Da Elon Musk a George Soros, chi sono i grandi donatori delle campagne elettorali Usa?
Da Elon Musk a George Soros, chi sono i grandi donatori delle campagne elettorali Usa?
La partita vera fra repubblicani e democratici nella corsa alle elezioni presidenziali non si gioca solo sui sondaggi o sulle piccole donazioni. Le grosse donazioni e il sostegno di settori specifici dell’economia o dell’industria americana e soprattutto di nomi noti fanno la differenza. Ecco chi –  dalla finanza, all’industria, e al mondo tech –  appogg il candidato republicano Donald Trump o il suo probabile avversario, la vicepresidente Kamala Harris

di di Andrea Fiano 26/07/2024 20:00

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Certo 130 milioni di dollari non sono poca cosa. Tanto più se raccolti in pochi giorni grazie a piccole donazioni. Kamala Harris e il team che cura per lei la raccolta fondi per le presidenziali americani vantano questo risultato record a pochi giorni dalla nomina della vicepresidente Usa come candidata dei democratici al posto di Joe Biden.

La partita vera fra repubblicani e democratici non si gioca però solo sui sondaggi o sulle piccole donazioni, peraltro indice importante di sostegno popolare e tradizionalmente più forti nel campo democratico. Le grosse donazioni e il sostegno di settori specifici dell’economia o dell’industria americana e soprattutto di nomi noti fanno la differenza e operano da traino per chi ancora non ha messo mano al portafoglio. Il tutto tenendo conto che nelle ultime presidenziali Usa i candidati raccolsero un miliardo di dollari ciascuno (peraltro il totale raccolto finora dai due partiti per le presidenziali in corso) per una campagna che nel complesso costò 14 miliardi di dollari, molto probabilmente destinati a essere superati nei prossimi mesi.

Le tendenze politiche della Silicon Valley

Primo terreno di scontro, a sorpresa, è la Silicon Valley, dove da mesi si parla di un sorprendente sostegno ai repubblicani di Donald Trump a partire da Elon Musk – patron della Tesla e di X (ex Twitter) che si è impegnato per 45 milioni di dollari al mese a favore di Trump – da quel Peter Thiel che è il mentore del candidato repubblicano alla vicepresidenza JD Vance.

Con Trump ci sono anche grossi nomi della finanza come Stephen Schwartzman di Blackstone, da sempre repubblicano, o Bill Ackman di Pershing Square prossimo a una grossa ipo per una delle sue società e maestro di presenzialismo televisivo. Per non parlare di Miriam Adelson, vedova di Sheldon e grande donatrice dei repubblicani, e dei big del settore petrolifero Usa che temono la regulation del settore, o dell’ex chairman della Marvel Entertainment, Ike Perlmutter.

E ancora Marc Andreessen e Ben Horowitz, leader del venture capital della Silicon Valley, e altri che temono l’attivismo dalle presidente della Federal Trade Commission Lina Khan – che ha avuto un atteggiamento molto duro sulle autorizzazioni di fusioni e acquisizioni - e le posizioni del team democratico sulle criptovalute. Ecco perché a poche ore dalla rinuncia di Biden, il team della Harris si è messo in modo per riconquistare terreno (e donazioni) proprio nel mondo delle tecnologia e in una storicamente democratica Silicon Valley.

I donatori ai democratici e il potere dei Pac

Dal lato della Harris (e prima di Biden) il produttore cinematografico Jeffrey Katzenberg, Brad Karp chairman dello studio legale Paul Weiss, il fondatore di LinkedIn Ray Hoffman e il co-fondatore di Netflix Reed Hastings, padre e figlio George e Alex Soros.

Un ruolo chiave lo hanno i vari Pac e super Pac per la raccolta di fondi per i candidati. I Pac, dalle iniziali di Polical Action Committee, sono enti registrati che raccolgono fino a 5.000 dollari a persona a sostegno di uno o più candidati. Sono indipendenti e non gestiti dal candidato stesso. Il super Pac, invece, può sostenere solo le spese di un candidato ma non direttamente la sua campagna elettorale, e gestire fondi illimitati. In genere si tratta di strumenti registrati e regolati che permettono ai singoli e alle società di donare più dei limiti esistenti per le singole donazioni elettorali, e nel caso dei super Pac, possono anche sollecitare direttamente le donazioni.

Ecco quindi l’Harris Victory Fund, che raccoglie le donazioni più grosse tramite per la candidata democratica e o quello della Emily’s List che sostengono tutte le candidate favorevoli all’aborto e hanno annunciato una donazione di almeno 20 milioni di dollari per la campagna della Harris.

Dall’altro lato il super Pac Preserve America punta a investire oltre 40 milioni di dollari in spot elettorali televisivi per Trump nel corso delle Olimpiadi di Parigi, assieme ai 20 promessi dall’altro Super Pac Maga Inc(lo slogan elettorale di Trump, Make America Great Again). A questi si aggiungono, fra gli altri, i 75 milioni di dollari donati ai Pac pro-repubblicani da miliardari come Timothy Mellon dell’omonima banca oggi fusa con la storica Bank of New York.

In tutto questo fiorire di Pac e super Pac viene fuori che Trump stesso aveva donato in passato qualche migliaio di dollari per la campagna della Harris. In quel caso però le donazioni erano per la corsa come procuratore federale della California. (riproduzione riservata)