I membri del consiglio direttivo Bce hanno espresso opinioni divergenti sull’ipotesi di un altro taglio dei tassi e sulle prospettive di inflazione nell’Eurozona, secondo quanto emerso dai verbali della riunione del 30 ottobre a Firenze nella quale i tassi sono stati lasciati al 2%.
La Bce è rimasta ferma in attesa di «maggiori informazioni», secondo le minute. Il livello raggiunto dai tassi è stato considerato «sufficientemente robusto per gestire shock, considerando i rischi sull’inflazione al rialzo e al ribasso e l’ampio spettro di possibili scenari».
La banca centrale ha ritenuto di essere «in buona posizione» sui tassi ma, come ha precisato anche la presidente Christine Lagarde, questa posizione «non deve essere vista come fissa». Così non si può escludere che la Bce tagli ancora i tassi. I mercati non prevedono una riduzione a dicembre, ma scontano una probabilità su tre di una sforbiciata l'anno prossimo.
La decisione di ottobre di lasciare invariati i tassi è stata presa all’unanimità. Emergono invece differenze sulle prossime mosse. «È stato espresso il parere che la riduzione dei tassi fosse giunta al termine, poiché le attuali prospettive favorevoli sarebbero probabilmente rimaste invariate», è scritto nei verbali che hanno riportato così la visione dei falchi. Secondo questo punto di vista, «l’orientamento della politica monetaria non dovrebbe essere modificato in risposta a fluttuazioni moderate e temporanee dell’inflazione intorno all’obiettivo».
Le colombe hanno invece sottolineato l’importanza di «restare del tutto aperti alla possibilità di un altro taglio», soprattutto in caso di maggiori rischi al ribasso sull’inflazione. Secondo questa linea, «l’asticella per un nuovo intervento non dovrebbe essere vista più alta del normale». Questi banchieri centrali hanno osservato che la crescita potrebbe non essere sufficiente a raggiungere il target sul carovita e che la strategia Bce non prevede di ignorare deviazioni non ingenti dall’obiettivo del 2% nel medio termine.
In tema di inflazione, «alcuni» membri (colombe) hanno indicato maggiori rischi al ribasso, legati all’afflusso di prodotti cinesi (a causa dei dazi Usa), alla possibilità di crescita sotto le attese, all’alto tasso di risparmio, all’euro forte e ai limitati pericoli per le terre rare. «Pochi» membri (falchi) hanno invece evidenziato i rischi al rialzo sul carovita tra cui la frammentazione delle catene produttive globali. (riproduzione riservata)