Anche se la Tobin Tax rischia di essere un boomerang per Piazza Affari, l’effetto lo si vedrà solo dal 2026. Per ora l’indice Ftse Mib si avvia a chiudere il 2025 con un progresso del 30%, secondo in Europa solo allo spagnolo Ibex (+47%). L'imposta allo 0,2% per le società quotate sui mercati regolamentati e allo 0,4% per quelle sui mercati non regolamentati (0,04% sul trading ad alta frequenza) può portare a un ulteriore calo dei volumi scambiati sul mercato azionario italiano, a meno Ipo e a un fuggi fuggi generale. Infatti, molte società potrebbero tenere la sede fiscale in Italia ma portare quella legale all’estero, in Olanda o in Lussemburgo, pur di non pagare la tassa. Lo hanno già fatto Brembo, Campari, Cementir, D’Amico, Ferrari, Iveco, Mfe, Stellantis, Stmicroelectronics e Tenaris, tutte esentate dal pagamento della Tobin. Come le società con una capitalizzazione di mercato inferiore a 500 milioni di euro.
«Per fortuna hanno chiarito che la norma sul capital gain vale solo per le partecipazioni assunte dopo il 1° gennaio del 2026, quindi quello che una holding ha già in pancia continua a essere gestito con le regole precedenti, evitando le svendite di Natale», ha sottolineato a Class Cnbc Simone Strocchi, presidente di Electa Ventures. In ogni caso, «non agevola lo sviluppo del mercato dei capitali, in un momento in cui invece dovremmo spingere le holding di famiglia, che in Italia hanno tanti soldi, a investire in borsa con quote stabili».
Il comparto delle piccole quotate rischia di essere sempre meno presidiato, diventando ancora di più una vetrina di opportunità a saldo per takeover con capitali spesso stranieri. In effetti Borsa Italiana continua a scambiare a sconto (multipli p/e 2025 e 2026 a 13 e 11,6 volte) rispetto alla sua media storica e all’indice EuroStoxx (p/e a 16,6 e 14,49) a fronte di utili stimati in crescita a doppia cifra (+11,6% nel 2026 consenso di FactSet).
Milano Finanza ha, quindi, selezionato (si veda la tabella) tra le società che hanno la sede legale all’estero solo quelle che, secondo il target price medio di Bloomberg, possono offrire un upside potenziale a due cifre: Mfe (+55%) e Ferrari (+26%) le più promettenti.
Ferrari sta vivendo la correzione più profonda e lunga della sua storia borsistica. Il titolo ha perso il 25% da inizio anno e ha già accumulato 153 sedute di bear market, oltre il precedente record (di 135) del 2018. La correzione dal picco è vicina al 30%. «Il 2026 diventa, quindi, un anno di verità. L’arrivo della F80, già sold out in una serie limitata, rappresenta il picco della marginalità e un passaggio chiave per avvicinare il margine ebitda al target del 40% del piano 2030.
Alla stessa altezza temporale debutterà la prima Ferrari elettrica. Maranello ha scelto di proteggere l’identità del marchio ricalibrando il mix al 2030, con un 40% di motori termici, un 40% ibrido e solo un 20% elettrico. Il backlog copre già fino al 2027», sottolinea Gabriel Debach, market analyst di eToro. Il management ha indicato un 2026 più forte nella seconda parte dell’anno. La disciplina finanziaria resta un punto di forza con un nuovo buyback da 3,5 miliardi entro il 2030 e un payout alzato al 40%. «La domanda chiave», afferma Debach, «non è inseguire il rimbalzo, ma capire se il processo di revisione degli utili abbia già toccato il minimo».
Campari arriva, invece, al 2026 dopo una caduta del 57% dai massimi del 2021. Sul piano fondamentale gli elementi per una stabilizzazione si stanno consolidando. Il gruppo dell’Aperol ha ridotto la leva da 3,6 a 2,9x in dodici mesi, nonostante acquisizioni significative come Courvoisier. Con una conversione storica del 60% dell’ebitda in flusso di cassa, la società entra nel 2026 con fondamentali più robusti e in una posizione per beneficiare di eventuali cali del costo del debito.
«Le stime indicano un p/e forward in area 18x, livelli decisamente più interessanti rispetto ai picchi del passato. La sfida», spiega l’esperto di eToro, «non riguarda più solo la crescita dei brand iconici, ma la capacità della nuova organizzazione in Brand Houses di espandere i margini in un contesto meno dinamico rispetto agli anni passati».
Mentre Stm rappresenta la scommessa sulla ripartenza del ciclo tecnologico. Il titolo arriva da due anni consecutivi di calo dei ricavi e dei margini, riflesso della più profonda correzione delle scorte nel settore automotive e industriale. Il 2026 è indicato dal management come l’anno della normalizzazione, con una crescita dei ricavi che, su una base depressa, potrebbe avvicinarsi al 20%, precisa Debach.
A questo si somma l’arrivo di oltre 45 nuovi microcontrollori a 40 e 18 nanometri, dotati di acceleratori hardware per l’AI all’edge. Il gruppo mira a riconquistare la quota storica nel range 21-23% nei segmenti di maggior valore. Il 2026 vedrà, inoltre, il contributo del ramp-up di contratti legati alla gestione energetica dei server AI, alle soluzioni di silicio-fotonica e al recupero della domanda automotive. L’acquisizione dei sensori Mems di Nxp, prevista per metà anno, rafforzerà ulteriormente il posizionamento. «Stm può rappresentare la componente ciclica per chi costruisce portafogli orientati al recupero tecnologico di quei titoli che non hanno corso».
Ma anche tra le società con una capitalizzazione di mercato inferiore a 500 milioni di euro, quindi non soggette al pagamento della Tobin, secondo Debach, ci sono opportunità interessanti come Txt (+45%), Fila (+35%) e Neodecortech (+42,5%). Anche Orsero, Digital Bros e Sys Dat possono correre del 40%.
Ma il rimbalzo più forte atteso, dopo un 2025 non brillante, può arrivare da The Italian Sea Group (+75%), Emak (+79%), con il miglioramento della generazione di cassa che per Intermonte può guidare un re-rating dei multipli piuttosto compressi (p/e di 11), e Unidata (+77%) che di recente ha presentato le nuove linee guida per il triennio 2026-2028 con il contributo di UniTirreno e Unicenter e un cambio di prospettiva da operatore telco a tech company, facendo leva su attività a maggior valore aggiunto come cloud, smart IoT, data center e cybersecurity.
Gli investimenti previsti ammontano a 67 milioni, di cui un terzo destinato a operazioni di M&A. E ancora, Altea Green Power (+62%), il cui valore per Equita risiede nella capacità dell’azienda di monetizzare la pipeline futura a prezzi ragionevoli: il portafoglio, pari a 3 GW attualmente in fase di autorizzazione, continua ad apprezzarsi man mano che i progetti avanzano verso lo stadio di ready-to-build, tipicamente il più remunerativo, e Irce (+67%) con le prospettive di crescita sostenute dalla transizione energetica e dai progetti di espansione in corso nella Repubblica Ceca e in Cina. (riproduzione riservata)