Banche, il risiko parte dagli istituti minori: ecco cosa succede sui territori in attesa delle mosse dei big
Banche, il risiko parte dagli istituti minori: ecco cosa succede sui territori in attesa delle mosse dei big
Da Valconca alla Popolare di Sant’Angelo, finora le fusioni hanno riguardato solo banche locali in difficoltà. Qualcosa sta per cambiare perché il risiko potrebbe proseguire anche per creare valore per gli azionisti. Poteri locali permettendo

di di Luca Carrello 26/07/2024 20:00

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Se ne parla da anni e negli ultimi mesi le voci sono diventate insistenti. Eppure il risiko delle grandi banche, con al centro Mps e Bper, non è ancora partito. In attesa dei big si muovono le piccole, abili a sfruttare le difficoltà patrimoniali di altre realtà del territorio per inglobarle. Anche questo trend potrebbe essere vicino a una svolta. In positivo, perché presto le operazioni m&a tra banche potrebbero ricevere una spinta anche dalla necessità di creare valore.

Il dinamismo di Cherry Bank

I casi più recenti tuttavia raccontano l’esigenza di ripianare le perdite in bilancio di realtà che eppure sono redditizie sul fronte dell’attività caratteristica visto che il rialzo dei tassi ha soccorso anche gli istituti minori. Non sempre la spinta del margine d’interesse è bastata per bilanciare il calo dei clienti, i costi elevati o per cancellare alcune minusvalenze sui titoli.

Così sotto la regia della Banca d’Italia si è arrivati a operazioni di salvataggio da parte di un cavaliere bianco. È successo alla romagnola Banca Popolare Valconca, inglobata da Cherry Bank, che prima ancora aveva messo le mani sul Banco delle Tre Venezie. Poi un caso in Sicilia, quello della Banca di Credito Peloritano, istituto messinese fusosi con Tyche, società bolognese specializzata nelle procedure concorsuali.

Il salvataggio della Popolare Sant’Angelo

In contemporanea in Sicilia è andato in scena il salvataggio della Banca Popolare Sant’Angelo da parte della Banca Popolare Agricola di Ragusa, che ha dato vita a una super-popolare in grado di varcare lo Stretto. E - perché no? - di arrivare a Torre del Greco, dove si vocifera di un interesse dei siciliani per la Banca di Credito Popolare. Il dossier potrebbe evolvere nei prossimi giorni quando i campani comunicheranno i conti del primo semestre: dai bilanci si potrebbe capire se saranno in grado di andare avanti da soli o se servirà un cavaliere bianco.

Nuovo trend in arrivo

Casi come questi tuttavia potrebbero diventare sempre più residuali, anche perché ad oggi tra le banche commissariate risulta solo Smart Bank. Questo non significa che le operazioni m&a locali si esauriranno: ne cambieranno solo le motivazioni. «Nei prossimi anni mi aspetto una ripartenza del consolidamento tra le banche minori, che coinvolgerà anche istituti senza problemi di redditività», spiega Luca Penna, senior partner e responsabile financial services Sud & Est Europa di Bain & Company.

«La ripresa delle fusioni e delle acquisizioni a livello locale sarà giustificata dalla necessità di diversificare il rischio geografico, un problema molto avvertito quando il business è concentrato in aree limitate. Anche la trasformazione digitale sarà un altro fattore di spinta: gli investimenti, soprattutto nell’intelligenza artificiale, richiederanno risorse sempre più ingenti e una dimensione o una massa critica».

Il freno dei poteri locali

Un’accelerata quindi che non darà vita a grossi sconvolgimenti. Sul tema fonti finanziarie sottolineano che il settore bancario italiano è già molto consolidato se confrontato con il resto d’Europa. I merger si faranno solo se utili a creare valore o limitare i rischi per azionisti, amministratori e in generale per le forze presenti sul territorio. Prima si verificherà che la banca sia in grado di raggiungere questi obiettivi da sola. In caso contrario non ci si dovrà stupire se saranno gli stessi attori locali a spingere per l’unione con un altro istituto.

Altri osservatori sottolineano invece che gli questi soggetti potrebbero rappresentare un ostacolo. Sul territorio le logiche di potere sono radicate e le fusioni riducono i posti a disposizione nei cda. Altri invece minimizzano il peso delle questioni di governance. Nel senso che sì, il fattore umano avrà sempre un peso rilevante, però le operazioni si faranno se dotate di un senso industriale.

Big fuori dai giochi

Quel che è certo è che non ci si fonderà solo perché si è troppo piccoli o perché le banche devono essere più grandi. Né gli istituti minori finiranno per forza in pancia ai big del settore. Per giganti come Intesa Sanpaolo o Unicredit una banca locale potrebbe avere le dimensioni di due o tre dei loro sportelli.

Allora perché lanciarsi in un’operazione di m&a così complessa dal punto di vista organizzativo, politico e strategico quando si può penetrare in proprio in un’area a costi ben inferiori? Ecco perché sono più probabili fusioni tra realtà di dimensioni simili. A meno di casi di specializzazione, cioè di banche piccole capaci di entrare in business combination con gruppi grandi arricchendone l’offerta.

Ma la regola, come detto, prevede nozze tra istituti comparabili. Lo ha dimostrato il mercato, che ha smentito una predizione fatta nel 2010, all’inizio del biennio nero: il meccanismo delle grandi banche che assorbono quelle piccole, ipotizzato per la razionalizzazione dell’intero settore, in realtà in Italia non ha mai preso piede. (riproduzione riservata)