L’inflazione sanitaria
L’inflazione sanitaria
Il crollo del barile di greggio non inganni. I costi relativi alla sanificazione dell’intera esistenza umana faranno aumentare i prezzi. Proprio come accadde dopo lo shock petrolifero del 1973

di Guido Salerno Aletta 04/04/2020 02:00

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Preoccuparsi già oggi dell’inflazione che verrà, di qui a qualche mese o nei prossimi anni, potrebbe apparire davvero prematuro: un vezzo intellettuale, un dibattito bizantino sul sesso degli angeli. Basta invece pensare ai mille dubbi che assalirebbero, per il timore di un contagio, chi tra qualche settimana entrasse in una camera di albergo. Vorrebbe essere sicuro che sia stata adeguatamente disinfestata: se l’epidemia o il suo rischio dovesse permanere, si tratterebbe di un costo addizionale, sistemico, che farebbe sballare i conti di chissà quante offerte di servizi simili, dove il rispetto della distanza interpersonale non basta. Ci sarebbe un’inflazione da costi spaventosa se si dovesse procedere sulla via della stabilizzazione di alcune regole di comportamento individuale e collettivo. Viene da pensare agli effetti dello shock petrolifero del 1973: tutto cominciò a costare improvvisamente di più: produrre, spostarsi, riscaldarsi. Mentre allora l’aumento dei prezzi era destinato ai Paesi produttori e venne soprannominato la «tassa dello sceicco», stavolta lo shock sanitario comporterebbe una sorta di «virus surcharge» che colpirebbe pressoché tutte le attività umane. E’ presto però per fare previsioni: di questa epidemia e dei suoi sviluppi sappiamo ancora troppo poco.

Per quanto la caduta degli indici di Borsa sia già stata particolarmente violenta a partire dall’inizio dell’anno, paragonabile per velocità e profondità solo a quella della crisi del 1929, i guai cominciano ora. I valori azionari delle imprese automobilistiche, dei grandi vettori aerei, delle stesse banche sono basate sulla speranza di una ripresa più o meno veloce. Solo speranze, a dire il vero, perché nessuno offre garanzie sulle prospettive, soprattutto dal punto di vista sanitario: gli stessi scienziati che oggi dettano ai governi le strategie di contenimento e di mitigazione della epidemia, non si pronunciano affatto sulle prospettive a breve e medio termine: mentre prima parlavano della necessità di ridurre il rapporto tra vecchi e nuovi contagiati al di sotto dell’unità, ora ipotizzano la necessità di convivere con il virus. La fantomatica, ma sempre negata immunità di gregge pur in assenza di vaccinazioni di massa, riemerge come un fantasma. Si è invertito, in poche settimane, il baricentro della dominanza: dal Mercato verso lo Stato. Parimenti, nel trilemma sulla incompatibilità tra Stati, democrazia e globalizzazione, la crisi ha già spostato decisamente l’asse verso gli Stati: a danno non solo della globalizzazione ma soprattutto della democrazia. A Oriente come a Occidente, sono i governi e i loro vertici ad aver assunto il controllo delle operazioni. E’ un paradigma assai noto, quello del Sovrano che decide sullo e nello stato di eccezione: l’inaccettabile diviene inevitabile. Solo in Italia, però, si è deciso per la sospensione generalizzata delle attività economiche, fatta eccezione per quelle indispensabili: una scelta assai discutibile, che ci penalizzerà assai. Per molte imprese, il danno sarà irrecuperabile. Ci sono interi settori che rimarranno inevitabilmente fermi per chissà quanto tempo, come quello turistico. Ma, ferme le precauzioni di distanziamento personale e l’uso dei dispositivi di protezione individuale, questa scelta solo italiana di sospendere la quasi totalità delle attività produttive appare davvero suicida. E’ un nuovo 8 settembre. La questione dell’inflazione, nei prossimi anni, dipenderà innanzitutto da una scelta eminentemente politica, ideologica: continuare a indirizzare e confinare il risparmio e gli investimenti in asset finanziari significa rafforzare questa industria rispetto all’economia reale. C’è un altro punto, nodale e simmetrico, che riguarda la sostenibilità ambientale della crescita dell’economia reale. Mentre le risorse naturali sono determinate, al più riproducibili, il loro consumo tende ad assumere una traiettoria che ne supera la diponibilità. Questa divaricazione tra offerta rigida e domanda crescente non ha un impatto lineare sui prezzi delle materie prime: lo dimostra l’andamento del petrolio, che risponde soprattutto a logiche geopolitiche e finanziarie. Oggi, per via del prevalere dell’offerta sulla domanda, il prezzo di un barile di petrolio oscilla intorno ai 20 dollari al barile: in termini reali, è assai più economico di quanto non lo fosse nel 1973, alla vigilia della Prima crisi petrolifera.

La crisi sanitaria del coronavirus si colloca quindi nel corso della transizione industriale verso la Green Economy. Con l’Accordo di Parigi sul clima era stato assunto un impegno globale per ridurre i combustibili fossili e le immissioni di CO2 al fine di contenere il rialzo della temperatura atmosferica. Gli Usa, per volontà del presidente Donald Trump, hanno ritirato l’adesione all’Accordo per via dei maggiori costi che sarebbero ricaduti sulle industrie statunitensi. Di recente, Trump ha anche rimosso i limiti alle emissioni inquinanti delle automobili che erano stati imposti dal suo predecessore, Barack Obama. La transizione verso l’auto elettrica, che comporta un immenso sforzo finanziario, risentirà pesantemente di questa crisi. D’altra parte, il crollo delle vendite di auto registrato in questo ultimo mese non ha precedenti storici: siamo al blocco totale.

L’andamento dell’economia in generale, e soprattutto quello della inflazione, dipenderanno in primo luogo dalla capacità degli Stati e delle banche di offrire sostegni contingenti alle imprese, in termini di liquidità aggiuntiva per fare fronte agli impegni assunti. Gli Stati e le banche, i reprobi del dopo 2008, diventano ora salvifici protagonisti. A loro spetta agire, perché ogni disoccupato in più, ogni azienda fallita comporta un peso negativo in termini di domanda e di offerta, con una ricaduta ulteriore sul livello generale dei prezzi. Questi ultimi potrebbero salire solo nel caso in cui, per una falcidie generalizzata delle imprese, l’offerta dovesse essere insufficiente rispetto alla futura domanda ancorché ridotta. Il settore agricolo, che utilizza spesso manodopera straniera, potrebbe dar vita a una serie di aumenti dei prezzi, considerando anche il rallentamento degli scambi internazionali, deciso in via prudenziale dai governi. In Cina, per la carne di maiale e per il pollame, a causa delle contemporanee epidemie che hanno colpito gli allevamenti, si registrano già da tempo carenze negli approvvigionamenti e vistosi rincari. L’aumento generalizzato dei prezzi al consumo dipenderà poi dalla permanenza e dalla incisività delle normative poste a tutela della salute: i costi dei servizi sanitari e turistici, per i trasporti delle persone e nel commercio al dettaglio, anche per via dei tempi di attesa derivanti dal distanziamento nelle file imposte ai clienti, saranno tutti fattori che li aumenteranno. Molto incideranno gli sgravi fiscali, che potrebbero in parte sterilizzarli. Tutto comunque dipenderà dai nuovi e maggiori vincoli che saranno posti all’economia reale: puntando non solo sulla green economy, quanto sulla safe life. Ai consueti problemi posti dalla sostenibilità ambientale di uno sviluppo economico energy intensive aggiungeremmo quelli della sostenibilità sociale di un paradigma normativo che sanitarizza l’intera esistenza umana: anche se il virus non c’è oggi, potrebbe sempre tornare. L’ossessione della fine del mondo e della morte, eclissate da secoli, tornerebbero a essere strumento di dominio per gli Stati e di arricchimento per i mercati. Una morsa in cui la libertà dell’uomo e la democrazia verrebbero definitivamente schiacciati. (riproduzione riservata)