E luna di miele sia. Dopo mesi in cui il mercato attendeva con ansia un messaggio chiaro dalle banche centrali, finalmente le risposte stanno arrivando: la Bce ha effettuato in settimana il secondo taglio ai tassi di interesse, dopo quello (ritenuto a tratti troppo timido) di giugno. E la Fed, salvo ribaltoni dell’ultimo minuto, dovrebbe seguire la sua omologa europea nella riunione del 18 settembre. Gli investitori hanno risposto con entusiasmo, innescando un rally dei titoli governativi su entrambe le sponde dell’Atlantico: il rendimento del Btp decennale è sceso del 3,2% nell’ultimo mese e di oltre il 5% da inizio anno (oggi si muove intorno al 3,5%). Quello del Treasury americano è calato addirittura del 6% nell’ultimo mese e oggi viaggia intorno al 3,7%. Il rendimento, non va dimenticato, è inversamente proporzionale al prezzo: se il primo scende, vuole dire che i titoli di Stato guadagnano valore.
Una domanda da record
A certificare che l’entusiasmo è alle stelle, a inizio settimana il Tesoro ha avviato il collocamento via sindacato del nuovo Btp a 30 anni, con cedola annua del 4,3% pagata in due tranche semestrali e importo offerto pari a 8 miliardi di euro. Vuoi per l’euforia complessiva, vuoi per la precisa volontà degli investitori istituzionali di allungare la scadenza e non rinunciare ai ghiotti rendimenti dei titoli governativi, gli ordini finali hanno raggiunto la cifra monstre di 130 miliardi di euro. A fare incetta del titolo del Mef sono stati per il 75% investitori esteri, soprattutto gestori di lungo periodo e banche.
«I Btp storicamente fanno bene negli scenari di distensione dei tassi», commenta Alessandro Vitaloni, responsabile obbligazionario di Symphonia sgr (gruppo Banca Investis). «Quindi anche nel 2025 potrebbero performare bene». Inoltre, aggiunge il money manager, «la Bce ha ridotto da qualche mese a questa parte gli acquisti sul mercato, ma la domanda è stata sostituita dagli investitori esteri». Il risultato di questo mix di fattori, secondo Vitaloni, è che «i Btp sono un’asset class in cui rimanere o addirittura da accumulare in fasi di volatilità, come possono esserlo le elezioni presidenziali Usa».
Scenario positivo con incognite
Il rally in atto potrebbe proseguire ancora per tutto il 2025, secondo il capo obbligazionario di Symphonia. «La Bce continuerà a monitorare i dati e i rischi geopolitici con conseguente volatilità per l’inflazione, ma la strada dovrebbe essere tracciata ancora per tutto il 2025, con la sola incognita dell’entità dei tagli e delle tempistiche». Ci sono però al contempo almeno due elementi di criticità da considerare al momento della costruzione di un portafoglio di bond governativi. Primo, «il mercato dei bond oggi è troppo volatile, perché troppo dipendente dai dati», argomenta Federico Polese, fondatore di Simplify Partners. «Ogni singolo dato, dall’inflazione alla produzione, in Europa come negli Usa, genera volatilità: e questo non è positivo». Secondo punto, «c’è tantissima liquidità parcheggiata a lato dei mercati pronta per essere impiegata, anche per ragioni speculative. Questo significa che non esiste una visione dominante di dove andrà l’economia», spiega il manager.
Brevi, lunghi o lunghissimi?
Se queste sono le premesse, a quali Btp è opportuno guardare oggi? Vitaloni considera interessante «la parte della curva tra i tre e i sette anni, che di solito fanno meglio quando i tassi scendono». Con le curve invertite o piatte, aggiunge, tali bond «offrono gli stessi rendimenti di lungo periodo ma con meno volatilità». Attualmente le scadenze tra i tre e i sette anni si muovono tra il 2,6% e il 3,1% di rendimento. Sulle scadenze brevi invece, prosegue l’esperto obbligazionario, «sono importanti le prospettive di tagli Bce: attualmente il mercato sta scontando nel 2024 altri due tagli, uno da 25 e uno da 15 punti». In assenza di sorprese negative sul fonte dell’inflazione, aggiunge, «si potrebbe assistere anche a qualcosa in più: non vedo grandi rischi a rimanere sulla parte breve, con un carry importante sulla parte di Btp».
Per Polese invece una prospettiva interessante potrebbe essere quella di guardare al lunghissimo periodo. «Il trentennale rende attualmente il 4,2% e ha uno scenario favorevole in caso di più tagli del previsto. Potrebbe essere una buona opzione nel momento in cui non ci fosse una visione univoca sui tassi». Una soluzione di questo tipo potrebbe anche essere, secondo il fondatore di Simplify, «una buona copertura in caso di shock geopolitici esterni». Sempre tenendo presente però che «su un’opzione di questo tipo può essere allocato il 5% di un portafoglio, non di più».
L’alleato americano
Al di là dell’interessante suggestione dei Btp, la prima scelta dei gestori ricade ancora sul Treasury americano, la cui curva si muove ancora invertita (5,1% il biennale, 3,7% il decennale). «Quando la Fed inizierà a tagliare», ipotizza Vitaloni, «ci sono ampi spazi di performance nel breve-medio periodo: qui investirei una parte importante del portafoglio, lasciando stare la parte lunga soggetta alle elezioni e ai programmi politici di entrambi i candidati». Sia Kamala Harris sia Donald Trump, infatti, «prevedono aumento della spesa pubblica e protezionismo».
Polese offre invece uno spunto diverso per quando riguarda il T-Bond: «Se mai l’inflazione dovesse essere più alta delle attese, i tassi potrebbero essere tagliati meno delle aspettative». Potrebbe pertanto avere senso comprare, aggiunge l’esperto, «tassi variabili in dollari sui due anni, che attualmente incassano tra il 3,8% e il 4,7% a seconda che siano corporate o governativi». Si avrebbe così, osserva Polese, «un’opzione gratuita nel caso in cui i tassi dovessero essere tagliati meno del previsto». Questa componente «potrebbe rappresentare anche l’80% del portafoglio» obbligazionario complessivo.
Uno sguardo all’Europa
Per quanto riguarda le principali economie dell’area euro, Vitaloni preferisce attualmente quelle periferiche: oltre all’Italia, ad esempio, «la Spagna ha ottimi fondamentali di crescita». Il money manager è moderatamente positivo anche sulla Francia, «dove la situazione politica si è normalizzata». E per finire c’è la Germania: al di là delle turbolenze del Paese, Vitaloni pensa che del Bund non si possa proprio fare a meno, «per ragioni di hedging», cioè di copertura del portafoglio.
Prese di beneficio? Non ancora
Infine, visto il rally degli ultimi giorni, molti investitori possono essere tentati di passare all’incasso, guadagnando sulle plusvalenze dei loro bond. Per i gestori però i tempi potrebbero non essere ancora maturi. «Tatticamente ha senso andare a cercare qualche presa di profitto, ma nel lungo periodo penso che avremo opportunità di reinvestimento a tassi inferiori: non lascerei troppo spazio alla liquidità», segnala Vitaloni. Polese, dal canto suo, non vede «opportunità per prese di beneficio oggi, perché vedo ancora un sostanziale spazio di apprezzamento, nell’ordine anche del 5%». (riproduzione riservata)