Se si dividono le 500 società che compongono l’S&P 500 in 10 parti uguali e si vedono le valutazioni mediane di ognuno di questi spicchi (in gergo statistico i decili) si nota che al crescere della grandezza delle aziende sale anche la loro valutazione, espressa tramite il parametro del rapporto tra prezzo e utili attesi (p/e). Questo esperimento è stato fatto dal Wall Street Journal in un articolo intitolato «Le big tech disconnettono il mercato azionario dalla realtà». La tesi è questa: se in generale si considera il mercato azionario Usa eccessivamente caro, questo è perché non si tiene conto della divergenza tra le valutazioni dei giganti tech (p/e mediano pari a 21) e del resto dell’indice, dove il p/e mediano è 18 e scende addirittura a 15 tra i pesi mosca del listino.
Ma che succede se si ripete l’esperimento a Piazza Affari? Il grafico in basso mette a confronto i p/e mediani attesi a fine 2024 per le società di Ftse Mib e Star, divise in dieci gruppi in base alla capitalizzazione. Sono stati scelti solo questi due indici per cercare il più possibile di includere aziende grandi (e liquide). La mediana è stata preferita alla media (come nell’esperimento americano) per cercare di escludere i casi limite. Quello che emerge dal calcolo è che tra le grandi quotate milanesi è molto più complesso individuare una relazione evidente come quella dell’S&P 500. Una cosa però salta all’occhio: il campione con un p/e mediano più basso, inferiore a 9, è quello delle società più grandi. L’esatto opposto degli Usa.
Avvicinando la lente d’ingrandimento a questo gruppo delle big si può vedere come la composizione delle valutazioni sia quanto mai variegata. La prima della classe, Ferrari, tratta a un p/e atteso decisamente elevato, vicino a 50. Per gli analisti la Rossa di Maranello corre un gran premio (metaforico) diverso dalle altre grandi: basti pensare che da anni non viene più considerata un titolo del settore auto, quanto piuttosto del comparto lusso. Mentre l’altro grande costruttore di veicoli, Stellantis, è tra i più economici della lista: tratta a 3,9 volte gli utili attesi, anche meno delle banche (Intesa Sanpaolo 7,7, Unicredit 6,7), delle Generali (9,7) e delle due big di Stato Enel (10,2) ed Eni (6,4). Chiudono la rosa il gigante dei chip Stm (20,2), il big della moda Moncler (25,3) e Tenaris (8,2). Insomma, dietro il dato mediano si celano tanti casi diversi, che rendono la generalizzazione fatta - a ragione - per l’S&P 500 complessa da trasporre al caso italiano. La controprova? La media dei p/e è di 14,8: un dato decisamente più alto (+5,82 punti) rispetto a quello mediano.
Dall’altra parte della barricata, il decile più caro è il quarto (partendo dal basso in ordine di grandezza) con un p/e mediano di 18,5. In questo caso però la media è un po’ più vicina: 20,8. Questo sottoinsieme è composto da società dello Star con capitalizzazione compresa tra 300 e 475 milioni, più facili da classificare sotto un cappello simile rispetto alle taglie forti del Ftse Mib. Si tratta in generale di titoli industriali e più in particolare di aziende legate al mondo dell’industria ad alto contenuto tecnologico (Avio, Datalogic, Biesse), dei software aziendali (Seco, Txt e-Solutions) o dei consumi (Fila, Newlat Food). Aziende caratterizzate in generale da fondamentali solidi ma che negli ultimi mesi hanno fatto più fatica sul mercato rispetto alle grandi capitalizzazioni del listino principale.
Il risultato dell’esperimento è evidente: trovare una relazione tra basse valutazioni e dimensioni delle quotate nella borsa milanese non è la strada vincente. Più efficace può essere allora analizzare i titoli in rapporto alla media storica dei loro settori di riferimento, che è stata riportata nella tabella in basso. Un esempio calzante è quello delle auto: il p/e atteso per l’indice di settore alla fine di quest’anno è sotto quota 8, ben inferiore (-43%) al 13,8 medio degli ultimi cinque anni. Stellantis, con il suo p/e atteso di 3,9, è molto più economico della media di settore. Così come è più economica Sogefi (5,8), mentre Pirelli risulta leggermente più cara (10,9). L’indice include peraltro anche Ferrari che però, come già accennato, viene ormai considerata dagli esperti come un titolo a metà tra il settore auto e quello del lusso (che tratta invece a un p/e atteso di 22,2).
Anche le banche, mattatrici del Ftse Mib nell’ultimo anno e mezzo grazie ai bilanci da record (favoriti dai tassi di interesse alti) trattano a sconto rispetto alla media degli ultimi cinque anni (8,59). Il p/e atteso per il 2024 del settore è di 7,45, ma ci sono istituti come ad esempio Bper (5,28) o Banco Bpm (6,92) che sono ben più economici. Discorso diverso vale per le utility, indicate da gestori e analisti come i veri beneficiari dell’avvio dei tagli da parte della Bce. L’indice di settore tratta a 10,87 volte gli utili, rispetto al 13,39 dell’ultimo quinquennio. Ma anche qui le occasioni non mancano: A2A, ad esempio, è ancor più scontata, con un p/e atteso di 9,57.
Infine, un capitolo sul tech italiano, unico settore in lista a trattare al di sopra rispetto alla sua media storica (19,15), con un p/e atteso di 20,12. Anche in questo caso però c’è chi si muove sotto la media del comparto: ad esempio Sesa (15,64) oppure Wiit (13,6). (riproduzione riservata)