Tassi, ecco come sarà il 2026 delle banche centrali. Sulla Fed arriva il ciclone Trump, Bce in posizione migliore
Tassi, ecco come sarà il 2026 delle banche centrali. Sulla Fed arriva il ciclone Trump, Bce in posizione migliore
Il nuovo presidente dopo Powell sarà più attento alle pressioni per tagliare i tassi nonostante la crescita del pil. Il rischio è un’impennata dell’inflazione negli Stati Uniti

di Francesco Ninfole 26/12/2025 20:00

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«L’età dell’oro economica di Trump procede a pieno ritmo. E non avete ancora visto nulla!», ha scritto il presidente americano dopo i dati sopra le attese del pil degli Stati Uniti, cresciuto del 4,3% (a livello annualizzato) nel terzo trimestre.

Il problema è che, se davvero si vuole credere a un boom duraturo dell’economia Usa, allora è impossibile conciliarlo con un calo dei tassi, soprattutto considerando che l’inflazione negli Stati Uniti resta vicina al 3% e lontana dal target del 2%.

Eppure proprio Trump continua a chiedere tagli: «Voglio che il nuovo presidente della Fed abbassi i tassi», ha detto a fine dicembre, aggiungendo poi: «Chiunque non sia d’accordo con me non diventerà mai presidente della Fed!».

Queste parole fanno capire quanto difficile sarà il cammino della Fed nel 2026, a livello economico e istituzionale. Il mandato del presidente Jerome Powell terminerà a maggio.

I favoriti per prendere il suo posto sono Kevin Hassett (fedelissimo di Trump e presidente del National Economic Council), Kevin Warsh (ex membro Fed, con un passato da falco poi allineatosi alle politiche trumpiane) e Christopher Waller (attuale membro Fed secondo cui i tassi potrebbero essere ridotti ancora dello 0,5%-1%).

I mercati temono soprattutto la nomina di Hassett, ma è chiaro che qualunque sia il nuovo presidente la Fed sarà più incline a tagliare i tassi.

Non a caso Bofa prevede due sforbiciate a giugno e luglio, cioè proprio dopo la fine del mandato di Powell.

Ma alcuni osservatori fanno notare che il board Fed resterà in maggioranza non trumpiano: ciò vuol dire che il nuovo presidente dovrà comunque convincere gli altri banchieri centrali e avrà davanti a sé un percorso a ostacoli.

A livello economico, i tagli potranno essere giustificati (perlomeno fino a un certo punto) con la debolezza del mercato del lavoro, seppure in un contesto di crescita del pil sostenuta.

La narrativa generale potrà essere quella di un boom dell’intelligenza artificiale, tale da spingere l’economia ma non l’occupazione (che è parte del mandato duale della Fed).

Si vedrà se questa linea sarà confermata dai dati economici, che peraltro nelle ultime settimane sono stati condizionati dallo shutdown anche a livello qualitativo.

Lo si è visto già con l’inflazione di novembre che è scesa al 2,7% (dal 3% di settembre, in assenza del valore di ottobre): la piena affidabilità del dato è stata però contestata dagli economisti di mercato proprio a causa dell’interruzione di alcune misurazioni per lo shutdown.

I prezzi restano un ambito problematico per la Fed: il 2% di inflazione è a distanza e potrebbe allontanarsi ulteriormente quando l’effetto dei dazi, finora compensato da una compressione dei margini aziendali, verrà passato in misura maggiore ai clienti finali.

Il ministro dell’Economia Scott Bessent ha persino evocato la possibilità di cambiare in futuro l’obiettivo sul carovita: non più il 2%, ma una fascia attorno a quel livello (1,5-2,5% o 1-3%).

In questo contesto il rischio maggiore per la Fed, e anche per Trump, è un disancoraggio delle aspettative di inflazione nel medio-lungo termine.

In tal caso ci sarebbe un rialzo dei tassi di mercato (anche in presenza di tagli Fed) che renderebbe più difficile la sostenibilità dell’ingente (e crescente) debito americano.

Un vero boomerang per Trump. Che a livello politico non potrebbe nascondere a lungo al suo elettorato l’aumento dell’inflazione, dopo aver vinto le ultime elezioni proprio grazie alle campagne contro l’aumento dei prezzi negli anni di Joe Biden (dovuti però in buona parte a Covid e prezzi dell’energia).

«I tagli dei tassi in un momento di crescita nominale così elevata potrebbero creare le condizioni per un’inflazione persistentemente elevata», ha osservato Berenberg. «Forse la Fed dovrà presto spostare l’attenzione dalla debolezza del mercato del lavoro all’inflazione superiore all’obiettivo».

I mercati monetari scontavano a fine 2025 due sforbiciate da parte della Fed entro ottobre, con una possibilità su quattro di ulteriore intervento entro fine 2026.

L’outlook per la Bce

Il cammino della Bce dovrebbe essere più tranquillo, almeno in teoria. Secondo gli operatori monetari, la banca centrale presieduta da Christine Lagarde dovrebbe restare ferma nel 2026.

I timori di un rialzo dei tassi, come quello ipotizzato dal falco del board Isabel Schnabel a metà dicembre, sono stati in gran parte dissipati. Lagarde e gli altri membri del consiglio direttivo hanno chiarito che la Bce resta aperta a ogni opzione, anche quella di un nuovo taglio, se sarà necessario.

Al momento le proiezioni di Francoforte indicano uno scenario di base quasi ideale, con inflazione vicino all’obiettivo del 2% e crescita vicino al potenziale. Ma anche Lagarde ha riconosciuto che ci sono rischi significativi all’orizzonte, come quelli legati alle tensioni commerciali, alla guerra in Ucraina, al cambio, all’energia e al piano fiscale della Germania.

Il quadro appare simile a quello di fine 2019, quando la Bce sembrava orientata a mesi di tranquillità, mentre poi sono arrivati il Covid e la guerra in Ucraina. Lo ha osservato in un’intervista a Milano Finanza il governatore finlandese Olli Rehn, che però ha ricordato che una banca centrale non può mai mettere il pilota automatico, ma deve restare sempre attiva.

Molti economisti di mercato, e anche alcuni banchieri centrali come il francese François Villeroy de Galhau, al contrario di Schnabel vedono soprattutto rischi al ribasso per pil e inflazione. Le proiezioni Bce secondo diversi analisti potrebbero rivelarsi ottimistiche. Perciò Francoforte dovrà restare attenta agli sviluppi dell’economia.

Intanto da maggio la Bce avrà un nuovo vicepresidente al posto di Luis De Guindos, giunto a fine mandato: il favorito è Rehn, ma tra i candidati ci sono anche il lettone Martins Kazaks, l’estone Madis Muller, il croato Boris Vujcic e il portoghese Mario Centeno. (riproduzione riservata)