Entro fine novembre Acciaierie d’Italia avrà un nuovo proprietario.
Formalmente, il prossimo 20 settembre il ministero delle Imprese e del Made in Italy aprirà le buste contenenti le manifestazioni d’interesse per il polo siderurgico e potrà dare il via alla seconda fase: quella in cui saranno valutate le offerte più idonee e si avvierà la procedura di data room.
Il valore preliminare della cessione dell’azienda è di circa 1,5 miliardi di euro, inclusivo della dismissione del magazzino. Ma, secondo quanto risulta a Milano Finanza, delle dieci manifestazioni che arriveranno sul tavolo di Via Veneto solo tre rispecchieranno la capacità industriale che il governo sta cercando.
Chi può permettersi di comprare tutto il gruppo
Come spiega il commissario straordinario dell’Ilva, Giovanni Fiori, a questo giornale «l’obiettivo dell’operazione di cessione è trovare un unico acquirente a cui vendere il gruppo nella sua totalità» ed evitare così lo spezzatino. E se l’ex Ilva non sarà venduta a pezzi, il potenziale proprietario sarà sicuramente estero.
Nel primo scenario, il futuro di Acciaierie d’Italia potrebbe essere statunitense: la canadese Stelco Holding, il cui interesse nei confronti di Taranto è stato chiacchierato più e più volte, sta infatti per essere acquisita dall’americana Cleveland-Cliffs (lunedì 16 settembre, il cda di Stelco si riunirà per approvare l’operazione di m&a).
Dagli ucraini agli indiani: i possibili problemi
La seconda ipotesi vede l’arrivo a Taranto del magnete ucraino Rinat Akhmetov, proprietario di Metinvest e dell’acciaieria Azovstal di Mariupol.
Alcuni manager dell’azienda hanno visitato il polo tarantino lo scorso giugno e ci sono pochi dubbi sul fatto che presenteranno una manifestazione d’interesse. Tuttavia, Akhmetov sta già partecipando al rilancio del polo siderurgico di Piombino. Un contesto che potrebbe spingere il ministero a puntare su qualcuno di meno indaffarato e avanzare a Metinvest una proposta di coinvolgimento indiretto come fornitore.
Completa il podio il gruppo indiano Jindal Steel & Power, con le controllate Vulcan Green Steel e Steel Mont. Anche la famiglia Jindal ha visitato gli stabilimenti durante l’estate. Tuttavia, la mala gestione di ArcelorMittal, ovvero i precedenti proprietari del polo, anche loro indiani, ha lasciato non pochi strascichi soprattutto a Taranto.
Sull’ipotesi spezzatino si preparano le italiane
In una relazione firmata dai tre commissari straordinari di Acciaierie d’Italia si legge che, sebbene l’obiettivo sia la cessione unitaria, «l’organo commissariale si riserva di valutare la possibilità di prevedere anche la presentazione di offerte parziali». Alla luce di ciò «è possibile configurare due ipotesi alternative di cessione dei complessi aziendali: una unitaria e una di singoli rami d’azienda». Ed è questa la prospettiva che spingerà i gruppi italiani a farsi avanti.
Primo fra tutti Marcegaglia. La presidente del gruppo non ha escluso l’invio di una manifestazione d’interesse, che potrebbe concentrarsi su una parte degli asset dell’ex Ilva. «Siamo grandi trasformatori di acciaio e siamo da sempre i primi clienti di Ilva», ha detto Emma Marcegaglia, durante il Forum The European House Ambrosetti, che si è svolto a Cernobbio dal 6 all’8 settembre 2024. Ma la lista delle siderurgie tricolore potenzialmente interessate è lunga: Arvedi, Duferco, Finarvedi, Eursider e Siderarlba solo per citarne alcune.
La spinta del piano di rilancio
Insomma, Taranto piace a tutti. Soprattutto adesso che i tre tecnici hanno delineato un piano di rilancio per Acciaierie d’Italia che vede il gruppo traguardare un ebitda post-CO2 di 532 milioni di euro nel 2030. Il business plan persegue «tre obiettivi prioritari», si legge nella relazione inviata dai commissari al ministero: «Il raggiungimento del punto di pareggio economico nel più breve tempo possibile, la salvaguardia dei livelli di occupazione e la riduzione delle emissioni di CO2 dei processi produttivi».
Nelle proiezioni economiche si stima che, a fine piano, il fatturato lordo raggiunga i 5,943 miliardi di euro mentre il margine di contribuzione è visto a 1,537 miliardi. Per rilanciare il gruppo, gli investimenti da mettere a terra nel periodo ammontano a 1,8 miliardi, di cui 1 miliardo da impiegare per il solo biennio dell’amministrazione straordinaria: «Per il ripristino degli impianti il fabbisogno è di circa 900 milioni, da sostenersi nel 2024-25».
La tabella di marcia realizzata dai commissari si propone di «aumentare il complesso aziendale al momento della prevista cessione attraverso l’avvio di un percorso di rilancio che, in una logica di radicale discontinuità rispetto alla precedente gestione, consenta di raggiungere i livelli di break-even nel prevede periodo». Percorso che «impone già oggi scelte la cui procrastinazione causerebbe una perdita di valore, deleteria tanto per i creditori quanto per l’acquirente stesso» ma che «dovrà poi essere portato a compimento dal futuro acquirente».
Il governo boccia l’ipotesi di una quota statale
Chi non si farà certamente avanti nella partita è, invece, il governo. Sebbene l’acciaieria sia un asset strategico per il Paese. «L’esperienza dello Stato dentro Acciaierie d’Italia è stata disastrosa», ha detto il titolare del Mimit, Adolfo Urso, citando il periodo precedente all’amministrazione straordinaria quando l’ex Ilva era gestita dalla famiglia Mittal e dalla controllata del Mef, Invitalia, che aveva una quota di minoranza e «nessun potere di controllo».
In quella stessa gestione, però, è stato proprio il governo ad aver sbloccato la situazione di stallo con il socio privato indiano (che si era reso indisponibile a garantire la continuità aziendale). Invitalia aveva attivato l’amministrazione straordinaria attualmente in corso, consentendo le nomine dei commissari e la conseguente ripartenza del polo. (riproduzione riservata)