Qualcosa di importante è cambiato sui mercati. Il Treasury americano decennale, l’obbligazione governativa di riferimento per prestiti e mutui, si è avvicinato nelle ultime sedute pericolosamente vicino al 5% di rendimento, dopo una salita di circa un punto percentuale nello stesso arco temporale in cui la Fed ha tagliato i tassi dell’1%. Anche il Btp di pari durata nel corso della settimana è arrivato al 3,8%, per poi tornare in quota 3,6% venerdì 17 gennaio.
La traiettoria del Treasury rappresenta un fatto anomalo, che i mercati hanno visto solo agli inizi degli anni Ottanta, quando l’allora governatore della banca centrale, Paul Volcker, tagliò il costo del denaro negli Usa ma i rendimenti, invece di scendere, salirono. Significa che i prezzi delle obbligazioni, che viaggiano in senso opposto, stavano cadendo. Questa anomalia alza peraltro la volatilità sulle borse, portando a giornate di intense vendite, perché un Treasury (o T-bond) che rende il 5% è un grande concorrente delle azioni. E perché è un chiaro segnale di mercato orso nelle obbligazioni, causato allora (con Volcker) come ora (con Jerome Powell) dalla paura che l’inflazione non sia veramente stata domata. E che quindi la Fed sarà cauta a tagliare ancora i tassi nel 2025.
T-bond al 6%?
Lunedì 20 gennaio il presidente eletto Donald Trump sale alla Casa Bianca, dopo aver promesso in campagna elettorale dazi per tutti (Cina in primis) e un taglio delle tasse. Due ragioni per cui gli analisti temono che la pressione sui prezzi resterà a lungo e che gli Stati Uniti dovranno ampliare il debito. Tanto che Nomura e T. Rowe Price vedono ora la concreta possibilità che il rendimento del T-bond decennale salga al 6% quest'anno dal momento che, secondo gli analisti, «il rendimento attuale (4,6%, venerdì 17, ndr) non rappresenta ancora bene l'inflazione dei prezzi e l'equilibrio fiscale». Chiaro che a questi livelli di rendimento (5%), inizierà a piovere una forte domanda sui bond Usa, avverte Guy Haselmann, ex gestore di portafoglio di hedge fund, ancor più se il rendimento sale al 6%.
Il rischio di cambio
Premessa: nel confronto con il T-bond Usa decennale «è essenziale considerare il rischio valutario», sottolinea Gabriel Debach, market analyst di eToro. «Negli ultimi 12 mesi l’euro si è deprezzato di circa il 6% rispetto al dollaro (attualmente il cambio tra moneta unica e biglietto verde è a 1,02, ndr), favorendo gli investitori italiani con esposizione in valuta estera. Tuttavia, un possibile rafforzamento futuro dell’euro potrebbe ridurre i rendimenti reali degli investimenti in dollari, rendendo più interessante concentrarsi su titoli domestici per chi desidera minimizzare i rischi valutari».
La lente sull’Europa
Il Treasury Usa verso il 5% ha definito un nuovo benchmark per i mercati. Ma esiste il modo per battere questo livello e andare oltre? Magari investendo in euro e quindi evitando di esporsi proprio al rischio valutario? La tabella in basso, elaborata da Skipper Informatica, propone una selezione di 30 bond governativi, corporate e finanziari denominati in euro con un rendimento a scadenza lordo almeno del 5% e taglio minimo (salvo una eccezione) di 1.000 euro. Come si può notare, c’è un protagonista indiscusso, presente in ben 25 delle 30 obbligazioni selezionate. E non è il Btp che ora scalda i motori in vista della nuova emissione di Btp Valore (il Btp Più) con opzione di rimborso anticipato e in collocamento dal 17 al 21 febbraio. Si tratta invece della Romania.
Che aria tira a Bucarest
La morale della storia è chiara: chi vuole più del 5% del Treasury con i bond retail in euro deve avventurarsi nell’impervia (da una prospettiva finanziaria, s’intende) Romania. I titoli di Stato del governo di Bucarest arrivano anche al 6,65% di rendimento lordo (è il caso di un titolo con scadenza nel 2039 che prezza 77), ma sono strumenti di investimento che vanno maneggiati con estrema cura. A metà dicembre l’agenzia di rating Fitch ha abbassato l’outlook sul rating di Bucarest da stabile a negativo, citando tra le ragioni della retrocessione l’incerezza politica, il deficit di bilancio e il debito pubblico previsto in forte crescita. Venerdì 24 gennaio sarà S&P a esprimersi sul debito rumeno, che attualmente è pari a BBB-: l’ultimo livello della categoria investment grade (titoli considerati più sicuri dalle agenzie di rating). Nonostante ciò la Romania rimane una delle partecipazioni preferite di Mark Dowding, fixed income cio di Rbc BlueBay Am, che cita «valutazioni interessanti rispetto ad altri asset europei», augurandosi anche che «le recenti pressioni sugli spread e sui rating del credito possano contribuire a garantire che i policymaker cerchino di consolidare la posizione di bilancio».
Da Carraro al Banco
Per chi cercasse il 5% senza voler viaggiare fino all’Est Europa ci sono alcuni bond italiani da esplorare. Ad esempio quello di Carraro in scadenza nel 2028, un po’ caro (prezza quasi 107) ma con rendimento lordo del 5,82% al termine. Oppure i titoli Kme emessi lo scorso anno e in scadenza nel 2029, il cui taglio minimo è di appena 1 euro: prezzano 99 e il rendimento lordo è del 5,51%. O ancora, un titolo Banco Bpm al 2029, con la cedola che, negli ultimi tre anni, sarà legata al cosiddetto valore barriera di un indice azionario di riferimento, l’Euro Stoxx Select Dividend 30. Il rendimento a scadenza lordo è attualmente del 5,09%. Attenzione però: per tutti questi titoli, a differenza dei bond romeni, la tassazione è del 26%, e non del 12,5% che si applica ai bond sovrani (italiani e non).
Portafoglio 8 e mezzo
E per chi volesse un portafoglio con un rendimento ancora più ricco? MF-Milano Finanza è andata a guardare alle azioni di Piazza Affari, dove venerdì 17 il Ftse Mib ha rotto al rialzo i 36.000 punti (+6% da inizio 2025) per la prima volta dal 2008, per capire quanto potrebbero rendere i titoli che staccano dividendo ai prezzi attuali, ovvero qual è il loro dividend yield. Scoprendo che il rendimento medio da dividendo delle prime dieci azioni è dell’8,5%, come si può leggere nella tabella. La prima in classifica è Mps (11,7%), a seguire Bper Banca (9,7%), Banco Bpm (9,6%), Banca Ifis (9,45%), Esprinet (9,3%), Revo Insurance (8,8%), Equita Group (8,5%), Piaggio (8,5%), Intesa Sanpaolo (8,3%), Banca Popolare di Sondrio (8% circa). Se si prendono in considerazione i dividend yield attesi per il 2025 delle prime 40 società quotate, il rendimento minimo è del 5%. David Pascucci, analista azionario di Xtb, sottolinea che «i titoli bancari ad alta capitalizzazione presenti nella selezione possono essere ottime scelte di lungo periodo. Altri titoli ad alta capitalizzazione legati al settore energetico come Eni ed Enel potrebbero rappresentare ottime scelte, mentre sarebbero da evitare, almeno, per ora, titoli del settore automotive come Stellantis che soffrono del calo del settore industriale in Europa».
Meglio diversificare
In questi casi, visto che il focus é sui dividendi, riprende Pascucci, «meglio cercare di replicare in portafoglio le proporzioni delle capitalizzazioni dei titoli, evitando una forte esposizione a chi offre solo un dividend yield molto alto».
Anche Fabio Caldato, portfolio manager del fondo AcomeA Strategia Dinamica Globale, ricorda che «il dividendo piace all’investitore di lungo termine e, in massima parte, difensivo, che preferisce vedere flussi di cassa, invece di una crescita sostenuta. L’investitore italiano fa parte di questa categoria». Piazza Affari, molto esposta al settore finanziario, aggiunge l’esperto, «presenta titoli solidi con dividendi che si avvicinano alla doppia cifra. L’analisi delle aziende con dividendi maggiori, tuttavia, evidenzia una forte concentrazione proprio nei bancari e assicurativi. Un portfolio che miri a alti dividendi necessita, secondo noi, di una maggiore diversificazione settoriale per evitare il rischio di concentrarsi al picco di ciclo (pensiamo al caso di tassi in calo e all’impatto sui bilanci delle banche)». Su queste basi, il gestore preferisce Mediobanca a cui aggiunge Eni e Raiway.
Gabriel Debach di eToro nota che «Mps, Bper, Banco Bpm, Banca Ifis, beneficiano di dinamiche settoriali favorevoli, tra cui il risiko bancario, che potrebbe alimentare ulteriori movimenti di mercato. Questo crea potenziali opportunità per gli investitori, ma comporta anche rischi specifici legati alla volatilità del settore e all’incertezza macro». Al di fuori del comparto bancario, «titoli come Esprinet offrono rendimenti elevati (9,34%), ma in questo caso il rendimento è parzialmente spiegato dal forte calo del prezzo delle azioni (-21% nelle ultime 52 settimane). Questo sottolinea la necessità di valutare la sostenibilità del dividendo». (riproduzione riservata)