AI, la riforma fiscale detassi il lavoro prima dei robot
AI, la riforma fiscale detassi il lavoro prima dei robot
Quando le fabbriche saranno ancora più automatizzate, costerà meno il lavoro prodotto da un robot che quello effettuato da una persona. Ma non c’è bisogno di aspettare quel momento. La transizione ha già un suo costo sociale, perché in Italia e nel mondo occidentale la tassazione media del lavoro si aggira sul 25% mentre quella sull’innovazione tecnologica rasenta lo zero

di di Roberto Sommella  18/03/2023 08:00

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Il problema non è come riformare il Reddito di cittadinanza ma in che modo preservare il Reddito da lavoro, minacciato dalla crisi, dall'inflazione e dalla forza dell'automazione nei processi produttivi. Le prospettive per il lavoro sono molto più cupe di quelle dello strumento con cui il Movimento Cinquestelle di Giuseppe Conte voleva cancellare la povertà, rivelatosi poi per quello che doveva essere: un provvedimento tampone che non crea occupazione. L’attività su cui è fondata la Repubblica e la sua tassazione non sono però in cima alle priorità della riforma fiscale appena varata nel suo schema base dal governo, nonostante la premier Giorgia Meloni e la sua antagonista, la neo segretaria del Pd, Elly Schlein, si siano confrontate proprio su questo tema alla Camera dei deputati. E nonostante sia evidente che in Italia l’occupazione la creano le piccole e medie imprese, vessate da fisco e burocrazia.

Da tempo la lotta alle disuguaglianze e la redistribuzione del reddito sono al centro del confronto politico, ma poi le ricette per affrontare quei temi, a cominciare dalla leva fiscale e contributiva, restano sul portone di Palazzo Chigi. I governi si affannano a gestire i processi globali e le innovazioni dei processi produttivi con strumenti troppo antichi. Tali processi sono calati in una situazione in cui la tecnologia prende sempre più piede e modifica non solo i rapporti di forza tra imprese e la sana e prudente gestione di una banca (come il crack di Silicon Valley Bank dimostra), ma lo stesso modo di pensare, di lavorare e in ultima analisi di vivere.

Automazione e New Green Deal 

La forza combinata dell'automazione con i programmi di sostenibilità ambientali avviati dall'Unione Europea sotto il nome di New Green Deal possono condurre a una nuova società europea basata sulla crescita, sulla sostenibilità e sull'inclusione. Ma quanti posti di lavoro si lasceranno sul terreno in nome della transizione digitale ed ecologica, in nome dell'innovazione tecnologica che rende quanto può fare l'Intelligenza Artificiale bello e spaventoso al tempo stesso, e in nome dei nuovi monopoli, già secondo Luigi Einaudi distruttori di occupazione? Siamo sicuri che non vada ulteriormente regolata questa sfrenata liberalizzazione digitale che ha già causato enormi effetti antitrust legati alla forza di mercato delle piattaforme digitali?

Occorre chiedersi che sviluppo avranno la combinazione dell'IA con i social network, la Cybersicurezza e l'automazione in molti processi produttivi, su cui dovrebbero vigilare non solo gli organi preposti alla difesa come il Dis di Elisabetta Belloni, ma i sindacati, la Cgil di Maurizio Landini in testa. I governi europei, compreso quello italiano, a cominciare dal viceministro all’Economia Maurizio Leo, devono affrontare questi temi di rottura, anche se sono evidentemente distratti dalla guerra di Vladimir Putin in Ucraina e da una nuova potenziale crisi finanziaria di origine bancaria.

Nel mentre si oppone un'alleanza atlantica all'avanzata russa sul fronte orientale, sul fronte occidentale non ci si accorge che un nuovo pericolo è alle porte. Non ha però le sembianze di un soldato o di un virus, ma reca i connotati di un chip che esalta la realtà virtuale, il Metaverso, dove potranno sprofondare i milioni di disoccupati creati dal nuovo modello di sviluppo. A meno che non ci si preoccupi di creare una dimensione che aggreghi tutte le istanze ambientali e dell’innovazione tecnologica con la capacità di creare occupazione e nuovi mestieri. Il trend dei prezzi dei beni di largo consumo dimostra però che ad oggi nessuno ha trovato una formula per combinare sviluppo, sostenibilità, innovazione e benessere diffuso. Prendiamo l’automobile, il fulcro della diffusione del capitalismo nel secolo scorso, orfana in Italia dai tempi dell’Avvocato Agnelli di un qualsiasi piano strategico. Un'utilitaria Fiat nel 1976 costava cinque volte uno stipendio, oggi il suo prezzo vale almeno sette volte un salario medio di un operaio e se elettrica questo costo sale a dieci volte, una percentuale destinata a crescere ancora di più nel 2035, diventando il simbolo di un bene che da largo consumo si trasformerà in un prodotto di lusso. L'automobile non sarà più del popolo e le vetture saranno costruite solo per i ricchi.

Il costo sociale della transizione tecnologica

E quando le fabbriche saranno ancora più automatizzate, costerà meno il lavoro prodotto da un robot che quello effettuato da una persona. Ma non c’è bisogno di aspettare quel momento. La transizione ha infatti già un suo costo sociale, perché in Italia e nel mondo occidentale la tassazione media del lavoro si aggira sul 25% mentre quella sull’innovazione tecnologica rasenta lo zero, contribuendo alla crescita del capitale in sostituzione del lavoro medesimo e alla sostituzione degli operai con le macchine. Occorre dunque chiedersi che effetti concreti avrà sulla società industriale la nuova rivoluzione in corso dell'IA e della robotizzazione: sarà la benzina di un nuovo modello di sviluppo o un percorso pericoloso di distruzione di valore? L'Unione Europea sta provando a rispondere a tutto ciò con quello che la rende diversa dalle altre potenze mondiali, che usano la forza militare e il commercio per imporsi: su questo lato dell'Oceano si usa la legge, la difesa dei diritti umani e della libertà. Per questo la Commissione guidata da Ursula von der Leyen vuole irretire le potenze digitali con un paio di regolamenti sulle piattaforme e sui contenuti che vi si veicolano (il Digital Market Act e il Digital Service Act).

Ma Bruxelles nel promuovere la nuova era non coglie i rischi insiti a questo regime, che non si cancellano con le leggi anti-monopoli. Senza un vero piano di sviluppo, che vada oltre le buone intenzioni del New Green Deal, il futuro che attende milioni di lavoratori è molto incerto, perché dipende dal livello di consapevolezza che i governi occidentali devono avere riguardo il passaggio epocale che si prospetta: un modello economico con sempre più capitale, sempre più automazione e sempre meno lavoro, tassato come se si fosse ancora nel secolo scorso.

Non c’è dubbio che ogni invenzione “disruptive” comporta distruzione di valore e creazione di nuove opportunità, come ha insegnato Joseph Schumpeter. Ogni grande trasformazione ha generato vincitori e sconfitti, ma mai come oggi i secondi possono essere totalmente dipendenti dai primi. Nel Novecento sono stati inventati l'auto, la radio, la televisione e internet. Nel nuovo millennio le quattro grandi innovazioni si sono già di fatto trasformate in qualcosa di diverso che ha le sembianze di uno smartphone come voleva Steve Jobs, o di una vettura elettrica, totalmente integrata, nel caso dell’invenzione di Elon Musk. Tesla e device si combineranno a loro volta in un unico soggetto, magari un Metamondo destinato a diventare il nuovo reddito di cittadinanza globale?

Per scacciare questi spettri occorre scuotersi dal torpore e ribellarsi al dominio delle menti ma soprattutto agire sul controllo dei costi del lavoro attraverso la leva fiscale. Abbiamo ancora a disposizione le armi che da sempre rappresentano la forza dell’essere umano che lo differenzia dagli altri abitanti terrestri e dalle macchine: la lettura, la scrittura, la ragione. L’uso del cervello, vera ricchezza del pianeta, leggera e preziosa quanto l’aria che respiriamo, deve restare al centro di tutti i processi, compresi quelli legati alla creazione di occupazione. Non è scontato ribadirlo. (riproduzione riservata)