La Cina è l’unica importante economia al mondo che chiuderà il 2020 in crescita, secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale e dello stesso governo di Pechino. Certo, si tratta dell’1,9%, che tuttavia risalta se rapportato al -4,3% atteso degli Stati Uniti e al -8,3% dell’area Euro. L’Italia è ancora più giù, -10,6% secondo l’istituzione guidata da Kristalina Gheorghieva. Il 2021 è previsto di forte rimbalzo per il Paese asiatico, +8,2% contro un +3,1% degli Stati Uniti e il +5,2% dell’area Euro.
Inoltre la Cina, culla del Covid-19, è il Paese dove oggi i contagi pare siano ridotti al lumicino. E all’insorgere di ogni focolaio, il Partito comunista isola con fermezza le aree esposte. I mercati stanno cavalcando questo trend da mesi, come dimosta il fatto che da inizio anno i venti migliori fondi che investono sui listini cinesi segnano rialzi a due cifre. Il primo in classifica, secondo Fida, è il China A-Share Opportunity di Allianz con una performance del 40,8%, seguito a stretto giro dal comparto A Shares di JpMorgan che ha reso il 40,42%, il 73,91% ampliando a tre anni lo spettro d’analisi. Il primo è denominato in euro, il secondo in dollari. Se si va a guardare invece gli Etf, il miglior rendimento da gennaio è ad appannaggio di Xtrackers Csi300 (in euro) con un +24,14%, seguito da Hsbc Msci China A che ha reso il +23,41%. Le quote degli Exchange Traded Funds si possono comprare direttamente su Borsa Italiana, dove ne sono quotati 13, con un patrimonio complessivo in gestione, allo scorso settembre, di 361,4 milioni di euro.
La performance dei fondi che investono nella Cina è anche superiore all’andamento degli indici corrispettivi. Infatti Shanghai è salita del 9,25% da gennaio, mentre Shenzhen è balzata del 17,14%. Hong Kong, nel frattempo, ha sofferto un calo del 14,3% dopo aver perso l’autonomia politica. A parte il Nasdaq, che ha corso per il 30% da gennaio nonostante un inizio autunno sull’ottovolante, l’S&P 500 è salito del 7,5% e l’Eurostoxx 600 ha perso il 12,7%. Per non parlare del Ftse Mib, in rosso per il 18,9%.
La Cina, quindi, seconda economia mondiale, gioca un ruolo sempre più importante, come è emerso nei giorni scorsi alla Belt&Road Initiative di Class Editori (che controlla questo giornale) e come lo stesso premier Giuseppe Conte ha ricordato al festival di Limes venerdì 16 ottobre, sottolineando che l’alleanza italiana col Dragone non intaccherà però i rapporti con gli Usa. Ma quanto dovrebbe pesare Pechino nei portafogli di un investitore? «Nei nostri fondi», ha spiegato a MF-Milano Finanza Haiyan Li-Labbé, gestore e analista nel team azioni emergenti di Carmignac, «la Cina incide per circa il 17% nel fondo Investment e quasi il 40% nel comparto Emergents. Quest’anno abbiamo continuato ad aumentare la nostra esposizione». L’azionario cinese ha una una capitalizzazione di mercato di 13.000 miliardi di dollari, di cui 8.000 miliardi quotati sui mercati domestici, 3.000 negli Stati Uniti e 2.000 a Hong Kong. Secondo Bloomberg, per esempio, la market cap di Wall Street è di quasi 40 miliardi di dollari. Ma non è troppo tardi per entrare in un mercato che ha già corso tanto? Secondo Haiyan, l’Msci China, l’indice più rappresentativo, è scambiato 15 volte il rapporto prezzo/utili attesi a 12 mesi, rispetto alla media storica di 11 volte degli ultimi 10 anni. Un segnale che potrebbe suggerire cautela. «Tuttavia l’arricchimento delle valutazioni è dovuto soprattutto all’inclusione dei titoli Adr, essenzialmente quelli tecnologici», spiega l’esperta. Escludendo questo fattore, l’indice è leggermente oltre la media storica. Carmignac continua ad avere una visione positiva nel lungo periodo sugli asset cinesi, in particolare sui settori della New Economy «che stanno beneficiando delle riforme del sistema previdenziale e dei fondi pensione realizzate nel Paese negli ultimi 10-20 anni. Molte tendenze strutturali hanno subito un’accelerazione a seguito della pandemia», aggiunge Haiyan. La società di gestione francese preferisce investire su istruzione, sanità (internet healthcare, biotecnologie e produttori di vaccini), cloud, data center, ecommerce, energia pulita e veicoli elettrici.
Oggi ci sono «16.000 miliardi di euro di opportunità nel settore del wealth e dell’asset management in Cina», spiega Massimo Mazzini, presidente di Eurizon Capital HK, con sede a Hong Kong, parte del gruppo Intesa Sanpaolo. «Il numero di clienti con elevato patrimonio è di oltre 2 milioni di persone, il tasso di risparmio è consistente e significativo, immaginiamo quindi una crescita nei prossimi anni maggiore rispetto ai Paesi dell’Ue e a quelli americani». Eurizon è in Cina dal 2007 grazie alla storica partecipazione in Penghua, 16esima società di asset management del Paese su 25, secondo i dati di Z-Ben Advisors, con oltre 100 miliardi di euro in gestione. «E siamo gli unici italiani», ricorda il maanger.
Quanto al fattore vaccino anti-Covid, che sta facendo correre i maggiori produttori mondiali con qualche inciampo, «Sinopharm, in mano al governo di Pechino, ha avuto a luglio il via libera per usarlo in via d’emergenza e già in queste settimane sta raccogliendo le richieste per iniettarlo agli studenti che devono andare all’estero, secondo quanto ha scritto pochi giorni fa il Global Times», osserva Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper e membro dell’Assiom Forex. «Oggi non si può non avere in portafoglio la Cina», conclude l’esperto. (riproduzione riservata)