Tether, quel primo incontro a Londra fra Ardoino e Devasini
Tether, quel primo incontro a Londra fra Ardoino e Devasini
Dalla startup Fincluster all'hackeraggio di Bitfinex, l’incredibile storia dei due italiani diventati ricchissimi con le criptovalute 

di di Marcello Bussi 07/11/2025 20:20

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Paolo Ardoino e Giancarlo Devasini si sono incontrati per la prima volta a Londra alla fine del 2014. L’anno precedente Ardoino era sbarcato nella capitale britannica per fondare la startup Fincluster, basata su un software da lui sviluppato in Svizzera per gestire i portafogli di banche e hedge fund. Per lanciarla Ardoino aveva raccolto 350.000 euro di investimenti.

Il ligure informatico

Ardoino è nato in un paesino dell’entroterra ligure, Cisano sul Neva, alle spalle di Albenga, e suo padre era un impiegato dell’Enel appassionato di computer. Un giorno, quando Paolo aveva 8 anni, gliene regala uno con l’avvertenza: «Costa due dei miei stipendi, non distruggerlo come fai di solito». Il bambino impara in fretta a programmare dei giochini e all’inizio dell’università (si è laureato a Genova in informatica) ne lancia uno che ottiene un certo successo: si chiama Worldwide ed è una sorta di risiko.

Diventato ricercatore all’università, segue un progetto per lo sviluppo di sistemi di comunicazione nei campi di battaglia. E lì capisce l’importanza della decentralizazione. Ma guadagnare 800 euro al mese per lavorare su un appalto del valore di qualche centinaio di milioni gli risulta un po’ frustrante. Così decide di guardare al mondo della finanza, dove si fanno davvero i soldi. Si accorge che le banche hanno dei software arretrati, «tenuti insieme con spago e chewingum», afferma. Capisce subito che in questo campo può far valere le sue capacità.

Arriva Merlin

Ardoino si trasferisce a Londra e la sua startup, Fincluster, parte con il piede giusto. Verso la fine del 2014 gli si presenta davanti uno spilungone di vent’anni più vecchio che ha una delle prime borse di criptovalute: Bitfinex. Si tratta di Devasini, nato a Torino nel 1964 ma cresciuto a Casale Monferrato. Si laurea in medicina nel 1990, comincia a fare pratica di chirurgia estetica nella clinica Villa Letizia di Milano ma ben presto ha una sorta di crisi mistica. «Tutto il mio lavoro mi sembrava un imbroglio, lo sfruttamento di un capriccio», ricorda in una rarissima intervista rilasciata nel secolo scorso al sito di una galleria d'arte. Il giorno dopo non si presenta in clinica. Passa un mese ed è già «a Hong Kong a cercare di fare due lire», come ricorda un suo amico d’infanzia.

Dopo varie vicissitudini nel mondo del software, Devasini scopre il bitcoin. Folgorato sulla via di Damasco, comincia a comparire sulle chat di settore con lo pseudonimo Merlin. Nota Bitfinex, una piccola borsa cripto creata da un giovane francese, Raphael Nicolle. Il ragazzo è il classico nerd, che al di fuori dei codici non sa come gira il mondo. Merlin invece lo sa bene e aiuta Nicolle a mettere in piedi una struttura più solida. In breve tempo, Devasini diventa il primo socio di Bitfinex, che comincia ad attirare volumi di scambio sempre più grossi. C'è bisogno di migliorare il software. Gli segnalano un giovane italiano, Ardoino, che potrebbe fare al caso suo. I due si incontrano.

Software e criptovalute

All’inizio Devasini gli affida un incarico semplice: integrare un software americano per rendere più efficiente il trading di Bitfinex. Un impegno part-time perché Ardoino vuole continuare a portare avanti la sua startup. Ma i volumi di scambio di Bitfinex aumentano sempre di più e il giovane informatico capisce che per tenere il passo bisogna preparare un software nuovo. Ardoino chiede un anno di tempo per farlo, nel frattempo è disposto ad aggiornare ogni mese il sistema già esistente. Devasini accetta. A soli due mesi dall’arrivo di Ardoino, Bitfinex riesce a gestire 300 ordini al secondo dai 50 iniziali. Dopo un anno il nuovo software è pronto e può sostituire quello vecchio, dando un’ulteriore spinta all’efficienza del sistema.

Tutto va bene fino a quando il 2 agosto 2016 Bitfinex non viene hackerato. Vengono rubati 119.754 bitcoin, che all’epoca valevano 72 milioni di dollari. Devasini elabora un metodo per rimborsare le vittime dell’hack: viene creato il token Bfx, che i clienti possono vendere subito sul mercato in cambio di dollari; oppure aspettare di essere rimborsati un dollaro per token con i profitti realizzati nel frattempo da Bitfinex. Terza opzione: possono convertire i token in equity.

Il miracolo

Ovviamente all’inizio sono stati subito venduti molti token, il cui valore è sceso dal nominale di 1 dollaro a 20 centesimi. Ma avviene il miracolo: nell’ottobre 2016 inizia un vertiginoso rally del bitcoin, che durerà poco più di un anno. I clienti cominciano quindi a tornare su Bitfinex, che nel giro di un mese ridiventa la prima borsa cripto per volumi di scambio.

Così arriva il primo milione di profitti e Bitfinex fa il primo buy back del token Bfx. Da 72 milioni di token in circolazione si scende a 71. Il secondo mese vengono fatti utili per 4 milioni, i token diminuiscono a 67 milioni e il loro prezzo comincia a salire. Poiché il rally del bitcoin continua, gli investitori iniziano a convertire i token in equity. Così alla fine viene rimborsato tutto, dice Ardoino. Da lì comincia un’altra incredibile storia che lo porterà a essere ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump. (riproduzione riservata)