Dopo la tempesta di inizio mese i mercati hanno iniziato le prove generali di ripartenza. Avanti con giudizio, come nel celebre aforisma di Alessandro Manzoni. Ma comunque avanti. La possibilità di una schiarita nelle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina (sebbene il percorso si prospetti ancora più accidentato e denso di ostacoli che mai) è stata accolta dai mercati con favore, tanto che nell’ultima settimana il Nasdaq - favorito anche dall’avvio delle trimestrali del tech - è salito di oltre il 5%, il Dax del 4,7%, il Cac del 3,8% e il Ftse Mib (dove ha però inciso una giornata di stacco dei dividendi) del 3,3%.
Il mercato sta inviando un chiaro monito alla Casa Bianca e al suo illustre inquilino: la distensione sarà premiata, il conflitto a ogni costo punito. Un messaggio chiaro e lineare, alla fine di un mese in cui Trump ha provocato il più grande terremoto delle borse dai tempi del Covid. Con la differenza non trascurabile che cinque anni fa il crollo lo aveva innescato una pandemia globale, mentre stavolta a provocarlo sono stati gli annunci, le smentite e perfino i post sui social del presidente della prima economia al mondo.
Morale della storia: sui mercati si naviga ancora a vista, e parlare di un trend strutturale di ripresa è sicuramente prematuro. Anche perché la volatilità, misurata dall’indice Vix, sebbene abbia ritracciato sotto la soglia critica dei 30 punti, resta sui livelli dell’autunno 2022, quando l’inflazione americana era all’8% e la Fed (insieme alla Bce) stava attuando un ciclo monstre di rialzo dei tassi che avrebbe portato a una caduta simultanea - e quanto mai inedita - di azioni e bond.
Di base la strategia di investimento che i consulenti finanziari suggeriscono in fasi come questa è semplice: non fuggire dagli investimenti, tenere la barra dritta e aspettare il rimbalzo che, statistiche passate alla mano, ci sarà nel lungo periodo. Quello che invece si può fare da subito, magari se si dispone di un po’ di liquidità da impiegare, è cercare di integrare il portafoglio con un piano di accumulo o, perché no, riservarne una parte a scommesse mirate su singoli titoli, con ottica da cassettisti.
Piazza Affari può essere un ottimo banco di prova per questo approccio anche perché c’è una batteria di quotate che trattano ora a forte sconto rispetto alla media degli ultimi cinque anni e che, secondo gli analisti, hanno potenziali di rimbalzo importanti.
La tabella in basso riunisce 30 società dell’Euronext Milan (ex Mta), cioè il listino principale di Piazza Affari, ordinate per potenziale di rialzo secondo gli analisti che le coprono.
Per ragioni di liquidità sono stati inclusi i titoli più grandi, dal miliardo di capitalizzazione in su. Un’ulteriore scrematura è stata fatta in base alle valutazioni: l’obiettivo è di riuscire a individuare titoli sottovalutati che hanno le carte in regola per ripartire. Per selezionarle sono stati confrontati il rapporto prezzo-utili attesi (p/e) a 12 mesi e quello medio degli ultimi cinque anni: in tabella ci sono solo quotate che hanno una valutazione attesa inferiore almeno del 10% rispetto alla media degli anni passati. A questo punto sono state incluse nel basket le quotate che presentano, secondo gli analisti che le seguono, un potenziale di rialzo di almeno il 10%. Infine, l’ultimo criterio impiegato riguarda il numero di analisti che coprono le singole aziende: almeno cinque, per far sì che i prezzi obiettivo attesi siano frutto di una pluralità di voci di esperti e non di un singolo giudizio isolato.
Già i risultati aggregati forniscono alcune indicazioni interessanti. Le 30 società in questo basket hanno una capitalizzazione di mercato media di 9,7 miliardi e mediana (un dato che depura la statistica dai casi limite) di 4,9. A livello di performance total return - dividendi inclusi - la media da inizio anno è negativa del 4,5%: lo stesso identico valore del Ftse Mib, anche se l’universo è molto variegato e a fronte di pochi titoli cresciuti molto per via di circostanze particolari (tre su tutti: Danieli, Iveco e Lottomatica) gli altri viaggiano in territorio negativo.
I titoli in tabella trattano a uno sconto medio rispetto agli ultimi cinque anni del 39%: allargando l’orizzonte a 10 anni, Intermonte ha calcolato che le mid cap italiane trattano attualmente a uno sconto del 27%, mentre il Ftse Mib (che include le banche) appena dell’1,3%. E poi c’è il potenziale di crescita, frutto delle attese degli analisti sui titoli. La media per le 30 società è del 30%, mentre la mediana si attesta al 25%.
Guardando ai settori in tabella saltano subito all’occhio i due grandi assenti: banche e utility. Questo non significa ovviamente che i titoli dei due comparti siano poco attraenti in portafoglio. Anzi: in una situazione di caos delle borse e volatilità i titoli finanziari e dei servizi di pubblica utilità tendono a essere validi stabilizzatori degli investimenti, perché in genere pagano dividendi elevati e in crescita costante.
Tuttavia, valutazioni e prospettive degli analisti alla mano, entrambi i settori dovrebbero aver già sprigionato gran parte del loro potenziale. Le banche in particolare, dopo due anni di corsa ininterrotta, potrebbero essere arrivate al punto di equilibrio. Insomma, il loro ruolo in portafoglio oggi è differente: le si usa in ottica di cedole, non per il solo rendimento.
Al contrario, in tabella compaiono tutte quelle realtà industriali che, nonostante i fondamentali spesso solidi e il generale apprezzamento da parte degli analisti, negli ultimi mesi hanno fatto più fatica.
Una rosa di aziende tra cui spiccano l’industria pesante e le infrastrutture: da Danieli a Prysmian, da Webuild a Tenaris. E poi tutto l’indotto del settore auto: Stellantis ma anche Iveco, Brembo, Pirelli. Senza contare il tech all’italiana: un comparto molto diverso dal suo corrispettivo americano, che include eccellenze dei software per imprese come Sesa e Reply.
Proprio Sesa, secondo gli esperti di mercato, è il titolo che può rimbalzare di più: tratta a un p/e atteso di 9,6, il 59% in meno della media degli ultimi cinque anni, e gli analisti che la seguono le attribuiscono un prezzo obiettivo medio di 134 euro, il 93% in più rispetto ai corsi attuali. In un recente report Intermonte (giudizio buy, quindi raccomandazione di acquisto) ha citato «incoraggianti miglioramenti in termini di riduzione degli oneri finanziari e di una migliore generazione di flussi di cassa». L’attività di acquisizioni, tradizionale cavallo di battaglia della tech company toscana, «dovrebbe continuare a contribuire positivamente, anche se con un numero di operazioni inferiore rispetto al passato recente, poiché ci aspettiamo che l’azienda si concentri maggiormente sulla crescita organica». Il mercato sta già apprezzando il titolo, che infatti da inizio anno, nonostante tutte le turbolenze, Sesa ha un total return di quasi il 10%.
Altri cinque quotate a sconto, oltre a Sesa, hanno secondo gli analisti le potenzialità per salire ancora di oltre il 40%: Amplifon, Saipem, Interpump, Danieli e Prysmian. Tutti titoli, con una sola eccezione, in pesante calo da inizio anno. L’eccezione è Danieli, che nonostante il total return del 18% può apprezzarsi ancora del 48%, e tratta a sconto del 18% rispetto agli ultimi cinque anni. Favorita dai maxi-piani infrastrutturali e per la difesa in Europa, la società produttrice di acciaio dovrebbe anche subire in modo limitato l’eventuale effetto dei dazi, visto il «trend di reshoring dell’industria siderurgica nelle economie avanzate», come ha segnalato Equita in una recente analisi.
Interessante anche il caso di Amplifon: tratta a sconto del 63% e ha, secondo il consenso, la possibilità di salire del 57%. Hsbc crede addirittura che il valore dell’azienda produttrice di apparecchi acustici possa salire dell’84%, grazie a «ripresa dell’area Emea, il mercato principale, all’aumento dei punti vendita e alla crescita derivante dalle acquisizioni».
La forte generazione di cassa del primo trimestre può favorire la corsa di Saipem, che secondo gli analisti può crescere del 53% fino a raggiungere i 3 euro per azione (dai circa 1,9 attuali). Si tratterebbe di un ritorno ai prezzi precedenti al maxi-aumento di capitale del 2022, resosi necessario dopo il profit warning di inizio anno.
Saranno al contempo da tenere d’occhio le vicende borsistiche di Interpump: i conti del 2024 dell’azienda emiliana di pompe ad alta pressione non sono piaciuti al mercato, ma la trasparenza del management sul momento di difficoltà e la crescita nella generazione di cassa da usare per eventuali acquisizioni (fiore all’occhiello della società) sono stati apprezzati dagli analisti che, pur limando il prezzo obiettivo, vedono ancora un potenziale di crescita d’oltre il 52%.
Infine, capitolo Prysmian, su cui il consenso degli analisti vede un potenziale di upside del 45%: gli investitori non hanno apprezzato la pausa sul dual listing del gruppo, che però ha alcuni punti di forza nell’attuale scenario di mercato. Jefferies, per cui il titolo è da comprare, ne cita in particolare due: un portafoglio ordini nel segmento relativo a trasmissione e infrastrutture di rete elettrica (40% dell’ebitda) di 17 miliardi, che copre i ricavi fino al 2028 (peraltro il 90% del business riguarda operatori europei), e il fatto che «molte criticità potenziali sono già prezzate nel titolo», che tratta a un p/e atteso inferiore del 50% rispetto alla media degli ultimi cinque anni.
Un’altra storia merita attenzione, visto che attualmente la società è la più sottovalutata in assoluto nel paniere. Si tratta di Nexi, il gigante dei pagamenti digitali che tratta a sconto del 95% rispetto al recente passato, con un potenziale di rimbalzo che gli analisti stimano nell’ordine del 33%.
Penalizzata a inizio anno da una serie di dowgrade a causa del contesto difficile per le fintech europee (specie per gli operatori tradizionali) e soprattutto per via dell’eccesso di debito contratto per le acquisizioni di Nets e Sia, ora il titolo ha chance per ripartire. A favorirlo, spiegano recenti report, saranno le prospettiva sulla crescita dell’ebitda e un piano di buyback da 300 milioni, in partenza a maggio. (riproduzione riservata)