Soldi all'estero, i rischi del grande esodo
Soldi all'estero, i rischi del grande esodo
Soldi all’estero/1 Portare capitali oltre confine non è mai stato così facile, ma conti e strumenti non sempre tutelano contro patrimoniale, bail-in bancario e Italianexit. Ecco tutti gli aspetti da verificare

di Teresa Campo 06/10/2018 02:00

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Forse non siamo ancora ai soldi nascosti nel materasso, e neanche agli spalloni alpini, che in tempi di trasparenza bancaria non hanno più lavoro. Ma tutti hanno amici, colleghi o conoscenti che si stanno affrettando ad aprire conti correnti presso banche estere piuttosto che a trasferire i soldi ai figli che studiano o lavorano oltreoceano o almeno a sottoscrivere investimenti di diritto e in valuta estera. Del resto i fatti delle ultime settimane non possono non impensierire i risparmiatori italiani, spingendoli verso soluzioni alternative: lo spread Btp-Bund che sale, gli aspri richiami (minacce?) dell’Europa alla politica finanziaria tricolore, l’outlook negativo di Moody’s e Standard &Poor’s sul debito italiano, primo passo verso un prossimo downgrade. Le scelte alternative al classico conto corrente o all’investimento in titoli di stato o azioni italiane sono quelle accennate. Ma funzionano? E verso quali rischi? A non far dormire sonni tranquilli agli italiani sono nell’ordine il rischio di una patrimoniale severa e di bail-in, che imporrebbe di far fronte con i propri risparmi al fallimento della propria banca. Il tutto per non parlare del rischio estremo di default o di uscita dell’Italia dall’euro per tornare alla vecchia lira, eventi dagli effetti non immaginabili né valutabili. La buona notizia è che, con la libera circolazione dei capitali, portare i soldi all’estero (purché di provenienza lecita) o diversificare in investimenti oltrefrontiera è semplice oltre che pienamente legale. Basta dirlo.

Tre i possibili modus operandi: prelevare direttamente il contante per portarli fisicamente altrove oppure fare un bonifico dalla propria banca a un istituto estero o infine avvalersi di una fiduciaria. «Attenzione però: nel primo caso occorre indicare cosa si vuol fare della somma, pena il rischio di essere segnalati all’Unità antiriciclaggio di Banca d’Italia, e ne va fatta anche segnalazione alla dogana quando si varca la frontiera, dimostrando la provenienza del denaro, almeno per cifre oltre i 10 mila euro», avverte Fabrizio Vedana, vice direttore generale di Unione Fiduciaria. «Non serve invece nessuna dichiarazione se il versamento avviene via bonifico, a meno che non si tratti di un Paese black list, nel qual caso scatta sempre la segnalazione all’antiriciclaggio». Il succo non cambia se ci si avvale di una fiduciaria italiana, cui però andrà pagata una commissione: la differenza sta solo nel fatto che il cliente non farà il bonifico a una banca estera, ma verso la fiduciaria dove ha aperto il conto, un trasferimento dunque all’interno del Paese. Sarà la fiduciaria poi a occuparsi dei trasferimenti successivi verso un conto estero intestato a se stessa, e si farà carico anche degli aspetti fiscali, operando come sostituto d’imposta. Chi si intesta il conto direttamente invece dovrà compilare il quadro RW nella dichiarazione dei redditi e provvedere al pagamento delle tasse su eventuali redditi e capital gain.
Più veloce può essere la strada di aprire un conto online su una banca estera. Di gran moda oggi è Number26 (N26), banca web che, nata in Germania nel 2013, nel 2017 contava già 300 mila clienti in 17 Paesi europei e ha ottenuto una licenza bancaria dalla Bce: con l’iPhone il conto si può aprire in 15 minuti e consente piena operatività e non prevede costi. «Unico neo: la scarsa trasparenza dell’istituto», spiega Vincenzo Somma, direttore di AltroConsumo Finanza. «L’ultimo bilancio pubblicato risale al 2016 e la società non fornisce informazioni di sorta». Un’altra possibilità è offerta dal conto PostFinance, le poste svizzere: consente di depositare la liquidità e fornisce anche un bancomat. Oltre alla vicinanza, il maggiore vantaggio è che, a differenza di tanti istituti bancari internazionali, si tratta di una società solida che gode di un rating tripla A, e che è fuori dall’area euro. «Il contro è che prevede un costo di almeno 300 euro l’anno», aggiunge Somma.

Ma se è facile portare i soldi all’estero, la cattiva notizia è che questi conti non riparano da tutto, di sicuro non dalla patrimoniale (vedere box in pagina), e che anche la tutela nei confronti di bail-in, Italexit o default dell’Italia è tutta da dimostrare. La patrimoniale peraltro rappresenta l’ipotesi più probabile. Il timore infatti è che, a meno di un deciso cambio di rotta della politica economica del governo giallo-verde, nei prossimi mesi l’Italia sarà messa a dura prova da downgrade delle agenzie di rating, ampliamento dello spread e attacchi speculativi. «A quel punto, come già nel 2011, è facile prevedere un cambio al vertice con l’insediamento di un governo tecnico che, come sempre chiesto dall’Europa, sposterà le imposte dai redditi al patrimonio dei cittadini», prosegue Somma: «largo quindi ad aumento dell’Iva, delle imposte di successione e di quelle sui titoli finanziari, ritorno di Imu e Tasi sulla prima casa e rincaro di quelle sugli altri immobili e così via». A quel punto il conto all’estero non potrà tutelare da una patrimoniale sul valore di tutte le attività finanziarie, a cominciare da un incremento dell’Ivafe, l’imposta di bollo che viene applicata sui conti oltrefrontiera. Questo perché, tranne i Paesi black list, oltre 100 Paesi al mondo si sono impegnati a inviare informazioni al fisco italiano. Fanno eccezione gli Stati Uniti, ma portare là i capitali senza farsi scoprire dal fisco italiano è molto difficile. «Il gioco inoltre non vale la candela», prosegue Vedana. «A fronte per esempio un aumento dell’Ivafe dall’attuale 0,2% allo 0,4%, si rischia una sanzione dal 10% al 50% del valore dell’operazione non dichiarata nel modello RW. L’unica alternativa, per chi riesce a spostare i capitali di nascosto, è riconvertirli in beni fisici, per esempio l’oro, da detenere poi in una cassetta di sicurezza, che può stare anche in Italia purché non in banca ma presso un soggetto terzo che le custodisca. Fuori dai vari controlli sono anche i bitcoin, ma anche in questo caso ci si assumono dei rischi che cozzano col desiderio di sicurezza che spinge a esportare i capitali».

Migliore invece la tutela offerta dai conti all’estero nei confronti di fallimento bancario e default dell’Italia. Ma non tutti. Sotto questo profilo va innanzitutto valutato il rating dell’istituto scelto. Meglio inoltre che si tratti di un istituto extra Ue perché, così come accaduto nel caso di Lehman Brothers, il default dell’Italia o di una grossa banca tricolore si ripercuoterà su tutti gli istituti europei. «Attenzione anche agli istituti di matrice anglosassone per i quali il bail-in è normale pressi, cioè è normale che il correntista si faccia carico del fallimento della propria banca», prosegue Somma. «La sicurezza offerta dai conti online non è poi la stessa in tutti i casi. Per fare un esempio, sicura in questo senso è N26, mentre le stesse garanzie non vengono offerte per esempio da conti presso Ing o Binck Bank, entrambe di diritto olandese, perché i loro conti hanno un Iban italiano. E lo stesso vale per i conti aperti presso la filiale estera di una banca italiana».
Copertura più efficace offrono i fondi diritto lussemburghese e alcuni corporate bond, che dovrebbero essere rimborsati nella stessa valuta in cui sono stati emessi. Per questi ultimi va però letto attentamente il prospetto informativo: «Dopo la crisi del debito sovrano di diversi Paesi europei, molti emittenti hanno inserito la cosiddette clausola di euro breaking up, che in caso di uscita dall’euro prevede la riconversione nella nuova valuta. Nessuno del resto vuole saldare un debito in costosi euro quando può farlo in lire che secondo le stime varranno almeno il 30% in meno. (riproduzione riservata)