Big tech, la festa è sospesa
Big tech, la festa è sospesa
La prospettiva di un ritorno alla normalità adesso avvantaggia i titoli ciclici rispetto ai tecnologici. La corsa del Nasdaq, a causa degli scossoni provocati dal rialzo dei tassi, riprenderà più avanti. Occhi puntati sull’inflazione

di Massimo Brambilla 27/02/2021 02:00

Ftse Mib
34.249,77 23.51.16

+0,91%

Dax 30
18.161,01 23.51.16

+1,36%

Dow Jones
38.239,66 1.50.55

+0,40%

Nasdaq
15.927,90 23.51.16

+2,03%

Euro/Dollaro
1,0694 23.00.32

+0,06%

Spread
134,82 17.29.29

-4,45

«Quando la velocità di rialzo dei rendimenti del Treasury a 10 anni supera di due volte la volatilità a tre mesi dei rendimenti, allora la correlazione tra la quotazione dell’S&P500 e quella dei decennali Usa diventa positiva, con la conseguenza che il sell-off sui bond trascina al ribasso il mercato azionario». L’osservazione, contenuta nel report di Goldman Sachs dello scorso 20 novembre, fotografa perfettamente quanto è avvenuto nella settimana appena conclusa, dove la forte accelerazione della discesa dei corsi dei Treasury ha spinto i rendimenti a 10 anni dall’1,36% fin sopra l’1,6% riportandoli al livello pre-Covid, quasi un raddoppio in due mesi rispetto allo 0,9% di inizio anno. L’analisi della correlazione tra S&P500 e i corsi del decennale condotta da Goldman è stata effettuata a partire dal 2006: le fasi più eclatanti riguardano maggio 2013 (taper tantrum annunciato dalla Fed) e aprile 2015 (Bund tantrum della Bce), nonché i due allunghi del 2018 dei rendimenti del T-Bond alimentati dal rialzo dei tassi operato trimestralmente dalla Federal Reserve, che ha portato alla caduta di Wall Street nell’ultimo trimestre con la concausa della guerra commerciale con la Cina. In ogni caso, l’elemento scatenante riguarda le due facce della stessa medaglia: le attese di una politica monetaria più restrittiva, o comunque meno accomodante, che può riguardare il costo del denaro o il quantitative easing; oppure le attese più elevate sull’inflazione. Sono queste ultime, infatti, a incidere in prospettiva sulle mosse della banca centrale, che è esattamente ciò che sta accadendo in questo momento: il ritmo di somministrazione dei vaccini lascia intravedere un progressivo allentamento delle misure di sicurezza sanitarie e quindi un prossimo balzo in avanti dell’economia. Questo, unitamente alla costante ascesa del prezzo del petrolio e al nuovo pacchetto di aiuti fiscali da 1.900 miliardi di dollari è alla base dell’innalzamento delle stime sull’inflazione ampiamente superiori al target del 2%, instillando la convinzione che la Fed rivedrà il quantitative easing prima del previsto a scapito dei corsi obbligazionari.

Cosa succede a Wall Street. La progressiva normalizzazione dell’economia Usa rimuoverà una parte importante dei vantaggi economici che hanno potuto conseguire i big dei cosiddetti titoli growth di Wall Street, con in testa i Faang+, nell’ambito dell’economia stay at home imposta dal Covid. Questi titoli si trovano quindi esposti a un duplice rischio di ribasso: quello derivante dalla concorrenza esercitata dai rendimenti obbligazionari più corposi, visto che le loro quotazioni più alte del 60% rispetto al livello pre-Covid ne hanno ridimensionato ancora di più il dividend yield. E quello derivante dai prezzi più elevati dei tech rispetto ai titoli cosiddetti value rimasti molto più indietro rispetto all’ultimo decennio, e verso i quali è iniziata da dicembre la rotazione. I titoli value sfoggiano inoltre un rendimento da dividendi sensibilmente più elevato rispetto al balzo di quelli obbligazionari, il più delle volte superiore al 3% che per i titoli petroliferi è destinato ad alzarsi ulteriormente.
Non è un caso che la seconda parte di febbraio sia stata dominata dai titoli legati al petrolio, dalle banche e dalle assicurazioni e parzialmente dal settore dei trasporti e da quello turistico-alberghiero, mentre l’indice Nyse Fang+ ha nettamente sottoperformato il Dow Jones. Per questione di pesi e composizione (comprende solo Apple e Microsoft dei Faang+), quest’ultimo è infatti l’indice meno dipendente dall’andamento delle big tech di Wall Street, mentre i movimenti dell’S&P500 dipendono per il 25% da Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google e Microsoft.

I riflessi su piazza Affari. Se non fosse stato per la debolezza delle utility, che influiscono per quasi un terzo dei movimenti del Ftse Mib, l’indice italiano avrebbe proseguito nello slancio della prima metà di febbraio grazie ai titoli legati al petrolio, al settore finanziario e a quello industriale, che hanno mantenuto l’intonazione positiva anche nella seconda parte del mese in conclusione. Mentre la tecnologia e il segmento della salute hanno appesantito l’indice assieme alle utility. In base alla rotazione settoriale in corso anche nell’Eurozona, sebbene rallentata da un’aspettativa di rimbalzo dell’economia rimandata di 3-4 mesi rispetto agli Usa, la preferenza continua ad andare ai titoli legati petrolio, Eni e Tenaris in testa grazie ai frutti che inizia a raccogliere quest’ultima sul fronte della digitalizzazione e dell’efficientamento, sfociati in settimana in una trimestrale ampiamente superiore alle attese, mentre Eni seguirà il suo piano di aumento dividendi e di buyback in sintonia con l’avanzamento dei prezzi del petrolio. Generali e le principali banche, compresa Mediobanca e quelle anche di minori dimensioni impegnate nel risparmio gestito, rimarranno ancora nel mirino degli investitori istituzionali, così come i principali titoli legati alle infrastrutture (Prysmian, Webuild, Buzzi Unicem), alla digitalizzazione (Inwit, Nexi e ancora Prysmian) e alle energie rinnovabili (Enel e Falck Renewables), mentre la domanda su Exor mira a cogliere le opportunità nel settore auto (Fca e Ferrari) e in quello dei veicoli e macchinari industriali prodotti da Cnh.

Cosa attendersi. I più autorevoli uffici studi Usa prevedono un balzo dell’inflazione nei due trimestri centrali dell’anno, dove potrebbe spingersi perfino in prossimità del 3% durante l’estate, alimentando il timore che la Fed intervenga sul quantitative easing. Ciò causerebbe nuove vendite di bond e quindi ulteriori rialzi dei rendimenti obbligazionari, favorendo in borsa la rotazione azionaria di cui si è già avuto un assaggio che penalizzerebbe anche le utility. Tuttavia il cambiamento della forward guidance dichiarato dalla Fed nel 2020 le consentirà di non cambiare la politica monetaria accomodante anche con l’inflazione superiore al target del 2%, tanto più che viene poi vista in discesa a fine 2021. Quello di questa estate o dell’autunno potrebbe quindi essere solo un picco inflattivo legato all’uscita dalla crisi economico-sanitaria, creando le condizioni per ritornare in modo più equilibrato sui titoli growth a prezzi più convenienti. Anche perché gli Stati Uniti non possono permettersi rendimenti a medio-lungo termine troppo elevati, a costo di targetizzare la curva come avviene da tempo in Giappone. La Fed, in sostanza, non potrà abbandonare il quantitative easing così facilmente com’è avvenuto l’ultima volta. (riproduzione riservata)