Era partita come un’operazione sui due porti strategici del Canale di Panama, messi in vendita dal magnate cinese Li Ka Shing con la sua Ck Hutchison, che li ha in concessione dal governo del Paese centro-americano. E nella partita figurava, oltre al più grande fondo d’investimento Usa, BlackRock, anche il braccio industriale, cioè la Terminal Investment della famiglia Aponte, uniti in consorzio.
Ora la famiglia Aponte, come ha raccontato nei giorni scorsi Bloomberg, tenta il colpaccio: acquisire tutti i 41 porti sparsi per il mondo messi sul mercato dalla società di Hong Kong del novantenne Li Ka Shing. Un salto quantico che permetterebbe al gruppo Msc degli Aponte di fare l’en plein e divenire nei fatti il re mondiale nella logistica delle merci via nave.
Al consorzio BlackRock-Aponte rimarrebbero solo i due porti di ingresso e uscita del Canale, ma tutto il resto dell’impero dei terminal marittimi di CK Hutchison diventa terreno di caccia del pluri-miliardario Gianluigi Aponte, il dominus della famiglia campana con residenza ginevrina che rafforzerebbe ulteriormente il suo ruolo di assoluto primattore dei mari mondiali. Il tutto dall’alto della sua Msc, la Mediterranean Shipping Company con le navi da crociera fino al suo reticolo di partecipate nei vari business: primo tra tutti, dopo l’acquisizione da Bolloré dei porti merci africani, la sua Til, la Terminal Investment Ltd holding Sa, che dal Lussemburgo governa tutti i terminal sparsi per il globo. Una rete già immensa che contava a fine del 2023 ben 44 terminal container nei vari angoli della Terra.
Se l’operazione con il magnate di Hong Kong andrà in porto, quel corposo pacchetto di scali finirà per raddoppiare, sancendo definitivamente l’ascesa degli Aponte al ruolo di grande colonizzatore dei mari. Il gruppo Aponte già oggi controlla il 20% del traffico merci via mare del mondo, avendo surclassato il gigante danese Maersk: il perno della rete dei terminal passa sotto le ali di Til, che per il 70% è di proprietà degli Aponte e che per il 30% vede come soci di minoranza il fondo Gip (acquisito da pochi anni da BlackRock) e il fondo sovrano di Singapore.
E per non farsi mancare nulla ecco che gli Aponte hanno anche diversificato, con l’acquisto per 2,2 miliardi di dollari del 50% della società Medclinic, terzo operatore privato della sanità in Sudafrica. O per restare nei trasporti, come non ricordare l’acquisto del 50% di Italo con i suoi 4,4 miliardi di valore. O ancora, nel 2023, l’acquisto di Rimorchiatori Mediterranei per oltre 1 miliardo.
Ma che cosa c’è dentro Til e quanto è redditizia? L’ultimo bilancio consolidato è del 2023 e indica ricavi per 4 miliardi di dollari che hanno prodotto un margine lordo industriale per 1 miliardo con una marginalità operativa al 25% e utili netti per 225 milioni di dollari. In cassa c’erano, a fine del 2023, 1,6 miliardi di liquidità disponibile, mentre il debito raggiunge i 2,3 miliardi. Ma a sorprendere, per un business molto ciclico e legato al commercio internazionale e alle sue tipiche fasi di fluttuazione dei volumi e dei prezzi dei noli, è la forte crescita della redditività.
Il margine lordo era nel 2010 di soli 236 milioni. A fine del 2023 si è collocato a 1 miliardo. Quintuplicato in 13 anni, in cui c’è stata di mezzo la stagione del Covid e il conflitto russo-ucraino. Evidentemente ha funzionato la strategia di crescita via acquisizioni che hanno permesso di espandere l’attività, senza compromettere la profittabilità. L’unico inciampo può essere rappresentato dal debito, che però finora è stato tenuto sotto controllo: la leva sui margini viaggia poco sopra le due volte. La struttura patrimoniale a livello consolidato il gruppo vanta un patrimonio netto di 2,8 miliardi e con debiti finanziari sopra i 3,5 miliardi.
Ma a sorreggere gli indebitamenti del gruppo dei terminal c’è la struttura a monte del gruppo: da Msc fino alle holding lussemburghesi che si snodano uno dietro l’altra fino alla scatola di Sas, la Shipping Agencies services Sarl che di Til possiede il 70%. Nel 2023 sono stati staccati 300 milioni di dividendi da Til per risalire la catena di controllo.
Ma Til è solo il braccio operativo della grande conglomerata della famiglia di armatori campani, trasmigrati ormai da decenni a Ginevra. La gran parte della ricchezza si trova a monte, dentro l’ennesima scatola lussemburghese, la Sas (Shipping agencies services) Sarl. Che due anni fa ha rimpolpato ulteriormente il suo patrimonio per oltre 9 miliardi di dollari, grazie a un aumento di capitale dell’omologa cipriota Sas, altra scatola finanziaria dell’impero degli Aponte.
Nella Sas lussemburghese, oltre a Til, ci sono le altre attività per un fatturato aggregato di 9,5 miliardi di dollari e oltre 40 mila dipendenti nel mondo. Sotto il cappello di Sas ci sono i porti africani, acquisiti nel 2022 dal gruppo del finanziere bretone Bolloré logistics, per un controvalore di 5,6 miliardi. Ma anche il 42% dello spedizioniere francese Clasquin, acquisito nel 2024. Oltre alla partecipazione nel porto di Amburgo e le quote del treno Italo. L’attivo totale di Sas è di 42 miliardi, con equity per un valore di ben 26 miliardi. Tra debiti e leasing le passività prettamente finanziarie ammontano a una decina di miliardi.
Pur essendo molto capitalizzata, grazie anche all’apporto dal paradiso fiscale di Cipro di oltre 9 miliardi, Sas lavora anche a debito. In fondo la leva resta contenuta e il costo del debito è comunque più basso del costo dell’equity. E a garantire l’esposizione ci sono gli asset fisici: dalla flotta di navi da crociera e mercantili alle infrastrutture dei terminal portuali. Negli ultimi due anni Sas ha portato a casa oltre 1,7 miliardi di profitti netti e la cassa liquida a fine del 2023 ammontava a quasi 3 miliardi.
I soldi per andare all’assalto dei porti di Ck Hutchison ci sono. E ovviamente resta la leva del debito, che l’impero degli Aponte può sfruttare grazie al grande valore dei beni collaterali (terminal e navi) messi a garanzia. (riproduzione riservata)