Papa Francesco e il bilancio del Vaticano da risanare: ecco la sfida sui conti che attende il successore di Bergoglio
Papa Francesco e il bilancio del Vaticano da risanare: ecco la sfida sui conti che attende il successore di Bergoglio
Papa Bergoglio ha segnato un’epoca di riforme finanziarie. Però non ha risanato i conti tra donazioni in calo, spese della Curia non contenute e buco del fondo pensioni. Solo da Ior e Apsa attesa una boccata d’ossigeno. Il nuovo pontefice dovrà attuare una vera spending review. Ecco i punti chiave 

di Fabrizio Massaro 25/04/2025 21:31

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«Il nuovo Papa? Non avrà neanche il tempo di dire due preghiere. Dovrà farsene bastare una sola, poi deve mettersi a studiare i bilanci. Qui le cose vanno male, lo sanno tutti…». La voce raccolta dentro le Mura vaticane è di una fonte che il denaro della Santa Sede lo maneggia. E sa che uno dei problemi più gravi che il successore di Jorge Mario Bergoglio dovrà affrontare come capo di Stato sarà quello di mettere ordine nei bilanci.

Francesco nei suoi dodici anni di regno ha avuto un grande merito, da tutti riconosciuto: aver rivoluzionato le regole relative alle finanze vaticane. Ha riformato lo Ior rendendolo conforme alle norme internazionali in materia di antiriciclaggio; ha creato le figure del revisore generale e un ministero ad hoc, la Segreteria per l’Economia; ha sottratto alla Segreteria di Stato i fondi riservati in seguito allo scandalo mondiale dell’investimento nel palazzo di Londra di Sloane Avenue che ha causato perdite per centinaia di milioni di euro e portato alla clamorosa condanna a 5 anni e mezzo del cardinale Giovanni Angelo Becciu; ha accentrato presso l’Apsa tutti i beni immobili e decretato che la gestione di tutti i beni mobili passasse interamente allo Ior. Tutte norme che sono valse al Vaticano l’ingresso nella white list dei Paesi virtuosi, sulla base di accordi internazionali che vanno rispettati costantemente.

Ma dove Francesco ha lasciato l’opera incompiuta è nel risanamento dei conti pubblici della Santa Sede. Da un lato le spese continuano ad aumentare; dall’altro le entrate, in particolare quelle dalle donazioni dei fedeli, diminuiscono costantemente. Risultato: il Vaticano è in deficit strutturale per oltre 70 milioni circa l’anno. Se in assoluto possono apparire cifre non enormi, vanno rapportate al bilancio del Vaticano, che ha ricavi di poco superiori al miliardo di euro. Insomma, come hanno spiegato più volte i responsabili dell’Economia, la Santa Sede propriamente detta ha un bilancio paragonabile a quello di una media università americana, con un patrimonio stimato in circa 4 miliardi di euro. Solo che non ha tasse - né universitarie né di altro tipo - da riscuotere e che all’occorrenza può aumentare. Può contare solo sugli incassi dei Musei Vaticani, sui turisti di San Pietro, sui diritti dei libri del Papa e di altre pubblicazioni, e poi su quanto arriva dalle due vere macchine economiche del Vaticano: l’Apsa e lo Ior.

Le stime sui deficit

Cifre ufficiali non ce ne sono, perché è dal 2022 che il Vaticano non pubblica un bilancio consolidato finale. Secondo quanto circolato ufficiosamente, nel 2023 le spese sono state 1.236 milioni (+33 milioni) a fronte di ricavi pari a 1.152 milioni di euro (+28 milioni). Insomma un deficit di 84 milioni di euro circa, in aumento rispetto ai 78 milioni del 2022. Secondo quanto riportato da Repubblica, per il 2024 le stime di deficit erano di 87 milioni di euro, ma a fine anno sarebbe risultato in contenimento attorno a circa 70 milioni di euro.

Il bilancio consuntivo dell’anno appena trascorso dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. E dovrebbe beneficiare delle gestioni patrimoniali di Ior e Apsa, che secondo quanto risulta a Milano Finanza dovrebbero chiudere con risultati in forte crescita. Merito sicuramente del buon andamento dei mercati mondiali e dell’attività specifica dei due enti, che avrebbero colto il giusto timing per uscire dagli investimenti portando a casa significative plusvalenze.

Lo Ior dovrebbe approvare il bilancio certificato la prossima settimana. Per le opere di carità del pontefice - cui la banca gira direttamente una buona fetta degli utili - si prospetta un contributo superiore ai 13,6 milioni del 2023 (quando aveva chiuso con 30,6 milioni di utili). Il 2024 dovrebbe essersi concluso con profitti più corposi.

Anche l’Apsa - secondo indiscrezioni - dovrebbe presentare risultati record nel bilancio 2024 che verrà approvato a luglio, grazie al buon andamento dell’area finanza e di quella immobiliare. Sarebbero state realizzate forti plusvalenze su alcuni titoli e la liquidità investita in gestioni patrimoniali prudenti che anche oggi sarebbero sopra il benchmark. Sarebbero stati anche messi tutti a reddito gli immobili affittabili: in totale Apsa ne gestisce oltre 5 mila, di cui 4.200 in Italia. Ma oltre il 78% è a canone nullo, perché occupati dai dicasteri vaticani. Nel 2023 la «banca centrale del Vaticano» presieduta dall’arcivescovo Giordano Piccinotti e guidata dal segretario Fabio Gasperini aveva ottenuto un utile di 45,9 milioni di euro, con 37,9 milioni girati alla Curia Romana. Ora si prevedono contribuzioni più alte.

La spending review di Francesco

Per l’anno in corso però la situazione è stata a lungo compromessa: il Vaticano ha di fatto operato nel primo trimestre in esercizio provvisorio, perché il Consiglio per l’Economia presieduto dal cardinale Reinhard Marx aveva bocciato la prima versione del bilancio preventivo preparato dalla Segreteria per l’Economia guidata dal prefetto laico Maximino Caballero Ledo, proprio perché non prevedeva un contenimento del deficit secondo la spending review chiesta da Francesco.

Da gennaio a marzo quindi i vari dicasteri vaticani hanno operato sulla base del bilancio preventivo dell’anno prima, come disposto da Caballero Ledo. Solo un mese e mezzo fa il nuovo bilancio 2025, con un deficit più contenuto, sarebbe stato approvato. Anche qui il verbo al condizionale è d’obbligo perché non ci sono comunicazioni ufficiali.

Toccherà al nuovo pontefice mettere mano a un piano di riduzione dei costi strutturale, anche se questo - dicono a mezza bocca varie fonti all’interno delle Mura - potrebbe comportare di dover mettere mano al numero dei dipendenti, sia pure con tutte le tutele possibili. Chi avrà la forza di farlo?

Le donazioni e la nuova commissione

Due fattori concomitanti come il Giubileo in corso e l’emozione suscitata dalla morte di un Papa tanto popolare come Francesco potrebbero spingere in alto le donazioni, a partire dall’Obolo di San Pietro, la raccolta mondiale di fondi che si tiene ogni anno il 29 giugno.

Ce ne sarebbe bisogno, perché anno dopo anno il bilancio della colletta si è rivelato sempre più magro: nel 2023 il Fondo Obolo aveva incassato 52 milioni, di cui 48,4 milioni di pure donazioni, ma aveva girato al Papa 109,4 milioni (attingendo dunque alle riserve). Anche nel 2024 si sarebbe fermato a un terzo di quanto si incassava negli anni d’oro: nel 2009 le donazioni superavano gli 82 milioni di euro.

Dall’Obolo arriva buona parte del sostentamento della Curia romana, ovvero di tutti quei ministeri che sono al servizio della missione universale del Papa e della Chiesa. Ai poveri, alla carità, va da sempre appena il 10% circa di quanto raccolto. Solo dal 2021 la Santa Sede pubblica alcuni dati relativi all’Obolo, una trasparenza resa necessaria dopo gli scandali.

L’allarme di Parolin sulle donazioni

Le donazioni languono, lo sanno da tempo in Vaticano. Lo scorso maggio in un’intervista a Milano Finanza lo aveva confermato lo stesso Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin: «Oggi tutti fanno fatica a sopravvivere e anche la Santa Sede non ha facilità, soprattutto tenendo conto che la Santa Sede, oltre a queste utilità vive soprattutto della carità dei cattolici nel mondo, della loro generosità». Che però sta calando perché - ammetteva il cardinale - «c’è meno sensibilità in questo senso».

Così il Papa ha dovuto operare una stretta alle spese, anche con gesti simbolici: ai cardinali ha tagliato gli affitti di favore per i loro appartamenti e poi ha ridotto di circa il 10% quello che una volta si chiamava «piatto cardinalizio», ovvero lo stipendio, in media oltre 5 mila euro al mese.

Poi l’11 febbraio, poco prima di essere ricoverato per la polmonite, ha disposto con un chirografo il varo di un nuovo organismo, la Commissio de donationibus pro Sancta Sede: una commissione per «incentivare le donazioni con apposite campagne presso i fedeli, le Conferenze episcopali e altri potenziali benefattori». La commissione avrà la funzione di «strumento di coordinamento di altre modalità di raccolta di fondi, istituzionalizzate o meno», come quelle delle diocesi e dell’Obolo di San Pietro. La notizia è stata comunicata dalla Santa Sede solo il 26 febbraio, dopo la visita dello stesso Parolin al pontefice in ospedale: segno che la materia è caldissima e non poteva attendere.

Il nodo del fondo pensione

Tra i problemi più gravi che il nuovo pontefice dovrà affrontare c’è poi quello della sostenibilità del fondo pensioni dei dipendenti vaticani - quelli laici sono circa quattromila - considerata gravemente a rischio. Il buco non è dichiarato, come hanno lamentato i dipendenti: le cifre circolate variano tra più di 500 milioni di euro fino a 1 miliardo di disavanzo prospettico. Lo stesso Francesco lo scorso novembre, commissariando il cda del Fondo e affidandolo al cardinale Kevin Farrell (l’attuale Camerlengo) come commissario, in una lettera inviata al Collegio dei Cardinali si mostrava ben consapevole del fatto che «occorrono provvedimenti strutturali urgenti, non più rinviabili, per conseguire la sostenibilità del Fondo Pensioni» e che bisogna «assumere decisioni non facili che richiederanno una particolare sensibilità, generosità e disponibilità al sacrificio da parte di tutti».

Una pezza dovrebbe metterla quest’anno - secondo quanto risulta a Milano Finanza - l’Apsa, che nel 2024 ha effettuato alcune operazioni straordinarie che dovrebbero aver portato in cassa ricche plusvalenze che l’ente girerà proprio al Fondo pensioni. Ma, per quanto importante, è una misura-tampone, non un rimedio definitivo.

La decadenza dei vertici finanziari della Santa Sede

A gettare ancora più nell’ombra - almeno temporaneamente - le finanze del Vaticano è l’automatica decadenza di tutti i posti di vertice della Curia romana in seguito alla morte del Pontefice. Il nuovo Papa dovrà quindi scegliere i nuovi amministratori: di solito si mantengono i titolari per qualche tempo per poi sostituirli con persone di fiducia. Tra chi è decaduto c’è proprio il segretario (prefetto) per l’Economia, Caballero Ledo, così come il presidente dell’Apsa, mentre restano in carica i vertici dello Ior Jean-Baptiste de Franssu (presidente) e Gian Franco Mammì (direttore generale) in quanto la banca del Vaticano non è un’amministrazione della Curia romana propriamente detta.

Il parco agrivoltaico per la Città del Vaticano

Sono finiti nel congelatore anche operazioni importanti come l’accordo sulla extraterritorialità del parco agrivoltaico di Santa Maria di Galeria - l’area romana che ospita le antenne di Radio Vaticana - sul quale dovrebbe essere installato un mega parco di energia solare: renderà la Città del Vaticano il primo Stato carbon-free e farà risparmiare a regime 25-30 milioni di euro l’anno di bolletta, a fronte di un investimento di circa 100 milioni. Anche questo dossier sarà in bella vista sulla scrivania del nuovo pontefice.

Ma soprattutto il nuovo Papa dovrà confermare o meno l’impostazione impressa da Francesco alle regole finanziarie. Bergoglio ha dovuto ribadire solo pochi mesi fa un punto chiave della sua riforma, cioè che i beni del Vaticano sono gestiti centralmente dallo Ior. Eppure gli enti non si adeguano: lo si vede dalle masse in gestione allo Ior, che non sono aumentate da un anno all’altro. L’addio a decenni di gestione autonoma (e spesso opaca) da parte dei singoli enti vaticani non è stato facile da far passare, neanche per un uomo forte come Bergoglio. (riproduzione riservata)