L’armata anti-cripto pronta a espellere i bitcoiner dagli Stati Uniti
L’armata anti-cripto pronta a espellere i bitcoiner dagli Stati Uniti
Binance e Coinbase sono nel mirino delle autorità regolatrici di Washington. E stavolta rischiano di non passarla liscia. Diventa sempre più concreta l’ipotesi di un esodo del settore dagli Usa

di Marcello Bussi 31/03/2023 21:30

Ftse Mib
33.922,16 7.59.45

+0,12%

Dax 30
17.737,36 23.50.49

-0,56%

Dow Jones
37.986,40 8.24.43

+0,56%

Nasdaq
15.281,86 23.50.49

-2,05%

Euro/Dollaro
1,0657 23.00.33

-0,01%

Spread
143,06 17.30.12

+0,44

I numeri non ingannino: nel primo trimestre dell’anno il bitcoin ha guadagnato il 69%, sbaragliando la concorrenza (il Nasdaq è salito del 16,2%; l’oro del 6,8%, per esempio). La prima delle criptovalute è ai massimi dal giugno dell’anno scorso e il trend è in straordinario rialzo. Ma nessuno gioisce, il sentiment è cupo. Tutti sono consapevoli della scarsità dei volumi. Basterebbe un soffio di vento contrario per provocare un patatrac.

Tutti i guai di Binance

La cosa non sorprende: lo scorso novembre è fallita Ftx, la più grande borsa cripto degli Stati Uniti. E lunedì 27 la Commodity Futures Trading Commission (Cftc) ha fatto causa a Binance, la più grande borsa cripto del mondo, sostenendo che la società guidata da Changpeng Zhao, detto CZ, opera illegalmente negli Stati Uniti e viola le regole progettate per prevenire le attività finanziarie illecite. Il rischio, molto concreto, è che Binance venga costretta a chiudere i battenti negli Stati Uniti.

La settimana precedente, inoltre, Binance ha annunciato che avrebbe nuovamente addebitato commissioni sul trading di bitcoin dopo averle ridotte a zero la scorsa estate. E come se non bastasse ha dovuto sospendere temporaneamente il trading per ore mentre correggeva un errore del software. Il risultato è che nel giro di sette giorni, Binance ha registrato deflussi netti per 2,1 miliardi di dollari sulla blockchain di ethereum, secondo i dati Nansen.

Non passa giorno che la casa madre non venga bersagliata da inchieste della grande stampa finanziaria. Il Financial Times, per esempio, ha puntato l’obiettivo sui legami nascosti tra la società di CZ e la Cina, scoprendo documenti interni che mostrano come ancora nel 2018, ovvero un anno dopo la stretta operata dalle autorità di Pechino sull’intero settore delle criptovalute, i dipendenti di Binance venissero pagati attraverso una banca di Shanghai. Mentre il Wall Street Journal ha sottolineato in particolare che la Cftc accusa Binance, tra l’altro, di gestire un programma vip che consentirebbe ai clienti più grossi di fare trading più velocemente rispetto agli investitori comuni. Insomma, si giocherebbe con le carte truccate.

.Leggi anche:

Bitcoin: se Washington adotta la linea dura, Dubai è l’ultima spiaggia

I fallimenti delle banche-ponte

La situazione è precipitata con il fallimento di Silvergate, Signature e Silicon Valley Bank. In particolare le prime due banche venivano usate come ponte per passare dal dollaro alle criptovalute e viceversa. Le società del settore cripto adesso devono trovare nuovi istituti di credito disposti a offrire i loro servizi. Ma per ora il mondo della finanza tradizionale sembra paralizzato su questo fronte. Prima di agire si aspettano nuove regole ad hoc, ben più restrittive. Nessuno vuole mettere a rischio la stabilità del settore bancario esponendosi al bitcoin. E così molte società cripto che temono di non riuscire più ad accedere ai servizi bancari tradizionali stanno pensando di spostare le loro attività all’estero.

Nel mirino anche Coinbase

Se Binance è sempre stata nel mirino delle autorità regolatrici di tutto il mondo, la stessa cosa non si può dire di Coinbase, la prima borsa cripto a essersi quotata al Nasdaq nel 2021. Da sempre presa come esempio per il rispetto della regolamentazione, la società guidata da Brian Armstrong è finita nel mirino della Sec, che le ha inviato un «avviso Wells», ovvero un avviso di possibile citazione a giudizio. Coinbase teme che la Sec potrebbe sostenere che la borsa cripto facilita il trading di titoli non registrati, un'affermazione potenzialmente fatale per il suo core business se venisse dimostrata in tribunale.

.Leggi anche:

L’utopia bitcoin di El Salvador, ecco la coppia newyorkese che vuole rivoluzionare la moneta

Da tempo il numero uno della Sec, Gary Gensler, sostiene che tutti i token (per esempio ether), a eccezione del bitcoin, considerato invece una commodity, dovrebbero essere classificati come security. Se così fosse, Coinbase e altre piattaforme dovrebbero registrarsi presso la Sec come se fossero vere e proprie borse (tipo il Nasdaq), rispettando il quadro normativo utilizzato per i titoli azionari, con tutti i costi e le limitazioni che questo comporterebbe.

.Leggi anche:

È davvero possibile il Bitcoin crash? Ecco perché il 2025 potrebbe essere l’anno d’oro

Una minaccia esistenziale

Il clima è davvero cambiato, al punto che Kevin Reynolds, direttore di Coindesk, uno dei siti di notizie cripto più seguiti, ha vergato un editoriale dal titolo eloquente: Sembra proprio che gli Stati Uniti stiano cercando di uccidere le criptovalute. Reynolds ha sottolineato che molti banchieri stanno rifiutando gli inviti ai convegni sulle cripto, timorosi di mettere a repentaglio la loro reputazione. «Senza un significativo cambiamento di rotta da parte dell'amministrazione Biden, l'opinione che gli Stati Uniti siano anti-cripto presto diventerà troppo consolidata per poter essere sradicata», è l’allarme del direttore di Coindesk.

Addirittura la senatrice democratica Elizabeth Warren, che nutre ancora aspirazioni presidenziali, è arrivata ad annunciare la costituzione di «un’armata anti-cripto». Per ora all’orizzonte non si vedono cavalieri bianchi. Se così fosse sarebbe inevitabile l’esodo dell’industria cripto dagli Stati Uniti, destinazione sconosciuta. (riproduzione riservata)