Montepaschi e Fondazione Mps hanno raggiunto un accordo che abbatte il rischio legale per la banca e potrebbe semplificare il complesso iter di privatizzazione a cui il Tesoro sta lavorando. Ieri l'istituto diretto da Guido Bastianini ha raggiunto un'intesa transattiva con il suo ex azionista di maggioranza sulle richieste risarcitorie da 3,8 miliardi. Richieste avanzate lo scorso anno in relazione alle perdite subite dall'ente per effetto dell'acquisizione di Antonveneta e per l'adesione agli aumenti di capitale del 2011, 2014 e 2015. L'accordo preliminare, che Mps sottoporrà all'esame del cda il 5 agosto, permetterà di chiudere «in maniera conclusiva ogni contenzioso in essere» a fronte del pagamento di 150 milioni e di impegni, da parte della banca, alla valorizzazione del proprio patrimonio artistico. Grazie all'accordo Siena vedrà ridursi le richieste risarcitorie, beneficando di «un contributo rilevante alla soluzione del principale elemento di incertezza che grava sul bilancio della banca», rappresentato da circa 10 miliardi di rischi legali, una buona parte dei quali legati all'informativa resa al mercato negli anni compresi tra il 2008 e il 2015. «Si tratta di un buon accordo per la Fondazione e per far crescere il suo patrimonio, la cifra sarà contabilizzata già nel 2021, la decisione è stata presa dopo pareri legali autorevoli. Penso che gli effetti positivi siano anche per la banca», ha dichiarato il presidente della Fondazione, Carlo Rossi. Come detto, l'accordo (raggiunto nello studio dell'avvocato Andrea Zoppini dopo mesi di trattative) potrebbe avere effetti rilevanti anche sul processo di privatizzazione. Il rischio legale è infatti una delle incognite che finora ha allontanato i potenziali compratori. Ora però il quadro potrebbe cambiare, tanto più che il Tesoro intende fare il possibile per rispettare la tabella di marcia concordata con Bruxelles. Come rivelato ieri da MF-Milano Finanza entro la prima settimana di agosto via XX Settembre (primo azionista dell'istituto al 64% e assistito nella partita dagli advisor BofA-Merrill Lynch e Orrick) dovrebbe sottoporre alle potenziali controparti una proposta definitiva per il progetto di privatizzazione. Non si tratterà di un ultimatum o di un documento non negoziabile, ma di una piattaforma su cui nel mese successivo si tenterà di attuare una difficile convergenza. Lo schema non dovrebbe contenere numeri, ma definire l'architettura dell'operazione mettendo nero su bianco gli impegni che il venditore è disposto ad assumersi. Sei i punti su cui dovrebbe essere incardinata la proposta: minimizzazione o trasferimento dei rischi legali (che oggi ammontano a una decina di miliardi), pulizia dell'attivo con dismissione di crediti deteriorati, creazione di una dotazione patrimoniale adeguata, trasformazione delle dta in crediti fiscali, valutazione pre-money e post-money e trattamento delle risorse con possibile copertura dei costi di ristrutturazione. Il documento fisserà insomma un framework che, almeno nelle intenzioni del proponente, dovrebbe essere mutualmente vantaggioso sia per gli attuali soci della banca che per il compratore senza però mettere sul tavolo ipotesi di spezzatino: l'intenzione del Tesoro è infatti quella di cedere in blocco l'intero perimetro, ferma restando la libertà del compratore di cedere poi alcuni rami d'azienda o per ragioni strategiche o per ottemperare alle richieste dell'Antitrust. (riproduzione riservata)