Kafka, il guardiano e la Corte di Karlsruhe
Kafka, il guardiano e la Corte di Karlsruhe
Davanti alla legge, di Kafka, è molto utile anche oggi per capire la recente valutazione della Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe circa il comportamento della Bce

di Pietro Svetlich 22/05/2020 21:39

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 Franz Kafka si laureò in legge e, dopo aver lavorato alcuni mesi alle Assicurazioni Generali nella sede di Praga, si trasferì all’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro per il Regno di Boemia.
Da una ventina d’anni erano state costituite le prime società per tutelare i lavoratori, dato l’allora limitato stato sociale. Kafka doveva sapere quali erano le condizioni di lavoro degli operai in una delle aree più industrializzate d’Europa dell’epoca. E conosceva le procedure che riguardavano l’antinfortunistica e come istruire processi in caso di incidenti sul luogo di lavoro.
 
L’analisi di Kafka è molto utile anche ai nostri giorni, per provare a capire la recente valutazione della Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe circa il comportamento della Bce.
 
Nello specifico, si tratta dal racconto Davanti alla legge, ripreso dal capitolo IX del romanzo Il processo, che riporta un dialogo tra K. e il sacerdote del Duomo.
 
In Davanti alla legge, Kafka racconta di un uomo di campagna che persegue la legge e spera di conquistarla entrando in un portone. Il guardiano del portone dice all'uomo che non può passarvi in quel momento. L'uomo chiede se potrà mai farlo e il guardiano risponde che c'è la possibilità che vi riesca. L'uomo aspetta presso l'entrata per anni, tentando di corrompere il guardiano con i suoi averi; il guardiano accetta le offerte, ma dice all'uomo «Lo accetto solo perché tu non creda di aver trascurato qualcosa ». L'uomo non tenta né di ferire, né di uccidere il guardiano per raggiungere la legge, ma attende presso il portone fino a che non sta per morire. Un attimo prima che ciò accada, chiede al guardiano perché, seppure tutti cerchino la legge, nessuno è venuto davanti alla porta in tutti quegli anni. Il guardiano risponde «Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo”.
 
Nel cap. IX de Il processo, a pag. 525 (Edizione I meridiani), K. e il sacerdote raffigurano la storia del contadino e del Guardiano. Chi è subordinato? Chi mente? Chi è scorretto?  
 
Il Guardiano davanti alla porta della Legge è stato messo lì da qualcuno. La Corte è stata incaricata a sua volta di vigilare da qualcuno. Il contadino cerca di entrare nella legge e il guardiano lo blocca, allo stesso modo in cui la Corte reagisce al comportamento di un’altra istituzione europea ( la Bce), ma non agisce in via preventiva. Il Guardiano e la Corte sono subordinati alle azioni, ai movimenti che fa l’Unione Europea. In tal senso, si può indicare che a differenza del contadino e di K.,  l’Unione Europea ha strumenti più potenti di difesa. L’architettura europea è più bilanciata, seppur incompleta.
 
Nel dialogo tra K. e il cappellano si parla anche del Guardiano come dell’ingannato. Il Guardiano non conosce l’interno di ciò che protegge e neppure la Legge. Si può dire altrettanto della Corte? Anch’essa non sa tutto. Ha un compito di controllo, sospetta una azione sproporzionata, ma non fa proposte alternative. Di certo non conosce il futuro né sa cosa è bene per i cittadini Europei.
 
Il Guardiano ha atteso l’arrivo del contadino ed è subordinato al controllo del contadino. La Corte tedesca ha atteso le azioni della Bce ma a questo punto di tutta la UE. Si può forse dire che la Corte vuole controllare le azioni dei cittadini della Ue?
 
Un altro punto molto importante riguarda la fine della storia, quando il Guardiano afferma che chiuderà la porta. Può farlo davvero? Ha questo potere? All’inizio della storia è affermato che la porta della Legge è sempre aperta.  Anche in questo caso, si vive in un mondo di regole, dunque la legge non è mai chiusa e siamo all’ombra della pace.
 
Dove può arrivare la decisione della corte? Va bene discutere e far emergere che manca uno strumento di politica economica all’interno della UE. Ben diverso è pensare di frustrare di nuovo un tentativo di unione delle Nazioni Europee e di superamento di miopi politiche nazionali.
 
A questo punto K. e il cappellano sono quasi alla fine della loro discussione. Secondo K. è vero che l’ingannato può essere il Guardiano. Se così fosse, la conseguenza decisiva sarebbe che l’uomo è stato ingannato e subisce un danno irreparabile. Come sarebbe un danno irreparabile la fine della UE.
 
K., fiero e aggressivo afferma che il Guardiano dovrebbe essere scacciato per il suo errore. La sua semplicità e buona fede creano un danno per l’uomo. Un danno infinito per l’uomo: tornare di nuovo a una politica di stati nazionali.  Il cappellano cerca una mediazione e afferma che il Guardiano è uno strumento, una leva, non ha colpe. È un servitore della legge, appartiene alla legge ed è sottratto al giudizio umano.
 
La conclusione di questo dialogo è purtroppo senza pietà per nessuno.
 
“ [..] . “Alla legge l’uomo arriva, il guardiano c’è già. La Legge gli ha affidato il servizio, dubitare della sua dignità sarebbe come dubitare della Legge.” “Con codesta opinione non sono d’accordo” asserì K. scuotendo la testa, “se infatti la si accetta, si deve prendere per vero tutto quanto dice il guardiano. E che ciò non sia possibile lo hai dimostrato tu stesso ampiamente.”. “No”, disse il sacerdote, “ non si deve credere che tutto è vero, si deve credere soltanto che tutto è necessario”. “ Malinconica opinione” commentò K. “così della menzogna si fa una norma universale”.