Rame, effetto dazi: costa molto di più a New York che a Londra e il gap potrebbe ulteriormente allargarsi
Rame, effetto dazi: costa molto di più a New York che a Londra e il gap potrebbe ulteriormente allargarsi
La distorsione dei prezzi non è solo un’anomalia di mercato, ma un potenziale rischio macroeconomico. Le imprese, a fronte di maggiori costi, potrebbero scaricare i rincari sui consumatori finali, incidendo sui consumi

di Lorenzo Viale (Mf Newswires) 09/07/2025 18:24

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Il mercato del rame è entrato in una fase turbolenta dopo l’annuncio del presidente statunitense Donald Trump di voler imporre un dazio del 50% sulle importazioni del metallo a partire dal primo agosto. Il prezzo del rame sul mercato Comex di New York ha chiuso la seduta di ieri in rialzo di oltre il 13%, segnando il più forte incremento giornaliero dal 1989 e toccando il massimo storico di 5,69 dollari per libbra. Attualmente, il metallo tratta in calo del 2,24% a 5,56 dollari per libbra.

In confronto, sulla London Metal Exchange (Lme) i prezzi sono saliti solo dello 0,3% a 9.893,00 dollari per tonnellata (circa 4,49 dollari per libbra), accentuando il divario tra il mercato statunitense e il resto del mondo. Il premio Comex-Lme ha raggiunto livelli mai visti. Secondo la Benchmark Mineral Intelligence è cresciuto del 138% in una sola giornata, superando i 2.600 dollari a tonnellata.

La distorsione dei prezzi

Un gap che potrebbe allargarsi ulteriormente nei prossimi mesi: entro agosto, se la tariffa entrasse in vigore, i consumatori statunitensi potrebbero pagare fino a 15 mila dollari per tonnellata, contro i circa 10 mila pagati nel resto del mondo.

La distorsione dei prezzi non è solo un’anomalia di mercato, ma un potenziale rischio macroeconomico. «Tutti i beni che contengono rame, dai frigoriferi alle auto, passando per i progetti infrastrutturali, diventeranno più costosi», ha avvertito Daan de Jonge, analista di Benchmark. Le imprese, a fronte di maggiori costi, potrebbero scaricare i rincari sui consumatori finali, incidendo sui consumi.

Nel caso degli investimenti pubblici, l’aumento del costo delle materie prime, unito all’indebolimento del dollaro e a un debito federale più oneroso, potrebbe tradursi in minori risorse e tagli occupazionali negli Stati Uniti. Un’altra conseguenza collaterale, secondo gli esperti, potrebbe essere il ricorso a materiali sostitutivi. «L’alluminio, seppur meno efficiente, potrebbe diventare un'alternativa più conveniente al rame per alcuni utilizzi», ha spiegato de Jonge, avvertendo che il settore si avvicina a una «zona di rischio per la domanda».

Cautela da parte degli analisti

Nonostante l’impatto immediato, gli analisti di Global X invitano alla cautela nel valutare gli effetti di lungo periodo. «Un dazio del 50% sarebbe significativo e inatteso, ma non cambia i fondamentali strutturali della domanda globale, che restano tesi», spiegano. Gli Stati Uniti, infatti, dipendono ancora per circa il 50% dalle importazioni di rame, e un'espansione dell'offerta interna richiederà anni. Anche se i produttori e raffinatori statunitensi sono tra i beneficiari più evidenti, grazie a prezzi interni più alti e minore concorrenza, il quadro è più complesso per i fornitori internazionali. Canada, Cile e Australia rischiano di vedere erosi margini e ricavi a meno di esenzioni mirate, ancora oggetto di negoziazione.

Tuttavia, sottolinea Global X, «la natura globale del mercato del rame limiterà le perdite: le tonnellate di metallo escluse dagli Usa troveranno sbocco in Cina ed Europa, dove le scorte sono già ai minimi». (riproduzione riservata)