È in corso sui mercati quella che gli economisti chiamano una guerra valutaria inversa, tecnicamente inverse currency war, e l'Europa rischia di uscirne malconcia. È un fenomeno paradossale, un pericoloso gioco a somma negativa che rischia di logorare i tessuti del sistema monetario internazionale. È detta inversa perché le banche centrali non lottano per svalutare le proprie monete bensì per rivalutarle a colpi di aumenti dei tassi d'interesse. Sperano in questo modo di raffreddare la crescente inflazione innescata o dal surriscaldamento dell'economia (Stati Uniti) o dal boom dei prezzi dell'energia (Europa e Regno Unito). La Federal Reserve, che ieri ha nuovamente aumentato per la quinta volta nell'anno i tassi ufficiali, guida la danza dei rialzi in una totale assenza di coordinamento, la Bce e la BoE arrancano.La politica restrittiva americana ha portato il dollaro ad apprezzarsi di quasi un terzo contro le principali monete disarticolando le ragioni di scambio dei partner.
La Bce e la BoE hanno la loro parte di colpa perché hanno a lungo pensato che il ritorno dell'inflazione dopo anni di calma piatta fosse un fenomeno temporaneo. E ora il superdollaro è un problema. Jacques Attali, economista, filosofo e consigliere dei presidenti francesi, pensa che le banche centrali stiano ponendo in atto una manovra suicida perché il risvolto di questa politica sarà una recessione globale profonda e duratura.
Partita in sordina, la guerra valutaria inversa si è intensificata dopo il tradizionale incontro dei banchieri centrali a Jackson Hole a metà agosto. Fino ad allora infatti la Fed sembrava orientata ad accompagnare con mano leggera l'economia americana verso un soft landing, un atterraggio morbido e in questa prospettiva i mercati azionari e obbligazionari si erano distesi. Ma a Jackson Hole il presidente Jerome Powell ha gelato la platea affermando: «continueremo ad aumentare i tassi finché il lavoro non sarà finito». Da allora i mercati sono saliti sull'ottovolante.Il Wall Street Journal ha osservato che le parole usate da Powell rispecchiano il titolo dell'autobiografia di Paul Volcker, il capo della Fed che nei primi anni 80 stroncò l'inflazione a due cifre con una inflessibile politica monetaria. Chi appare in grande difficoltà è la Bce di Christine Lagarde. Ha un'inflazione importata che reagisce poco alla terapia dei tassi e comunque è in ritardo sui tempi per riagganciare il dollaro. In queste condizioni dovrebbe gelare la crescita economica portando l'economia in depressione per arrestare la corsa dei prezzi.
Come ha spiegato l'economista di Harvard Jeffrey Frenkel, la guerra valutaria inversa alla lunga causa una perdita di competitività per alcuni Paesi e un guadagno per altri ma senza arrivare a un punto di equilibrio. Essa dunque è strutturalmente fonte di instabilità. Il caos valutario preoccupa non poco anche gli ambienti finanziari americani.
Il Wall Street Journal ha evocato come possibile soluzione un accordo tra le banche centrali simile a quello che nel settembre 1985 pose fine alla inarrestabile ascesa del dollaro con una politica coordinata di interventi sui mercati dei cambi. Allora in due anni la moneta americana si svalutò del 51% rispetto allo yen portando a un riequilibrio delle bilance commerciali dei due Paesi. E ora? (riproduzione riservata)