inizio del 2022 la valutazione media espressa dal multiplo price/earnings era di circa 15 volte gli utili, mentre attualmente è scesa 10,6 volte (la mediana è 9 volte).

Nemmeno il primo trimestre di quest’anno è stato incoraggiante. Tra gennaio e marzo le sgr associate ad Assogestioni hanno registrato deflussi complessivi per 6 miliardi, anche se il patrimonio dei fondi comuni è comunque salito di 40 miliardi grazie al rally delle borse.

La svolta è arrivata solo a fine primavera. I dati di maggio e giugno mostrano una graduale inversione di tendenza per il settore, fotografata anche nei risultati semestrali presentati in questi giorni. I flussi gestiti stanno tornando a crescere grazie alla minore attrattività dei btp, mentre le commissioni sono in rialzo e il margine di interesse rimane robusto.

Già a inizio anno gli analisti di Mediobanca avevano parlato di un possibile cambio di passo: «Pensiamo sia giusto diventare più costruttivi e aspettarci una rivalutazione generale del settore durante l'anno. (...) Si prevede che una maggiore qualità dei ricavi porterà anche a valutazioni migliori e ciò è ancora più probabile considerando le valutazioni minime a cui la maggior parte dei player sta attualmente negoziando», spiega l’Italy – 2024 Outlook di piazzetta Cuccia.

Così è stato. Da inizio anno il settore ha battuto gli indici Ftse Italy All-Share ed Eurostoxx600 rispettivamente del +3,5% e del +9%. Lo spazio per crescere è però ancora ampio, se si prendono come riferimento i prezzi di inizio 2022. «Le valutazioni sono a nostro avviso interessanti, considerando i miglioramenti nelle aspettative di afflussi netti e un dividend yield solido e visibile (in media 6,1% atteso per il 2024 e 6,1% per il 2025 rispetto al 3,3% dello Stoxx600 e al 5,1% del Ftse Italy All-Share) grazie a solide posizioni di capitale», puntualizza Equita.

Cautamente positivi sono anche gli analisti di Barclays: «tassi più bassi potrebbero sostenere ulteriormente i flussi in gestione nei prossimi trimestri e quindi ci aspettiamo uno slancio gradualmente più forte nelle commissioni ricorrenti per il settore», spiega un report del gruppo inglese.

Valutazioni ancora compresse e fondamentali in crescita sono il mix ideale per un’operazione di m&a, specie in un settore affamato di economie di scala come la gestione del risparmio. L’appetito non manca soprattutto nel mondo dei fondi di private equity che da diversi mesi guardano con attenzione alle potenziali prede. Sul tavolo ci sarebbe non solo il dossier FinecoBank, ma anche quelli di Banca Generali e della nuova fintech bank di Azimut. Sono alla finestra anche operatori industriali come la svizzera Zurich (che negli anni scorsi ha comprato la rete italiana di promotori di Deutsche Bank, ex Finanza & Futuro) e la francese Amundi che ha nel radar Anima.

Senza contare la volontà di crescere espressa da alcuni istituti nazionali come Mediobanca, che cerca opportunità nel mondo del risparmio di alta gamma e si è più volte affacciata su Banca Generali. Tra le realtà medie il riposizionamento è già partito, come dimostra l’acquisizione di Kairos da parte di Anima che in precedenza aveva già messo a segno un blitz su Castello sgr.

Il consolidamento è dietro l’angolo?

Su questo punto gli analisti sono cauti. La principale ragione riguarda gli assetti proprietari degli asset manager italiani. Solo FinecoBank è una public company, mentre tutti gli altri soggetti hanno soci di riferimento alquanto tiepidi se non freddi sulle ipotesi di m&a. In aggiunta un’offerta dovrebbe incontrare il favore non solo degli azionisti ma anche delle reti che rappresentano il fulcro dell’attività. Un’aggregazione sgradita o persino ostile potrebbe infatti innescare una fuga di promotori e di portafogli di clientela, con il conseguente impoverimento della società. Un ulteriore elemento di incertezza viene dalle autorità di vigilanza. Diversi asset manager sono banche e quindi sono sottoposti alla scrupolosa supervisione di Bce e Bankitalia che potrebbero puntare i piedi su un’aggregazione. Se insomma il mercato fiuta il risiko, la strada per un’aggregazione nel mondo del gestito non sarà in discesa.


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