Giovanbattista Fazzolari è uno dei collaboratori più stretti e fidati della premier Giorgia Meloni. Alla seconda esperienza da senatore per Fratelli d’Italia, è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’attuazione del programma di governo. Sul suo tavolo a palazzo Chigi, a pochi metri di distanza dalla studio del Presidente del Consiglio, passano alcuni dei dossier più delicati dell’esecutivo. Compreso il livello dello spread, che ha toccato quota 200. Preoccupato? «Il governo è arrivato con uno spread a 230 mi sembra. E all’epoca nessuno si era preoccupato mi pare..» risponde Fazzolari in questa intervista a Milano Finanza.
Domanda. Sottosegretario Fazzolari, il Financial Times ha scritto che la luna di miele del governo Meloni con i mercati e le imprese è finita perché si faranno sentire le urgenze di finanza pubblica e le ristrettezze di bilancio, non avendo poi più l’ombrello di Mario Draghi. Come risponde?
Risposta. Se il Ft, per avere un giudizio sull’operato del governo Meloni, interpella economisti politicamente connotati come Filippo Taddei, ex responsabile economico del Pd, è difficile e direi persino ingenuo aspettarsi qualcosa di diverso.
D. Ma al di là di ciò, come risponde?
R. Detto questo, con il mondo imprenditoriale abbiamo un dialogo costante e costruttivo, remiamo nella stessa direzione. Per quanto riguarda i mercati, i dati che hanno fatto registrare da quando il governo è in carica parlano da soli. Stanno ad indicare una grande fiducia in questo governo che, accompagnata alla fiducia degli italiani, ci incoraggia a perseguire sulla strada che abbiamo intrapreso.
D. I dati, appunto. Nei quasi primi dodici mesi di governo, la Borsa ha messo a segno un più 34% (dati al 28 settembre) e lo spread si è ridotto, per poi però rialzarsi negli ultimi giorni. È solo effetto dei tassi di interesse, che crescono anche in Germania, o invece i mercati si fidano di voi dopo un’iniziale diffidenza legata al primo governo italiano a trazione di destra?
R. La Borsa rappresenta un termometro della fiducia dei mercati nel governo e dello stato di salute dell’economia nazionale. I mercati si sentono sicuramente rassicurati dal governo Meloni, percepito come affidabile, serio e stabile. E si sentono rassicurati da quanto fatto sinora dall’esecutivo, con buona pace di quanti hanno tentato di spaventare i mercati e le cancellerie estere parlando di centrodestra pericoloso e inaffidabile. Ma i fatti sono più importanti della propaganda.
D. Ecco, i fatti, quali sono?
R. L’economia italiana, nonostante il rallentamento del II trimestre, è in buona salute, Piazza Affari vola, registrando sinora la migliore performance d’Europa nell’anno, con un +23%, e tornando sui livelli pre-crisi finanziaria del 2008, risultato mai più raggiunto da allora, e lo spread è stabilmente al di sotto del livello che abbiamo ereditato quando il governo si è insediato.
D. Lo spread è tornato però a toccare quota 200, il governo è preoccupato?
R. Il governo è arrivato con uno spread a 230 mi sembra. E all’epoca nessuno si era preoccupato. mi pare.
D. Il Pil, invece, sempre nei primi dodici mesi di governo, è vicino allo zero, come lo rilancerete?
R. Il governo Meloni è entrato in carica in un periodo molto complicato dal punto di vista economico, quando, dopo il rimbalzo post-Covid, si iniziavano ad intravedere i primi segnali di un rallentamento generalizzato dell’economia globale, in un contesto segnato dalle criticità nelle catene di approvvigionamento, dalla guerra in Ucraina con la la conseguente crisi energetica, dall’impennata dell’inflazione. Un rallentamento evidente e atteso, anche dalla Commissione europea che da inizio a fine 2022 ha ridotto di 2 punti percentuali la crescita media 2023 prevista per le nazioni dell’Unione. Lo stesso governo Draghi, nella Nadef 2022, ha previsto una crescita del Pil 2023 pari ad un quarto di quella prevista nel Def di pochi mesi prima, ribassandola dal +2,4% a +0,6%.
D. Quindi sostiene che state andando meglio del previsto?
R. La verità, quindi, è che l’economia italiana sta andando meglio di quanto ci si aspettasse. Lo confermano le ultime previsioni della Commissione europea, secondo le quali nel 2023 crescerà dello 0,9%, un dato superiore a quello previsto per la media dei paesi dell’Unione europea e della zona euro (+0,8% per entrambi gli aggregati). Un dato importante, considerando che, eccezion fatta per il biennio del rimbalzo post-Covid, il Pil italiano era solito far registrare incrementi quasi sempre inferiori rispetto a quelli del resto d’Europa. Nella Nadef appena approvata, il governo, prudenzialmente, ha previsto una crescita dello 0,8% nel 2023, che sale all’1,2% nel 2024.
D. La Nadef a volte è un libro dei sogni, in concreto che programma volete attuare?
R. L’azione del governo mira a liberare le energie produttive dell’Italia, limitando la burocrazia, semplificando gli adempimenti, eliminando quei paletti che rendono l’Italia poco attrattiva, investendo per ridurre il gap infrastrutturale tra regioni italiane e con le principali economie europee, agevolando chi vuole assumere e riducendo la tassazione sul lavoro e la pressione fiscale, favorendo gli investimenti in ricerca, sviluppo e digitalizzazione, fondamentali per accrescere la produttività del lavoro, sostenendo l’economia reale piuttosto che quella finanziaria, i cui benefici sono solo per pochi e spesso non ricadono sugli italiani. Questo è ciò che stiamo facendo e continueremo a fare per sostenere la crescita.
D. Tornando alla Nadef appena approvata, vi permetterà di prorogare di un anno almeno il taglio del cuneo fiscale e di fare il primo passo della riforma fiscale con l’unificazione delle due aliquote?
R. Sì, confermeremo il taglio del cuneo contributivo, che già quest’anno ci ha permesso di aumentare le buste paga dei lavoratori con redditi medio-bassi di oltre 100 euro al mese, e daremo avvio alla prima fase della riforma del fisco iniziando dall’intervento sul primo scaglione Irpef. Il rallentamento dell’economia in corso e l’andamento dell’inflazione richiedono una politica di sostegno ai redditi reali delle famiglie, in particolare quelle con redditi più bassi, ancora più incisiva di quella sinora realizzata. Per questo proseguiremo anche sulla strada dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego, con particolare riferimento alla sanità.
D. In molti nella vostra maggioranza danno la colpa alla Bce della possibile recessione in Europa e in Italia, concorda?
R. In poco più di un anno, la Bce ha operato dieci aumenti consecutivi dei tassi d’interesse, portandoli a livelli record dal 2001. Che ciò abbia ripercussioni sull’andamento dell’economia credo sia abbastanza scontato. La politica monetaria restrittiva della Bce aveva ed ha l’obiettivo di far diminuire l’inflazione, anche rallentando la crescita economica. La stessa Banca centrale non ne fa mistero. È sufficiente ascoltare quanto affermato dal presidente Christine Lagarde nel corso della conferenza stampa nella quale ha annunciato l’ultimo aumento dei tassi: “Le condizioni di finanziamento si sono inasprite ulteriormente e frenano in misura crescente la domanda, che rappresenta un fattore importante per riportare l’inflazione all’obiettivo”.
D. Dunque per lei la Bce è un problema?
R. Non voglio alimentare la narrazione di chi dice che sono nemico delle banche centrali. Mi permetto però di far notare che non abbiamo bisogno di un’imponente struttura ricca di esperti ed economisti per limitarsi a combattere l’inflazione alzando i tassi di interesse. Per questo potrebbe bastare una semplice app sul cellulare. L’inflazione si riduce contraendo la domanda o aumentando l’offerta: dalla Bce e dalle istituzioni europee, sarebbe legittimo aspettarsi misure coordinate per combattere l’inflazione rafforzando la capacità produttiva invece che deprimendo la crescita.
D. Il vero banco di prova per il governo sarà questa manovra perché, come ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, l’aumento dei tassi costerà all’Italia 14 miliardi in più. Come vede la prossima legge di bilancio?
R. Non sarà una legge di bilancio semplice, come del resto non lo è stata la precedente quando abbiamo dovuto destinare buona parte delle poche risorse disponibili a contrastare l’emergenza del caro energia. Questa volta si aggiunge anche il fardello dei maggiori interessi sul debito, che da soli valgono più o meno la metà di quanto vale solitamente una manovra, e la catastrofe annunciata dei bonus edilizi di Conte che hanno enormemente ridotto le risorse a disposizione dello Stato per la legge di Bilancio. Sicuramente, come abbiamo confermato nella Nadef, concentreremo le risorse su alcune priorità che fanno parte del programma di coalizione e che sono avvertite come tali anche dagli italiani: famiglie e natalità, redditi e pensioni più basse, avvio dell’attuazione della delega fiscale per ridurre il carico fiscale su cittadini e imprese, lavoro, imprese e sviluppo economico, sanità.
D. Un altro terreno di scontro è la tassa sugli extraprofitti bancari. Come finirà?
R. Rivendichiamo la norma che, ribadisco, non ha nessun intento punitivo verso le banche, come ho letto da più parti. Il governo ha soltanto ritenuto giusto chiedere agli istituti di credito un contributo straordinario, da destinare alla riduzione della pressione fiscale e al fondo di garanzia per favorire il credito alle piccole e medie imprese gestito dal Mediocredito Centrale, a fronte degli elevati profitti dell’ultimo periodo dovuti ai rialzi dei tassi operati dalla Bce e alla differenza tra tassi attivi e passivi applicati.
D. Su che dati vi siete basati per la norma?
R. La differenza tra i tassi è evidente, basta leggere il rendiconto mensile dell’Abi di settembre: da agosto 2022 ad agosto 2023 i tassi medi applicati sui conti correnti di famiglie e imprese sono passati dallo 0,02% allo 0,4%. E anche considerando i depositi vincolati, non si va oltre lo 0,8% medio. Nello stesso periodo, invece, i tassi medi attivi praticati dalle banche sui prestiti a famiglie ed imprese sono aumentati di ben 2,26 punti percentuali, passando dal 2,32% al 4,48%. A tal proposito, leggevo qualche giorno fa un interessante articolo sul Corriere della Sera, scritto da Federico Fubini, nel quale si sostiene che se le banche italiane applicassero gli stessi rendimenti applicati dalle banche francesi dovrebbero corrispondere circa 11 miliardi di euro in più l’anno alle famiglie, a titolo di interessi sui loro risparmi.
D. Ma siamo in Italia: come correggerete la norma che ha suscitato tante proteste del mondo bancario e non solo?
R. Con un emendamento al decreto depositato al Senato abbiamo apportato qualche ritocco alla norma, anche ascoltando i suggerimenti pervenuti da più parti. Abbiamo innanzitutto previsto il divieto per le banche di scaricare gli oneri dell’imposta sui propri clienti: su questo aspetto vigilerà l’Antitrust. Abbiamo affinato la norma, restringendo la base imponibile in modo tale da escludere il margine di interesse sui titoli di Stato ma elevando, per garantire circa parità di gettito rispetto alla versione iniziale della norma, il tetto massimo di imposta previsto.
D. Tutto qui?
R. Inoltre, le banche potranno scegliere se versare l’imposta straordinaria allo Stato, oppure versare risorse pari a due volte e mezzo il suo ammontare ad una riserva che non può distribuire utili in modo da rafforzare il loro patrimonio e, così, potere aumentare la propria capacità di credito a famiglie e imprese. Quando le banche dovessero decidere di distribuire gli utili accantonati, allora saranno tenuti a pagare l’imposta. Per le banche di credito cooperativo si considerano destinati a tale riserva non distribuibile gli utili che già annualmente devono destinare, come stabilito dal testo unico bancario, a riserva legale. In generale si tratta di una disposizione che favorisce le banche più piccole che, solitamente, già destinano a riserva una quota rilevante dell’utile.
D. La battaglia contro l’inflazione è ancora lunga e la stessa Bce non riesce a ridurla. Pensa che le misure introdotte dall’esecutivo, da quelle sui beni alimentari a quelle sui prezzi dei carburanti e dei voli aerei, siano efficaci o forse serve un coordinamento anche europeo?
R. Il governo, sin dall’inizio della legislatura, è intervenuto per proteggere il potere d’acquisto delle famiglie italiane, consapevole dell’enorme peso che l’elevata inflazione comporta per le tasche dei cittadini e per la loro capacità di spesa. Era necessario farlo e continuerà a farlo. Lo ha fatto con diverse misure che intervengono in ambiti e settori diversi. Lo ha fatto alleggerendo la tassazione sulle buste paga medio-basse, con la super rivalutazione delle pensioni più basse, con il trimestre anti-inflazione, con la carta “Dedicata a te”, con le misure contro il caro bollette. Ma l’inflazione riguarda l’intera Europa e servirebbero misure coordinate a livello Ue per contrastarla. Il ministro Giorgetti si è più volte adoperato per questo in sede Ecofin, sottolineando, a tal proposito, come non si possa pensare di risolvere il problema dell’inflazione soltanto con una politica restrittiva dei tassi d'interesse.
D. Sempre parlando di mercati, c’è attesa per sapere se l’Italia ratificherà il Mes e se raggiungerà un accordo sul nuovo Patto di Stabilità. Può in queste senso rassicurare gli analisti e i mercati?
R. Stiamo lavorando per un accordo complessivo che sia equo e che risponda agli interessi dell’Italia. La ratifica del Mes non può essere trattata separatamente dagli altri dossier in discussione in Europa, a partire dalla riforma del Patto di stabilità.
D. Il debito pubblico corre senza freni e nei primi 24 mesi complessivi di governo Meloni e di esecutivo Draghi è aumentato di 193 miliardi. Come pensate di tagliarlo?
R. Mi rifaccio a quanto detto dal premier Giorgia Meloni nel suo discorso di insediamento: la strada maestra per ridurre il debito, l’unica possibile, è la crescita economica, duratura e strutturale. Stiamo lavorando per dare nuovo slancio all’economia e al sistema Italia, in modo da innescare una crescita sostenuta e non episodica, in grado di consentirci di ripagare l’enorme debito pubblico. Per far questo, è necessario puntare sugli investimenti e sfruttare al meglio l’opportunità offerta dal Pnrr. Allo stesso tempo, è necessario non sperperare risorse come fatto in passato.
D. Basterà?
R. Di certo, anche sul debito e sul percorso di rientro che abbiamo previsto, pesano enormemente il costo degli interessi e l’eredità del Superbonus con i crediti fiscali che, al momento della compensazione, si trasformano in fabbisogno per lo Stato e quindi in nuovo debito pubblico, non essendo coperto da altre entrate. E, al momento, nei cassetti dell’Agenzia delle Entrate ci sono altri 80 miliardi di crediti che attendono di essere compensati, oltre a quelli imputati al 2023. Crediti da compensare che ci hanno costretto a rallentare il percorso di riduzione del debito rispetto al punto percentuale annuo che avevamo programmato. Ciò nonostante, prevediamo un andamento moderatamente discendente del rapporto debito/Pil nel breve periodo, che diventerà molto più rapido con il venire meno degli effetti negativi sul saldo di cassa dovuti al Superbonus.
D. Quali saranno le prossime tappe del programma economico del governo?
R. La nostra bussola è il programma con il quale il centrodestra si è presentato alle elezioni politiche del 2022 e il discorso con il quale Giorgia ha chiesto la fiducia al parlamento. Riteniamo la legislatura una corsa a tappe, non una gara di un giorno, anche perché siamo certi di avere davanti a noi almeno altri quattro anni di tempo per realizzare quanto promesso. La prossima impegnativa sfida è, naturalmente, la legge di bilancio 2024. Ma al di là di questo, il 2024 vuole essere per noi l’anno delle riforme, a partire dall’elezione del capo del governo.
D. Lei appare come un politico antisistema, il vero ideologo della premier Meloni. È così? Vuole spiegare al pubblico la sua filosofia e quella del governo?
R. La vera caratteristica di Fratelli d’Italia, e della realtà politica che è ora al governo, è quella di anteporre ad ogni altra cosa l’interesse nazionale. È un significativo cambio di passo con quanto accaduto in Italia da molto tempo a questa parte. Solo sotto questo punto di vista io e Fratelli d’Italia possiamo essere considerati antisistema. Ed è per noi motivo di vanto. (riproduzione riservata)