Unicredit ha parlato chiaro: se non fosse stato per il freno imposto dal governo con il golden power, avrebbe già rilanciato su Banco Bpm. La lettera della Dg Comp, che ha criticato apertamente l'intervento dello Stato italiano, ha insomma fatto emergere un retroscena significativo. Di fronte al muro istituzionale, la banca guidata da Andrea Orcel si ritrova ora impigliata in una matassa fatta di vincoli politici e incertezze regolamentari.
E mentre il dialogo con Consob è in corso (un’informativa del ceo al cda sarebbe avvenuta venerdì 18), due appaiono le strade concretamente percorribili: ritirare l’ops per poi riproporla in autunno, magari con un quadro più chiaro, oppure prorogarla di qualche settimana accompagnandola con un rilancio. Ed è proprio quest’ultima ipotesi ad attirare oggi l’attenzione del mercato: sarebbe la conferma di un trend ormai strutturale nel risiko bancario italiano.
Negli ultimi mesi ogni operazione di m&a nel credito si è conclusa con un ritocco verso l’alto. Nell'opas su Illimity, per esempio, Banca Ifis ha legato un premio aggiuntivo del 5% al superamento del 90%, soglia effettivamente superata alla riapertura. Con questa mossa l’istituto veneziano ha portato a oltre il 10% il premio rispetto alla proposta originaria, valutando la target 0,4 volte il patrimonio tangibile.
Subito dopo è toccato a Bper. Il gruppo modenese, sostenuto dal socio Unipol, ha messo sul piatto un euro cash in più per la Popolare di Sondrio. Il premio rispetto al prezzo di partenza è così passato dal 6,6% al 17,8%, mentre la valutazione dell’istituto valtellinese è salita a 1,4 volte il patrimonio contabile. Tutte queste operazioni seguono lo schema inaugurato a febbraio da Banco Bpm nell’opa su Anima: anche in quel caso l’offerta è stata alzata da 6,2 a 7 euro per azione, con il via libera degli azionisti sulla base della passivity rule.
L’andamento è chiaro: le offerte si stanno costruendo su multipli crescenti e premi sempre più generosi. Già nei deal bancari degli anni scorsi — dal takeover su Ubi da parte di Intesa Sanpaolo all’opa di Crédit Agricole su Creval — l’offerta iniziale si è sempre rivelata solo il punto di partenza: in molti casi il premio finale ha superato di oltre 20 punti percentuali quello originario. Ma a differenza del passato, quando i deal si concludevano con valutazioni a sconto rispetto al patrimonio della target, oggi le proposte iniziali partono già a premio, come dimostrano i casi Banco Bpm-Anima e Bper-Sondrio.
E dove il rilancio non è ancora avvenuto, il mercato lo sta già scontando. Nell’ops di Unicredit su Banco Bpm e in quella di Mps su Mediobanca i premi dichiarati sono modesti, +0,5% e +5% rispettivamente. Ma i multipli delle prede sono già cresciuti in modo marcato: da 0,81 a 1,1 per Banco Bpm e da 1,24 a 1,5 per Mediobanca. È evidente che gli investitori si aspettano un miglioramento delle condizioni: solo per azzerare lo sconto oggi servirebbero 1,1 miliardi a Orcel e 540 milioni al ceo di Rocca Salimbeni Luigi Lovaglio. Per introdurre un ulteriore premio del 10% il conto salirebbe invece a 2,6 miliardi per Unicredit e a 1,53 miliardi per il Montepaschi.
A guidare questa corsa ai rilanci non sono soltanto logiche industriali. Alcuni analisti riconoscono i segnali di un effetto emulativo tra i contendenti in campo. Ogni mossa aggressiva spinge le altre banche a reagire. E ogni operazione portata a termine con un premio generoso crea un nuovo benchmark implicito. Ed è qui che il terreno può diventare scivoloso. «Il rischio è che i multipli siano sempre meno ancorati alla redditività e si aggancino invece a un’aspettativa generalizzata, se non a una pressione reputazionale», spiega un banker.
D’altra parte, in uno scenario incerto le valutazioni rischiano di poggiarsi su fondamenta instabili. Il calo dei tassi può comprimere il margine di interesse, fulcro della redditività bancaria, mentre il rallentamento economico potrebbe impattare negativamente sulla qualità del credito, aumentando le rettifiche su prestiti e riducendo l’appeal delle banche retail.
Non solo. Le offerte a premio rispetto al patrimonio della target comportano un avviamento (goodwill) nel bilancio del compratore. Questo valore immateriale non genera flussi di cassa e va monitorato nel tempo. Se i ritorni attesi non si realizzano o se si verificano deterioramenti nelle condizioni operative, il goodwill può essere svalutato appesantendo il patrimonio del compratore con un impatto negativo sui coefficienti regolamentari richiesti dalle autorità di vigilanza.
Molte operazioni di m&a del passato al contrario si chiudevano con un badwill, ovvero un prezzo di acquisto inferiore al valore contabile netto della target. In questi casi, il valore negativo del goodwill andava a incrementare l’utile e il patrimonio netto del compratore, generando un effetto positivo sui conti. È quanto è accaduto, ad esempio, nell’opa di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, ma anche nel recente salvataggio del gruppo svizzero Crèdit Suisse da parte di Ubs. A queste condizioni insomma comprare diventa ancora più conveniente.
Insomma premi elevati, anche se strategicamente giustificati, aumentano il rischio finanziario e contabile per chi acquisisce e richiedono un’attenta valutazione da parte del mercato. L’eccesso di fiducia nelle sinergie future e nelle economie di scala può portare a scivolose sopravvalutazioni. In uno scenario così carico di aspettative, banchieri come Orcel e Lovaglio devono bilanciare con precisione la convenienza strategica di un’offerta migliorata con il suo impatto sul capitale e sulla tenuta finanziaria nel medio termine. (riproduzione riservata)