Oro ai massimi da due settimane tra taglio dei tassi Fed e dati macro deboli. 3.000 o 5.000 dollari: quale prezzo è più probabile?
Oro ai massimi da due settimane tra taglio dei tassi Fed e dati macro deboli. 3.000 o 5.000 dollari: quale prezzo è più probabile?
Il prezzo dell’oro spot sale a 4.080,34 dollari l’oncia, il livello più alto dal 27 ottobre. L’analisi di Joni Teves, esperto di Ubs

di Francesca Gerosa 10/11/2025 09:52

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L’oro rimbalza al massimo delle ultime due settimane sostenuto dalle aspettative di un ulteriore taglio dei tassi di interesse da parte della Fed a dicembre e da una serie di dati macroeconomici deboli che alimentano i timori di un rallentamento globale. Il prezzo dell’oro spot sale dell’1,87% a 4.080,34 dollari l’oncia, raggiungendo il livello più alto dal 27 ottobre. I future sull’oro crescono dell’1,95% a 4.088,37 dollari l’oncia. 

«Dopo un periodo di relativa tranquillità, stanotte l’oro ha violato un livello di resistenza chiave posto a 4.050-4.060 dollari l’oncia ed è ripartito verso nuovi target di breve posti a 4.150», afferma Saverio Berlinzani, chief analyst di ActivTrades. «Va detto che la salita attuale avviene mentre i listini americani si sono riproposti al rialzo, dopo il sell-off della settimana scorsa. Il che ci conferma come la correlazione tra indici azionari e metallo giallo, già vista per il 2025, sia stata diretta. Ossia, al salire degli indici, anche il prezzo dell’oro è cresciuto, in apparente contraddizione». 

Oro ai massimi da due settimane tra taglio dei tassi Fed e dati macro deboli

L’oro tende a performare bene in contesti di tassi bassi e in periodi di incertezza economica. «L’oro è sostenuto dalle aspettative che un taglio dei tassi possa ancora arrivare il mese prossimo, anche se la Fed ha cercato di ridimensionare tale probabilità», sottolinea Tim Waterer, analista di Kcm Trade. L’economia statunitense ha perso posti di lavoro a ottobre, soprattutto nel settore pubblico. Allo stesso tempo, la riduzione dei costi e l’adozione dell’intelligenza artificiale da parte delle aziende hanno portato a un’impennata di licenziamenti.

Come se non bastasse il sentiment dei consumatori statunitensi è sceso ai minimi degli ultimi tre anni e mezzo all’inizio di novembre, complice la preoccupazione per le ripercussioni economiche del più lungo shutdown governativo della storia americana, ora verso la fine. Infatti, domenica 9 novembre un gruppo di democratici moderati si è staccato dai leader del partito e ha votato con i Repubblicani a favore di un accordo. 

«I segnali di debolezza del mercato del lavoro statunitense hanno rafforzato le aspettative di un possibile taglio dei tassi il mese prossimo», prevede Riya Singh, analista di Emkay Global Financial Services a Mumbai. «Tuttavia, l’ottimismo per la fine dello shutdown potrebbe frenare la corsa dell’oro». È anche vero che se la fine dello shutdown permetterà al governo di pubblicare i dati macro economici, «ciò potrebbe dare alla Fed spazio per allentare la politica monetaria prima, qualora i dati mostrassero un rallentamento della crescita», aggiunge Vasu Menon, strategist di Oversea-Chinese Banking Corp.

Cosa spinge il rally

L’oro ha perso il 7% dopo aver toccato un nuovo record storico a oltre 4.380 dollari l’oncia a metà ottobre. Rimane comunque in rialzo del 55% da inizio 2025 con la maggior parte dei fattori che hanno alimentato la forte impennata — incertezze economiche e geopolitiche, e acquisti sostenuti da parte delle banche centrali e degli investitori retail — ancora presenti.

La Banca Popolare Cinese, uno dei principali acquirenti, ha aggiunto oro alle proprie riserve per il dodicesimo mese consecutivo a ottobre, secondo i dati diffusi venerdì 7 novembre. Anche gli Etf sull’oro hanno registrato flussi netti positivi nelle ultime due sessioni. Spdr Gold Trust, il più grande Etf sull’oro ha comunicato che le sue riserve sono aumentate dello 0,16% a 1.042,06 tonnellate venerdì 7 novembre, rispetto alle 1.040,35 tonnellate del giorno precedente.

Cosa è più probabile: oro a 3.000 o a 5.000 dollari?

L’ultimo impulso al rialzo, che ha visto il prezzo dell’oro aumentare di oltre il 30%, più di 1.000 dollari, in appena otto settimane, ha intensificato il dibattito sul valore intrinseco del metallo giallo, sulle forze che ne guidano l’ascesa e sulla sostenibilità di questo trend rialzista.

Joni Teves, esperto di Ubs, ritiene che dal 2022 si sia verificato un cambio di regime nel mercato dell’oro, dovuto al cambiamento nel modo in cui gli investitori — retail, istituzionali e del settore pubblico — percepiscono questo asset. Il numero in aumento e la maggior varietà di partecipanti implicano posizioni più solide.

Il metallo prezioso è sempre più visto come un bene strategico di lungo termine e una componente centrale nella diversificazione dei portafogli. Tutto questo ha ridotto la sensibilità del prezzo rispetto ai tradizionali driver come i rendimenti dei titoli di Stato statunitensi e il dollaro e al contempo aumentato la resilienza del mercato.

«Data la diversità dei partecipanti e le motivazioni molteplici che spingono all’investimento in oro, riteniamo che la soglia per un’inversione significativa del trend sia oggi molto alta e che, al contrario, i rischi siano più orientati verso l’alto. Prevediamo che il mercato possa testare i 5.000 dollari in uno scenario rialzista, che potrebbe concretizzarsi in caso di shock nel mercato obbligazionario o di un’accelerazione delle preoccupazioni sull’indipendenza della Fed», avverte Teves.

Anche le sanzioni imposte alla banca centrale russa dopo lo scoppio della guerra in Ucraina sono state un fattore chiave nel cambiamento strutturale del comportamento degli investitori nei confronti dell’oro. Il crescente rischio geopolitico ha portato il settore pubblico a diversificare le riserve in oro. Questo si è tradotto in un raddoppio degli acquisti da parte delle banche centrali e delle istituzioni sovrane.

Altri eventi e rischi macroeconomici successivi come la guerra commerciale, l’incertezza tariffaria, le preoccupazioni in aumento sulla sostenibilità fiscale e del debito, e quelle sull’indipendenza della Fed hanno rafforzato questo trend, ampliando la partecipazione degli investitori privati e consolidando l’oro come componente essenziale dei portafogli.

Il tema della de-dollarizzazione è stato più volte discusso come uno dei fattori alla base del rialzo del lingotto. Tuttavia, «riteniamo che il fenomeno sia più ampio: gli investitori stanno guardando all’oro come a un bene reale, alternativo alle valute fiat (non sono ancorate al prezzo di una materia prima, ndr), in un contesto di timori in aumento sulla sostenibilità fiscale e del debito sovrano. Inoltre, a nostro avviso, la diversificazione è la chiave del ruolo dell’oro, che si tratti di diversificare dal dollaro, dagli asset denominati in dollari o da altre classi di investimento», precisa l’esperto di Ubs.

L’oro può beneficiare di un numero crescente di investitori che riallocano il loro capitale dalle azioni, obbligazioni o liquidità. Considerate le dimensioni relativamente ridotte del mercato dell’oro rispetto ad altre asset class, anche un piccolo spostamento di capitale può avere un impatto significativo se diffuso su larga scala.

L’attrattiva dell’oro risiede nella combinazione delle sue caratteristiche: è poco o negativamente correlato con molti asset finanziari chiave, è liquido e si colloca bene come protezione contro il rischio di insolvenza o di credito, soprattutto se detenuto in forma fisica. In periodi di inflazione elevata, crescita fragile, calo dei rendimenti, debolezza del dollaro e/o turbolenze geopolitiche, l’oro ha storicamente agito come bene rifugio e strumento di preservazione del capitale.

«Alla luce di ciò, diversi tipi di investitori hanno aumentato la propria esposizione all’oro, non tanto come scommessa speculativa, quanto come forma di assicurazione. Riteniamo che il mercato, nel suo complesso, rimanga sottoesposto all’oro e ci aspettiamo quindi che questa domanda strategica persista nel corso del prossimo anno», prevede Teves. Detto questo, nessun trend rialzista dura per sempre. Ma gli indicatori attuali», conclude l’analista di Ubs, «non segnalano ancora un mercato eccessivamente affollato o il rischio di un’inversione significativa». (riproduzione riservata)