L'addio al nucleare tradizionale costerà alla Germania post-Merkel quasi 2,5 miliardi di euro per rimborsare Wattenfall, E.on & C. La Francia di Macron invece si prepara alle elezioni presidenziali del 2022 puntando almeno un miliardo di euro per assicurarsi i nuovissimi reattori taglia XS. E l'Italia? Dopo l'apertura del ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani all'energia nucleare di quarta generazione, un allineamento di fattori sta diventando l'innesco di una possibile rivoluzione. Al referendum del 2011, dopo l'incidente di Fukushima, ben il 95% degli italiani aveva ribadito il suo no all'atomo. Oggi, secondo un primo sondaggio condotto da Termometropolitico.it, il 31% degli interpellati si dichiara a favore dell'energia nucleare e il 20% la vedrebbe bene nel mix produttivo nazionale purché ricorrendo a impianti piccoli e più sicuri, mentre gli apertamente contrari, cioè quelli convinti che avere una centrale nucleare sia comunque un rischio troppo grande, sono meno del 40%. Di sicuro lo shock energetico, che si tradurrà in rincari a due cifre percentuali nelle bollette invernali di luce e gas, sta contribuendo a togliere l'energia dell'atomo dalla lista nera. Quella atomica infatti è tra le più a buon mercato e la fiammata dei prezzi dell'uranio registrata a settembre viene considerata una mossa speculativa più che una tendenza strutturale, come per gas ed elettricità.
Un peso sull'apertura al nucleare ce l'ha anche il timore, condiviso, che le sole energie rinnovabili non basteranno a garantire gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2050, soprattutto se per allora dovessero venir meno quasi contemporaneamente almeno 20 GW l'anno prodotti dalla fissione. Terzo ma non ultimo fattore: le nuove tecnologie si stanno dimostrando a prova di scettico perché non utilizzano uranio e non lasciano scorie, anche se per alcune di esse ci vorranno ancora dai due ai tre decenni prima di poterne vedere l'applicazione concreta. Tra quelle più prossime alla prova sul campo c'è la tecnologia della fusione a confinamento magnetico sviluppata dall'Eni edal Mit di Boston replicando l'energia del sole. Tra il 2025 e il 2030 Cfs (Commonwealth Fusion Systems), società spin-out del Massachusetts Institute of Technology di cui Eni è il maggiore azionista, potrebbe davvero fare la differenza. Il prototipo dimostrativo denominato Sparc sarà operativo negli Usa già nel 2025. Secondo le stime di Kepler Cheuvreux, richiederà un investimento di 500 milioni di dollari, mentre per l'Arc, il primo impianto vero e proprio, serviranno 1,5 miliardi di dollari.
Intanto a infrangere una volta per tutte il tabù del nucleare potrebbe arrivare il suo inserimento nella tassonomia, il vademecum che la Commissione Europea sta ultimando per stabilire che cosa è davvero sostenibile e cosa no nel percorso della transizione energetica. Dieci Stati membri dell'Ue, guidati dalla Francia dall'alto dei suoi oltre 61 mila GW di capacità nucleare (si veda tabella in pagina), stanno facendo pressione su Bruxelles perché inserisca l'atomo tra le fonti di energia verde: «Non emette CO2, è uno strumento utile per combattere il surriscaldamento globale e può dare un contributo decisivo all'indipendenza delle fonti di produzione di energia ed elettricità» coprendo circa il 13% degli attuali consumi e oltre il 30% del mix produttivo europeo. Anche in Italia una parte di energia, soprattutto quella notturna, è garantita dalle centrali transalpine. L'Agenzia Internazionale dell'Energia (Iea) prevede che nel corso dell'anno la quota di consumi da nucleare in Europa aumenterà di un 2%.
Figurare nella lista verde dell'Ue non è solo una questione di forma: con l'entrata in vigore della tassonomia, infatti, solo le fonti considerate sostenibili avranno accesso ai finanziamenti. Non è un caso che nella bozza di regolamento sulla tassonomia che il 7 dicembre dovrà essere approvata dal Consiglio d'Europa (come anticipato da MF-Milano Finanza del 13 ottobre) sia stata inserita la raccomandazione di non prevedere «criteri di esclusione di specifici settori all'accesso al capitale per la transizione sostenibile, soprattutto per gli investimenti pubblico-privati in tecnologie innovative», cosicché le banche non neghino i finanziamenti. Sulle posizioni della Francia si sono compattate Romania, Repubblica Ceca, Finlandia, Slovacchia, Croazia, Slovenia, Bulgaria, Polonia e Ungheria. La preoccupazione di Parigi peraltro è il paradigma di quello che potrebbe succedere in tutta Europa puntando solo sulle fonti rinnovabili. Oggi, ricorda il piano France 2030 appena presentato da Macron, il Paese si alimenta per il 70% da fonti nucleari. Quando, tra il 2030 e il 2040, i reattori tradizionali inizieranno a spegnersi uno dopo l'altro, le rinnovabili non ce la faranno a rimpiazzarli, nemmeno ricorrendo ai sistemi di accumulo. «La crescita della domanda sarà esponenziale, l'elettrificazione dei trasporto produrrà un aumento del 600%, anche per l'industria ne servirà almeno il 60% in più di oggi», stima la Sfen, la società francese per l'energia nucleare. «Non resterà perciò che passare a una nuova generazione di centrali nucleari». Gli oppositori ne parlano come di un favore a Edf dopo il flop dei reattori Epr (si veda box in pagina), ma in realtà le sperimentazioni sui nuovi sistemi di fusione non sono un'esclusiva del gruppo elettrico nazionale.
Intanto l'industria dell'altro nucleare è in pieno fermento. Oltre al progetto di Eni e Mit ci sono almeno altre quattro tipologie di reattori senza fissione in sperimentazione nel mondo. Il Gfr, reattore veloce raffreddato a gas, realizzato da China Huaneng Group ha un prototipo da 200 MW. Sempre in Cina si studia il reattore a sali fusi attraverso il primo modello sperimentale realizzato a Wuwei dall'Accademia delle Scienze. C'è poi il reattore veloce raffreddato a piombo in via di sviluppo da parte della newco Newcleo. Più diffuso il reattore raffreddato ad acqua supercritica, seguito in questo momento da 13 Paesi.
L'Europa, in attesa di decidere sull'inclusione del nucleare nella tassonomia, sta continuando a finanziare il colossale progetto di reattore sperimentale termonucleare internazionale Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), al quale partecipa anche l'Italia, con un altro stanziamento di 5,6 miliardi per il periodo 2021-2027. L'Ue ne prevede l'operatività dal 2035, precisando però che solo dal 2050 l'energia da fusione potrà diventare una fonte energetica commercialmente valida. Il costo complessivo del programma? Da un minimo di 25 a un massimo di 50 miliardi di euro. (riproduzione riservata)