Tim sta per riavere indietro il canone concessorio versato allo Stato nel 1998. A sciogliere l’ultima riserva è stata la Corte di Cassazione, che ha confermato la restituzione del canone concessorio versato dalla società di telecomunicazioni oltre vent’anni fa. In totale – tra rivalutazione e interessi – arriverà nelle case di Tim oltre un miliardo di euro.
La decisione della Suprema Corte rigetta il ricorso presentato dalla presidenza del Consiglio dei ministri e conferma in via definitiva quanto dichiarato dalla Corte d’appello di Roma nell’aprile 2024. Il Tesoro, però, si già preparato all’esborso, rifinanziando con la manovra 2026 il Fondo per i contenziosi legali.
Ma per la società guidata da Pietro Labriola, la sentenza della Cassazione non rappresenta solo la conclusione di una partita legale durata oltre vent’anni. Il rimborso di oltre 1 miliardo, che dovrebbe valere già sul bilancio del 2025, dovrebbe far tornare in utile la capogruppo Tim spa. Se così sarà, il gruppo tlc dovrebbe pagare i dividendi privilegiati in arretrato agli azionisti delle azioni di risparmio di Tim.
Si tratterebbe di circa 170 milioni annui al massimo per esercizio, per tre complessivi: i due arretrati (2023 e 2024) e quello attuale (2025). Una dinamica che, nel complesso, potrebbe portare nelle tasche dei titolari delle risparmio un introito complessivo fino a mezzo miliardo di euro.
Labriola aveva già promesso una distribuzione di 350 milioni nel 2026, probabilmente attraverso un buyback, derivanti dalla cessione della società dei cavi sottomarini Sparkle (valutazione intorno a 700 milioni), il cui closing è atteso nel primo trimestre del 2026. Alla luce della sentenza della Cassazione e della possibile chiusura in utile già dell’esercizio 2025, gli azionisti di Tim potrebbero vedere il ritorno dei dividendi nelle loro tasche già nel 2026. Sarà da monitorare la reazione degli investitori alla notizia: il 19 dicembre le ordinarie hanno chiuso a 0,5 euro, mentre le risparmio a 0,574 euro. (riproduzione riservata)