Se Trump non capisce che il licenziamento di Powell sarebbe un disastro per il dollaro
Se Trump non capisce che il licenziamento di Powell sarebbe un disastro per il dollaro
Il presidente della Federal Reserve dà la priorità al contrasto all'inflazione, che rischia di aumentare a causa dei dazi imposti dal capo della Casa Bianca

di di Angelo De Mattia 22/04/2025 19:20

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I prossimi giorni saranno epocali per le vicende che seguono la scomparsa di un Papa, Francesco, che per la sua opera - e innanzitutto per essersi opposto al «vento» del mondo - lascia un'impronta indelebile, destinata a essere secolare nella Chiesa e nel globo. Ma mentre si svolge questo straordinario accadimento che ci avvolge in una grande tristezza mitigata, però, dalla speranza a cui Francesco teneva tanto, altri piccoli episodi di portata modestissima al confronto si profilano, a livello internazionale e nazionale, in settori specifici dell'economia e della finanza. Donald Trump rilancia gli attacchi al «perdente» presidente della Federal Reserve Jerome Powell, definito «Mr Too Late» («Signor troppo tardi»), mentre l'amministrazione continua a far sapere che sta esaminando come destituirlo perché resiste nel non volere abbassare i tassi di interesse pur essendo scesa «virtualmente» l'inflazione, come afferma genericamente Trump.

La continuazione di queste minacce non giova di certo ai mercati che reagiscono, come è accaduto lunedì 21 per la borsa americana con la caduta delle quotazioni. Non produce per investitori e operatori altro che incertezze e timori tentare di tenere sulla corda Powell, che dimostra fin qui di essere un hombre vertical, tenace difensore dell'autonomia della Federal Reserve e della propria discrezionalità tecnica che lo porta a dare la priorità al contrasto dell'inflazione per ottemperare a quello dei due mandati che riguarda il mantenimento della stabilità dei prezzi.

Rischio per la democrazia

Se poi si superasse la «linea rossa» e si passasse effettivamente a una misura, sicuramente arbitraria, di destituzione, allora il problema si ingigantirebbe, perché sarebbe la prova che il tycoon vuole una Fed asservita al governo, dunque priva di qualsiasi autonomia, neppure lontanamente potendo così essere ritenuta un contrappeso che, invece, è fondamentale per la democrazia. Gli impatti negativi anche a livello internazionale sarebbero sicuri e ne trarrebbe un grave danno il dollaro.

Insomma, l'amministrazione Usa dovrebbe capire, pur magari non credendo all'essenzialità di un corretto rapporto con la banca centrale rientrante nella logica dei pesi e contrappesi, che, messi su di un piatto della bilancia gli effetti di una destituzione e, sull'altro, quelli del taglio dei tassi ufficiali, alla fine peserebbero molto di più le conseguenze sicuramente distorsive della rimozione, che potrebbe altresì avere anche un seguito giudiziario per iniziativa di Powell, con tutto quel che ne discenderebbe.

Il risiko italiano

All'interno, invece, domani si tiene l'assemblea delle Generali che sempre più si va configurando, quanto all'elezione dei componenti gli organi societari, come un primo tempo, il secondo essendo collegato a quello che sarà l'esito dell'ops del Montepaschi su Mediobanca che del Leone di Trieste è la principale azionista con il 13% circa e ora presenta una propria lista per l'elezione in questione.

Dopo pochi giorni, il 28 aprile, dovrebbe partire l'ops di Unicredit sul Banco Bpm, a proposito della quale il governo ha legato il via libera secondo la normativa sul golden power all'assolvimento di una serie di condizioni riportate ieri su queste pagine. Ora sembrerebbe che l'istituto di Piazza Gae Aulenti si appresti a controdedurre nei confronti di tali prescrizioni, per adesso scegliendo la via di una lettera di risposta al governo, ma riservandosi di adire la giustizia amministrativa.

Vedremo quali saranno gli sviluppi di una vicenda che, essendo il primo caso di un impiego condizionato dei poteri del golden power, farà pure giurisprudenza. È del tutto esagerato, ferma ovviamente la piena legittimità per Unicredit di avvalersi di mezzi che l'ordinamento gli mette a disposizione per controdedurre, sostenere eventualmente gravi irregolarità nell'imporre le predette condizioni che sono previste dalla legge e trovano fondamento nel caso esaminato.

Così come si commette un errore se nel governo non si riesce a trovare la sintesi su di un provvedimento qual è quello in esame e ci si divide per parti della coalizione pro e contro, alimentando una concezione, vera o presunta, spartitoria di aree di influenza partitica nel settore bancario. Le condizioni imposte hanno una loro logica che scaturisce dalla configurazione dell'Unicredit come istituto suscettibile di rischio sistemico anche per il suo ruolo internazionale, donde il rilievo che nell'operazione hanno gli interessi strategici fondamentali del nostro Paese.

Naturalmente si spera che la disamina che si potrà svolgere al riguardo nelle diverse sedi istituzionali sia produttiva di positivi risultati. Ciò che appare necessario, stante la pluralità delle autorità che intervengono su operazioni quali le opa fra cui, da ultimo, ma non per importanza, il governo con il golden power, è definire una sorta di «riunione di servizi» in cui possa esservi almeno uno scambio tra le autorità stesse sui rispettivi orientamenti.

Certamente, quella della vigilanza bancaria e finanziaria è la valutazione principale; le altre comunque hanno un ruolo e sarebbero suscettibili di bloccare il percorso autorizzativo e magari, a motivo delle relative decisioni, comportare anche una nuova valutazione della medesima vigilanza. È una materia, insomma, sulla quale occorre intervenire in sede normativa, se possibile partendo da quel che compete all'Unione. Ciò, però, non può costituire un blocco per l'operazione in corso. Vedremo, comunque, in questa cruciale settimana gli sviluppi di vicende straordinarie e di altre di ben minore rilievo ma importanti. (riproduzione riservata)