Natale ad alta quota per Piazza Affari, che ora punta la vetta. Non i massimi dal 2008 o dal 2007, superati più volte quest’anno, e nemmeno quelli dal 2001, tenuti fino a dicembre. Nel 2026 il Ftse Mib può spingersi a livelli inesplorati, sopra quei 50 mila punti record toccati a inizio millennio. Una missione non impossibile ripensando alla cavalcata degli ultimi tre anni, perché a gennaio 2023 il principale indice italiano aveva appena superato 24 mila punti, mentre adesso si prepara a chiudere il 2025 ben oltre i 44 mila. Numeri alla mano, il Ftse Mib si è regalato un +90% e non sembra volersi fermare.
«Il traguardo dei 50 mila punti non è più una suggestione per ottimisti, ma una possibilità statistica concreta. Dal 2023 l’indice è cresciuto a un ritmo medio annuo del 23% e, partendo daIle attuali quotazioni, basterebbe una crescita di circa il 12% nel 2026. In altre parole, sarebbe sufficiente la metà di quanto realizzato mediamente nell’ultimo triennio», commenta Gabriel Debach, market analyst di eToro. «Il problema è che la finanza non è una scienza lineare e dopo ogni corsa, prima o poi, occorre rallentare. Resta il fatto che il 2025 si appresta a diventare il miglior anno del secolo per Piazza Affari, un primato che porta con sé un inevitabile senso di vertigine».
Con i numeri record è arrivato anche il sorpasso a Wall Street. Negli ultimi dodici mesi il Ftse Mib è andato meglio di Nasdaq (+21%) e S&P 500 (+17%) nonostante il traino di Magnifiche 7 e intelligenza artificiale. In realtà gli indici americani hanno aggiornato più volte i massimi storici, ma la loro è sembrata una camminata veloce se paragonata alla corsa del Ftse Mib, pronto a chiudere l’anno con un rialzo di oltre il 30%.
In Europa solo Madrid (+48%) ha fatto meglio di Milano, che ha guardato dall’alto in basso Francoforte (+22%), Londra (+20%) e Parigi (+10%). Numeri che diventano ancora più rotondi se si osserva il total return attuale, con il Ftse Mib (+37%) ancora una volta davanti a Dax (+22%) e Cac 40 (+14%). Una speciale classifica in cui anche Nasdaq (+22%) e S&P 500 (+18%) non sono riusciti a tenere il passo e anzi hanno perso altro terreno. A favore del principale listino di Piazza Affari giocano poi le valutazioni più interessanti, con un rapporto prezzo/utili (13,5) ben più contenuto rispetto ai multipli a cui scambiano Nasdaq (36), S&P 500 (25) e gli altri principali indici europei.
«Il mercato italiano continua a offrire valori interessanti e rendimenti da dividendi in alcuni casi molto attraenti», osserva Alberto Villa, responsabile equity research di Intermonte. «Per il 2026 prevediamo un rimbalzo degli utili aziendali guidato da titoli di comparti come industrial e consumer che hanno sofferto le tante incertezze del 2025, a partire dai dazi. Se queste previsioni si rivelassero corrette, il nostro mercato non apparirebbe caro, sicuramente a sconto rilevante rispetto ad altri, nel confronto sia con gli Usa sia con Paesi più simili e vicini a livello europeo, come Francia e Germania».
Anche nel 2026, insomma, Piazza Affari è pronta a offrire una serie di occasioni. Quest’anno difesa (+91%) e banche (+63%) hanno fatto di nuovo la parte del leone grazie al riarmo europeo e al volano del risiko. Non è un caso allora se Fincantieri saluterà il 2025 in rialzo di oltre il 140%, con Leonardo più distante ma comunque in crescita del 90%. Senza dimenticare la sorpresa Avio (+163%), premiata proprio dalla svolta nella difesa.
Nel settore del credito lo scettro è andato invece ai due istituti della galassia Unipol (+70%), cioè la Popolare di Sondrio (+102%) e la controllante Bper (+87%). Ma anche gli azionisti di Unicredit (+81,5%) e Intesa Sanpaolo (+52%) hanno avuto di che festeggiare. Non sono mancate inoltre le sorprese, a partire da una Tim (+109%) rigenerata dall’arrivo di Poste (+58%) nel capitale.
Mentre l’auto potrebbe aver toccato il fondo dopo l’annus horribilis di Stellantis (-25%) e Ferrari (-22%). Chi spera più di tutti in un rilancio è però Amplifon (-45%), trascinata in coda al Ftse Mib da un mercato dei servizi dell’udito che in Europa appare pronto a ingranare.
E nel 2026? Difesa e banche si prenderanno ancora la scena oppure dovranno abdicare? Il quadro è già cambiato perché l’arrivo di Donald Trump ha sì amplificato i contrasti tra Stati Uniti e Ue, ma ha anche riacceso (e finora deluso) le speranze di pace tra Russia e Ucraina. Nel settore del credito, invece, la Bce potrebbe aver raggiunto il tasso neutrale con una serie di tagli i cui effetti (sul margine d’interesse) sono comparsi anche nei bilanci bancari.
Ecco perché «dopo la forte sovraperformance del settore finanziario stiamo gradualmente inserendo idee di investimento in comparti che hanno riportato risultati economici e performance borsistiche deboli, come ad esempio l’automotive e l’industria in generale», spiega Villa. «Dopo anni difficili dal punto di vista industriale, nel prossimo futuro si potrebbe materializzare un’inversione di tendenza che non è attualmente prezzata dai titoli. Un ragionamento simile, con le dovute distinzioni, ha supportato il recente miglioramento delle nostre aspettative sul settore del lusso, che ha fatto un bagno di realtà alla luce del rallentamento della domanda di alcuni mercati come la Cina».
Nuove opportunità, quindi, senza trascurare però il mondo del credito, che a valutazioni attraenti affianca aspettative di dividendi elevati. Con la variante risiko da non tralasciare perché l’anno prossimo potrebbe partire un secondo giro di giostra.
È su questi aspetti che poggia la scalata verso 50 mila punti, che a onor del vero si regge su basi estremamente strette e dovrebbe dipendere ancora una volta dal destino delle banche. «Se i primi due istituti italiani spiegano da soli il 44% del rialzo dell’indice, il Ftse Mib racconta sempre meno la salute del sistema Paese e sempre più quella di un singolo settore. Con un listino ancora più bancocentrico, l’evoluzione dello spread e la fine del ciclo dei tagli dei tassi della Bce diventano i veri arbitri della partita», commenta Debach.
«La traiettoria verso quota 50 mila punti sarà quindi condizionata da pochi nomi più che da una ripresa ampia e diffusa, aumentando la sensibilità a eventi idiosincratici legati a banche, politica monetaria e rischio sovrano». Un assist inatteso potrebbe arrivare dalla scarsa esposizione alla tecnologia, proprio ora che i mercati hanno iniziato a interrogarsi sulla sostenibilità della corsa dell’AI.
Multipli troppo elevati se paragonati a investimenti miliardi e a ritorni ancora tutti da accertare, ma nessun rischio bolla secondo le principali case d’investimento. In questo quadro il Ftse Mib mantiene un profilo più value e concreto, un vantaggio difensivo che da solo sembra non bastare. Per agganciare la vetta dei 50 mila punti, insomma, non sarà sufficiente il solo settore bancario.
Comunque vada, il 2026 potrebbe essere ricordato non solo per i possibili record di borsa ma anche per quelli dello spread. Se il 2025 è stato l’anno del ritorno sotto 100 punti, i prossimi dodici mesi dovrebbero essere quelli della consacrazione per il differenziale tra Btp e Bund decennale, per cui si prospetta un ancoraggio ai livelli attuali, sotto 70 punti.
«La tenuta dello spread non è un’anomalia temporanea né un’illusione di mercato, ma il riflesso di una nuova struttura di protezione che oggi rende il debito italiano più resiliente rispetto al passato», osserva Debach. «La stabilità politica e la disciplina di bilancio sostengono il recente calo dei rendimenti dei titoli di Stato, ora più bassi di quelli francesi, pur in presenza di un ingiustificato divario nei giudizi delle agenzie di rating», aggiunge Villa.
Il risultato dovrebbe essere uno spread compresso e strutturalmente più stabile. Salvo shock esogeni che - dopo pandemia, guerra in Ucraina e dazi - non sembrano più eventi eccezionali né da sottovalutare. (riproduzione riservata)