Mentre i mercati azionari arrancano, l’oro accelera con l’intensificarsi della guerra commerciale globale guidata dagli Stati Uniti. Ma non è solo una questione di prezzo: è una questione di flussi, sottolinea Gabriel Debach, market analyst di eToro. Con i mercati in allerta per i nuovi dazi commerciali statunitensi previsti per il 2 aprile il metallo giallo ha aggiornato i suoi massimi storici a 3.127,92 dollari l’oncia, portando la performance da inizio anno a +14,5%. Su base annua, il guadagno ha superato il +40%. «Ma il dato davvero rilevante è un altro: 12 miliardi di dollari confluiti in Etf sull’oro negli ultimi due mesi, il ritmo più forte dal 2020», sottolinea Debach. «Un flusso di capitale così ampio e concentrato indica che l’oro non è più solo rifugio tattico, ma asset strategico in piena rotazione. Il messaggio è chiaro: la domanda arriva da investitori strutturati, non solo da speculatori».
Il report Commitments of Traders lo conferma. I managed money, hedge fund e Cta, hanno ridotto le posizioni nette long da 200.000 a 192.000 contratti, «segnalando prese di profitto su livelli tecnici chiave. Ma senza inversione: il posizionamento resta fortemente long. Al contrario, i trader retail, attivi sul contratto micro gold, sono passati da net short di -1.318 contratti a net long di +4.547. Una rincorsa evidente, che riflette la crescente visibilità del trend», osserva l’esperto di eToro. Effetto collaterale: il sentiment spread, che misura la distanza tra il posizionamento istituzionale e retail, si è ridotto da 0,27 a 0,11. «Il rally è ancora in piedi, ma non più invisibile. E quando il mercato diventa affollato, il rischio di consolidamento tecnico aumenta. Non è un segnale di inversione, ma un invito alla vigilanza», avverte Debach.
D’altra parte gli investitori sono sempre più preoccupati per il potenziale impatto dei dazi di Trump e temono che tali politiche portino a una bassa crescita, a un'inflazione più elevata, a una riduzione del commercio internazionale e a un ordine globale meno prevedibile, avverte Ricardo Evangelista, senior analyst di ActivTrades. Di conseguenza, le attività legate al rischio, come le azioni, hanno sofferto a causa della chiusura delle posizioni da parte degli investitori, che cercano rifugio in strumenti più sicuri come l'oro. Allo stesso tempo, «il dollaro Usa rimane sotto pressione, poiché i timori di un rallentamento economico negli Stati Uniti alimentano le aspettative che la Fed ricomincerà presto a tagliare i tassi. Questa dinamica offre un ulteriore sostegno al prezzo dell'oro, a causa della correlazione inversa tra i due asset. In questo contesto», conclude Evangelista, «le prospettive a breve termine rimangono positive per l’oro».
A rafforzare questo effetto, venerdì 28 marzo l’indice dei prezzi Pce degli Stati Uniti ha mostrato un aumento dell’inflazione dello 0,4% a febbraio su base mensile, leggermente superiore alle aspettative del mercato dello 0,3%. «Questi dati hanno contribuito all'indebolimento del dollaro statunitense, facendo salire il prezzo dell’oro denominato in dollari», aggiunge Frank Watson, market analyst di Kinesis Money. Guardando avanti, martedì 1 aprile verranno pubblicati i dati sull’inflazione dell’Eurozona di marzo, seguiti dall’indice Pmi manifatturiero degli Stati Uniti semere di marzo e dai dati sulle offerte di lavoro Jolts di febbraio, che forniranno un aggiornamento sul mercato del lavoro statunitense.
Nel frattempo il Segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, ha annunciato che nei prossimi 12 mesi il governo intende «monetizzare il lato attivo del bilancio statunitense» a vantaggio del popolo, utilizzando una combinazione di asset liquidi e seguendo le best practice globali. «Le parole di Bessent sono arrivate contestualmente alla firma da parte di Trump di un ordine esecutivo per creare un fondo sovrano, alimentando così le speculazioni su quali asset liquidi il governo intenda impiegare», spiega Ned Naylor-Leyland, gestore del Jupiter Gold & Silver Fund.
Gli Stati Uniti detengono 8.100 tonnellate di oro, la più grande riserva aurea di un governo. Curiosamente, prosegue Leyland, questi lingotti sono valutati a 42,22 dollari l’oncia, un prezzo fissato per legge nel 1973 e rimasto invariato, mentre il prezzo di mercato è a 3.100 dollari l’oncia, rendendo le riserve statunitensi decisamente sottovalutate. Bessent ha poi precisato di non essersi riferito all’oro nei suoi commenti, ma l’argomento è riemerso più volte alla Casa Bianca. Trump ed Elon Musk hanno addirittura messo in dubbio la presenza dell’oro depositato a Fort Knox, in Kentucky, con il presidente desideroso di visionare personalmente i lingotti. Bessent ha rassicurato affermando che «tutto l’oro è lì», citando le verifiche annuali come prova.
L’oro, infatti, rappresenta un asset strategico fondamentale per le banche centrali e gli investitori privati nella gestione dei rischi e nella diversificazione delle riserve. Negli ultimi anni, le banche centrali, in particolare quella cinese, hanno intensificato gli acquisti, che secondo il World Gold Council, hanno superato le 1.000 tonnellate ogni anno a partire dal 2022. La maggior parte dei paesi, a differenza degli Stati Uniti, valuta le proprie riserve auree a prezzi di mercato.
«Se gli Usa rivalutassero il loro oro, il valore salirebbe da circa 11 miliardi di dollari a quasi 800 miliardi, una cifra che potrebbe contribuire a rafforzare il bilancio del Tesoro in un contesto di debito nazionale elevato», afferma Leyland. «Sebbene Bessent abbia scartato questa ipotesi, una rivalutazione potrebbe avere notevoli ripercussioni sui mercati finanziari, riportando l’oro al ruolo di asset di riserva principale e invitando gli investitori a rivedere la loro percezione degli asset privi di rischio. «Non siamo esperti di politica e riconosciamo la necessità di essere prudenti nelle previsioni su ciò che il Presidente Trump potrebbe fare. Tuttavia, per gli investitori in oro», ammette Leyland, «questo è uno dei periodi più interessanti che ricordiamo». (riproduzione riservata)