Gli occhi degli investitori italiani sono rivolti alla nuova edizione di Btp Valore, il Btp Più. La cedola crescente (step-up) è ormai un meccanismo rodato per questa famiglia di titoli di Stato, ma la vera novità del Btp Più è la possibilità di richiedere, dopo quattro anni sugli otto totali di durata del prestito, il rimborso anticipato alla pari dell’obbligazione. Le regole del gioco che il Mef sta offrendo sono chiare: via XX Settembre è disposta a rimborsare, al prezzo iniziale, uno strumento che potrebbe anche aver perso valore nel tempo. In cambio, verosimilmente, offrirà un po’ di meno rispetto al mercato.
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Attualmente il Btp standard a otto anni rende il 3,2%. Motivo per cui, tra i corridoi di case di gestione e banche d’affari, si sta ragionando sul Btp Più in un’ottica di 3% annuo. Il titolo potrebbe prevedere, osserva il senior portfolio manager di Symphonia sgr Alessandro Vitaloni, «un rendimento cedolare del 2,5-2,75% nei primi quattro anni, seguito da un aumento al 3,5-3,75% nei successivi quattro tramite un piano di step-up programmato». A differenza delle precedenti emissioni di Btp Valore stavolta il Mef ha però complicato un po’ il meccanismo del titolo (inserendo una cosiddetta opzione put). Ragion per cui questi valori cedolari medi potrebbero oscillare un po’ in un senso o nell’altro: ad esempio con un tasso più basso nei primi quattro anni e più alto nei successivi, o viceversa.
L’investitore individuale che fosse ingolosito dalla possibilità di rimborso anticipato e che volesse dare fiducia al nuovo esperimento del Mef (i tassi minimi garantiti saranno comunicati venerdì 14 febbraio, mentre il collocamento andrà dal 17 al 21), potrebbe al contempo essere interessato a fare prima un salto sul mercato secondario. Per vedere, ad esempio, se ci sono occasioni interessanti tra le vecchie emissioni speciali del Tesoro. La tabella in basso, elaborata da Skipper Informatica, riunisce i Btp Italia, Futura e Valore ancora in circolazione, riuniti per famiglie e ordinati per data di scadenza, dalla più vicina alla più lontana. Per ogni titolo vengono riportati il prezzo e i rendimenti a scadenza lordi e netti (i titoli di Stato italiani, va ricordato, godono dell’aliquota ridotta al 12,5%), e la quantità media scambiata negli ultimi 10 giorni di negoziazione per valutarne la liquidità.
La prima considerazione riguarda le emissioni di Btp Futura e di Btp Valore. Entrambe le famiglie corrispondevano agli investitori che li avessero comprati in emissione e tenuti fino a scadenza (o fino a otto anni di vita nel caso dei Futura) un premio fedeltà: noto fin dall’inizio per i Valore, rapportato alla crescita del pil italiano per i Futura. Chi compra ora sul secondario, va da sé, questo premio non può averlo, e quindi può trattare questi titoli esattamente come se fossero dei normali Btp.
La logica del Mef è sempre stata quella di invogliare gli investitori a comprare questi Btp in collocamento e tenerli fino alla fine. Missione riuscita solo in (piccola) parte: secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, alla fine dei giochi via XX Settembre paga solo il 30% dei premi fedeltà possibili.
Btp speciali di questo tipo, per come sono concepiti, sono sempre più interessanti per la cedola che per l’apprezzamento del capitale. Ma attenzione, soprattutto per quanto riguarda i Btp Futura (i Valore viaggiano attualmente tutti sopra la pari) ai prezzi ancora accattivanti. Il primo titolo in tabella, la cui scadenza è prevista nel novembre 2028, nell’ultimo anno ha visto il suo valore salire da 88 a quasi 93. Il tutto dopo che, però, da inizio febbraio 2022 il bond era sceso a picco da un valore di circa 97.
Discorso analogo vale per gli altri Futura in tabella: quello al 2037 era addirittura sceso a 63 nell’ottobre del 2023, e ora si muove intorno a 78. Scommettere su ulteriori apprezzamenti è possibile anche se, a ben guardare, una dinamica di calo e risalita molto simile l’hanno vissuta anche gli altri titoli non speciali con scadenze analoghe. Il che riporta al punto di partenza: quali cedole convincono di più? E confermano che Btp Valore e Futura, sul secondario, vanno trattati come normali Btp.
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Diverso, e forse più interessante in un’ottica di portafoglio, è il caso dei Btp Italia: i titoli di Stato indicizzati all’inflazione italiana che corrispondono una parte di cedola fissa e un’altra variabile sulla base dell’indice Istat sui prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati (in acronimo, inflazione Foi). Nella tabella elaborata da Skipper i flussi cedolari sono stimati ipotizzando che l’inflazione rimanga costante per tutta la vita del titolo. Se l’inflazione in futuro dovesse scendere, i flussi avranno giocoforza importi più bassi di quelli riportati, e pertanto anche il rendimento effettivo a scadenza scenderà di conseguenza.
Chi volesse comprare Btp Italia oggi, magari come parte di un portafoglio diversificato, potrebbe acquistare a prezzi tutto sommato non lontani dalla pari (da un minimo di 98 a un massimo di 101), garantendosi comunque la parte fissa della cedola e scommettendo sul fatto che il carovita nazionale possa risalire in futuro. Un’ipotesi che, allargando il campo all’Eurozona, gli economisti non si sentono di escludere, tanto più che sul continente e sulla sua economia aleggia l’incognita dei dazi di Donald Trump.
I professionisti degli investimenti, dal canto loro, pur riconoscendo i potenziali vantaggi dei Btp speciali (e probabilmente del Btp Più) invitano anche a non escludere le alternative. Lo riassume Vitaloni di Symphonia: «Dal punto di vista finanziario riteniamo che il nuovo Btp Più non offra valutazioni particolarmente attraenti rispetto ad altre soluzioni presenti nel mercato obbligazionario secondario: a parità di rating BBB- si possono trovare titoli corporate investment grade e titoli finanziari subordinati con rendimenti notevolmente superiori», sottolinea. Anche in termini di benefici fiscali, conclude il money manager, «il Btp Più non sembra particolarmente competitivo, considerando il successo dei nuovi fondi obbligazionari Pir che offrono valutazioni e vantaggi fiscali decisamente più vantaggiosi».
E se l’inflazione in Europa fosse in procinto di risalire, complice l’arrivo dei dazi di Donald Trump? Economisti ed esperti di mercato non possono ignorare questa eventualità, che potrebbe però offrire anche alcune opportunità di investimento. Ad esempio per quanto riguarda «i rendimenti delle obbligazioni governative nominali e indicizzate all’inflazione, che restano solidi in termini di valori assoluti», come spiega Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, nel documento che delinea l’asset allocation strategica della fintech specializzata in consulenza finanziaria ad alto contenuto digitale. Il rischio di duration, evidenzia l’esperto, «non sta generando rendimenti aggiuntivi ma, al contrario, un impatto negativo: diversamente le obbligazioni indicizzate all’inflazione appaiono leggermente più attraenti, principalmente grazie alle crescenti aspettative di carovita».
Più in generale, spiega il capo degli investimenti, «i rendimenti dei bond a breve scadenza sono più favorevoli rispetto a quelli a lunga scadenza in tutte le aree geografiche». E questo perché, considerando le attuali dinamiche inflazionistiche ed economiche, «ci aspettiamo che i tassi a lungo termine, in particolare quelli decennali, tenderanno a convergere verso livelli più elevati entro la fine del nostro orizzonte strategico», aggiunge. In questo scenario, «allungare eccessivamente la duration non risulta conveniente».
Un capitolo a parte lo merita il credito, cioè le obbligazioni societarie o finanziarie. «Il mercato si mantiene complessivamente stabile», osserva Flax, «ma gli spread più stretti e l’aumento dei tassi di default attesi hanno in generale deteriorato le prospettive rispetto allo scorso anno». Le obbligazioni high yield statunitensi, quelle cioè di società considerate meno sicure dalle agenzie di rating e che per questo motivo offrono rendimenti più alti, «emergono come le più promettenti» secondo il money manager, «mentre l’outlook per le controparti europee appare più debole, principalmente a causa di un tasso di default atteso elevato, che ha ridotto i rendimenti attesi, portandoli a un livello inferiore rispetto alle obbligazioni investment grade (più sicure per le agenzie e quindi a rendimento più basso, ndr)».
E per quanto riguarda la componente azionaria del portafoglio? La chiave di qualsiasi riflessione strategica, secondo Flax, sono le valutazioni. «Attualmente le valutazioni di tutte le regioni sono inferiori rispetto ai livelli storici», è la premessa del responsabile degli investimenti di Moneyfarm. Tuttavia, precisa l’esperto, «negli Stati Uniti le valutazioni sono significativamente più alte, con i multipli che si avvicinano ai picchi del 2021». Questo fenomeno si può in parte spiegare con «la concentrazione di alcuni settori, ma soprattutto dai margini di profitto più elevati delle principali aziende dell’indice S&P 500». Se si ritiene che le principali aziende tecnologiche statunitensi continueranno a dominare il mercato e a mantenere una solida redditività anche in futuro, conclude Flax, «ciò potrebbe giustificare valutazioni più elevate, nonostante l’attuale livello resti comunque alto». (riproduzione riservata)