Ue, debito comune e tasse sulla ricchezza per finanziare una transizione giusta e equa. La ricetta del commissario Nicolas Schmit
Ue, debito comune e tasse sulla ricchezza per finanziare una transizione giusta e equa. La ricetta del commissario Nicolas Schmit
In Europa abbiamo una politica sulla concorrenza troppo incentrata sul mercato interno, che invece è sempre più integrato in una sfera globale. Per rispondere alla Cina e alle sue imprese sovvenzionate dobbiamo mobilitare le risorse dei privati verso quelle forme di investimento che incrementino produttività, industria e tecnologia. E sull’Italia Schmit insiste: serve il salario minimo 

di di Luca Carrello 19/07/2024 21:21

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«Ursula von der Leyen ha guidato l’Europa durante un quinquennio complicato e ha contribuito a una serie di cambiamenti epocali, che garantiranno l’esistenza stessa dell’Unione. Quindi penso che la continuità legata alla sua rielezione sia un fattore positivo perché permetterà di portare avanti le riforme sociali già avviate». Il commissario per il Lavoro e i Diritti Sociali, Nicolas Schmit, si mostra convinto: i nuovi vertici europei hanno tutte le carte in regola per affrontare le grandi sfide che l’Ue ha davanti a sé. «Penso che Roberta Metsola sia una buona leader, mentre il futuro presidente del Consiglio, il socialista Antonio Costa, saprà coltivare la cultura del compromesso di cui tanto ha bisogno l’Unione, senza trascurare i valori».

Domanda. Lei era il candidato dei socialisti per la Commissione. Qual era la sua visione d’Europa?

Risposta. Se avessi avuto la possibilità di chiedere la fiducia al Parlamento Europeo avrei presentato un programma non completamente diverso da quello di von der Leyen, ma con sostanziali differenze sui temi sociali. Nell’Ue c'è un malessere crescente, emerso in particolare durante le elezioni francesi, perché gli europei hanno smesso di credere in una transizione giusta ed equa. Di conseguenza mi sarei soffermato su come finanziare gli enormi investimenti che l’Europa dovrà sostenere nei prossimi anni sul Grean Deal e sulle infrastrutture, ma anche su digitale, ricerca e salute.

D. Cosa suggerisce?

R. I fondi pubblici saranno decisivi. Il Next Generation Eu è stato un importante passo avanti però scadrà nel 2026. Dopo servirà un nuovo strumento, ancora più incisivo e in grado di fornire maggiori certezze. Ma per raggiungere la necessaria potenza di fuoco all’Europa non basterà rimborsare quel che spende: dovrà trovare sempre altre risorse e allora il tema della tassazione diventa centrale.

D. Cioè?

R. Dobbiamo rendere il nostro sistema fiscale più efficiente, equo e giusto. Per riuscirci dovremmo capire come tassare la ricchezza per farla diventare la fonte principale dell’enorme mole di investimenti che ci occorrono. Non possiamo chiedere un sacrificio solo alla classe media: anche le aziende dovranno contribuire. La global minimum tax del 15% per le multinazionali è un buon punto di partenza, anche se va attuata. Poi non è possibile che non esista una tassazione armonizzata sui buyback: le società continuano a spendere centinaia di miliardi per riacquistare le proprie azioni e così arricchiscono solo gli azionisti.

D. Imposte più eque basteranno a finanziare gli investimenti?

R. No. Per trovare le altre risorse dovremo rivedere le regole sugli aiuti di Stato, che non significa consentirli senza condizioni. Sarebbe d’aiuto anche una forma di debito comune, ma in questi casi deve essere chiaro che quanto chiederemo in prestito andrà poi rimborsato. Il debito non è un miracolo e per restituirlo dovremo reperire nuove risorse.

D. Dove?

R. Ad esempio mobilitando i capitali privati, come suggerisce Enrico Letta nel suo lavoro che ho molto apprezzato. In Europa abbiamo una politica sulla concorrenza troppo incentrata sul mercato interno, che invece è sempre più integrato in una sfera globale. La competizione è più elevata, soprattutto da parte della Cina, che continua a sovvenzionare le sue imprese per permettergli di esportare a prezzi più concorrenziali. Per rispondere dobbiamo mobilitare le risorse dei privati e indirizzarle verso quelle forme di investimento necessarie a incrementare la produttività, l’industria e la tecnologia. Sarà questa la più grande prova della nuova Commissione: aiutare gli Stati membri e l'intera Europa a diventare più competitiva. Una sfida che ad oggi stiamo perdendo perché non siamo capaci di investire abbastanza.

D. Oltre alla mancanza di fondi le aziende, soprattutto quelle italiane, lamentano l’assenza di personale qualificato. Come mai?

R. Di nuovo, si tratta di investire di più nella formazione e nelle competenze necessarie per inserire le persone nel mondo del lavoro. La carenza di manodopera è un fenomeno presente in quasi tutti gli Stati Membri, ma l’Italia l’avverte in particolare a causa della crisi demografica e del basso tasso di occupazione, inferiore al 70%. Allo stesso tempo, quello di disoccupazione si aggira intorno all’8% perché ci sono migliaia di individui che potrebbero cercare un lavoro, ma per motivi diversi non lo fanno, per esempio per una mancanza di strumenti e informazioni necessarie, o per l’assenza di supporto economico. Mi riferisco in particolare ai giovani, che potrebbero non aver ricevuto una formazione adeguata, soprattutto in ambito tecnico.

D. In Italia anche l’occupazione femminile stenta.

R. La partecipazione delle donne italiane al mondo del lavoro è tra le più basse d’Europa, ma in questo caso il tema non è la scarsa istruzione, quanto la mancanza di infrastrutture dedicate all’infanzia. Anche in questo caso bisogna investire per colmare queste carenze e permettere alle donne di trovare un’occupazione. Il Pnrr sarà decisivo perché, se ben speso, vi fornirà le risorse necessarie a rafforzare gli asili nidi, i servizi per l’infanzia e la formazione professionale.

D. Un’altra contraddizione italiana sono gli stipendi ridotti. Come mai?

R. In Italia c’è un problema di sommerso perché i salari sono troppo bassi. Così può succedere che molti italiani si sentano costretti a preferire un contratto irregolare, a cui corrisponde uno stipendio più alto. Uno dei risultati più importanti che ho raggiunto in questi anni da commissario è proprio la direttiva sul salario minimo, che da voi non si applica perché avete una copertura dei contratti collettivi tra le più alte d’Europa. Eppure siete anche uno dei Paesi con gli stipendi più bassi del continente. Perché è vero, ci sono tanti settori con retribuzioni eque, ma ce ne sono molti altri in cui la realtà non rispecchia le garanzie contenute nei contratti collettivi. Quindi direi che all’Italia serve una riflessione oggettiva sul tema, priva di risvolti ideologici. Altrimenti i vostri giovani continueranno a fuggire all’estero per trovare un salario dignitoso che gli consenta di vivere. (riproduzione riservata)