Novelli (Lemanik), i 4 allarmi che i mercati fingono di non vedere: rischiamo un Medioevo finanziario
Novelli (Lemanik), i 4 allarmi che i mercati fingono di non vedere: rischiamo un Medioevo finanziario
Sono quattro i campanelli d’allarme analizzati da Maurizio Novelli, gestore Lemanik Global strategy fund. L’oro? L’unica asset class sfuggita al controllo e ora è nelle mani della Cina

di Francesca Gerosa 13/11/2025 13:48

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Alcuni policy makers chiedono sempre più capitali per finanziare l’espansione del debito, ma contemporaneamente vorrebbero imporre ai finanziatori una remunerazione più bassa. Esattamente come nel Medioevo facevano le case reali di Francia e Spagna per finanziare le loro guerre, scatenando poi insolvenze e fallimenti bancari a catena in tutta Europa. Nulla è cambiato sotto il sole, secondo Maurizio Novelli, gestore Lemanik Global strategy fund.

Gli Stati vogliono più debito ma a un costo più basso come nel Medioevo

Nel frattempo, si assiste a una crescente richiesta di capitali per finanziare innovazione tecnologica senza avere alcuna prospettiva sul ritorno del capitale investito. «L’unica redditività che puoi cercare di estrarre da un mondo che funziona in questo modo è quella prodotta dalle bolle speculative dove tutti cercano di partecipare al gioco. Il problema è che molti sono convinti che questo ovviamente non possa durare per molto, ma si crede che possa comunque funzionare per un po’, gonfiare ulteriormente le bolle speculative e poi finire in una crisi, dove tutti sono comunque convinti di poter uscire prima dell’evento», sottolinea Novelli.

Quattro campanelli d’allarme

Da qui il primo avvertimento: dopo 14 anni di tassi zero e Qe siamo entrati in una nuova fase di «repressione finanziaria», che porterà le principali economie mondiali alla guerra per il controllo dei capitali per sostenere sistemi in crescente «distress». Poiché nessuno può imporre ai propri finanziatori di aumentare il finanziamento del debito a tassi di remunerazione definiti dal debitore stesso, «si delinea all’orizzonte», indica il gestore di Lemanik, «un potenziale conflitto sul controllo dei capitali necessari a finanziare queste politiche reflazionistiche senza fine che producono crescita asfittica finanziata da debito esplosivo».

Poi il secondo monito: il rischio di una potenziale rottura del sistema capitalistico globale è sempre più reale e il capitalismo di Stato prenderà inevitabilmente il suo posto. Un sistema dove i governi obbligheranno in qualche modo a canalizzare i risparmi in modo dirigistico verso i titoli nazionali e i mercati nazionali con remunerazioni reali pari a zero, prevede Novelli.

La prima fase di questo cambiamento è l’introduzione dei dazi, che mirano a far spostare la produzione manifatturiera da un Paese ad un altro, la seconda fase è l’introduzione di disincentivi a investire all’estero e riportare a casa il risparmio che finanzia la crescita e il debito di un competitor. «Questo meccanismo porterà al collasso dell’attuale sistema monetario globale basato sul dollaro e procurerà un rimpatrio dei capitali esportati per finanziare politiche fiscali locali costantemente espansive», stima Novelli.

La Modern Monetary Theory è qui e il motivo per il quale l’oro sale è anche questo. Le banche saranno obbligate a sottoscrivere titoli di Stato (Qe indiretto), i fondi pensione dovranno investire sempre più su asset domestici e i mutual funds subiranno pressioni politiche a investire dove i governi vogliono che sia fatto. Questi meccanismi sono già in avviata discussione in Gran Bretagna e, di fatto, già attivi negli Stati Uniti, dove le grandi case d’investimento sono ora il principale finanziatore della leva finanziaria del sistema americano.

Il problema è che gli Stati Uniti dipendono dal risparmio estero raccolto dalle società di fondi americane e potrebbero essere esposti a un deflusso di tale finanziamento. Per questo motivo l’amministrazione Trump ha a disposizione leggi che consentono il blocco dei capitali esteri in uscita per questioni di «sicurezza nazionale». In Cina il rimpatrio dei capitali è già avvenuto in concomitanza con la chiusura degli investimenti cinesi da parte di molti Paesi occidentali, mentre i flussi di capitale verso la Cina si sono praticamente bloccati da almeno tre anni, quando l’amministrazione Biden ha minacciato di sanzioni chi investiva in Cina e ha provocato un deflusso di capitali americani dal mercato di Hong Kong. 

Terzo avvertimento: in queste ultime settimane è iniziato ad emergere lo Shadow Banking System americano. Le perdite su crediti subite da alcune banche Usa sono solo la punta dell’iceberg di quello che si cela ormai da tempo nel settore del credito speculativo. I 13 trilioni di dollari (sottostimati) di credito speculativo emessi durante le follie del Qe hanno iniziato a venire a galla in alcuni bilanci bancari scatenando il panic selling nel settore e gettando ombre di contagio come nel 2007 era avvenuto con Bear Stearn. Gli eventi di credito di queste settimane (Tricolor e First Brand) confermano che lo Shadow Banking System americano è in crisi e ingenti perdite si celano da tempo nei segmenti più speculativi del credito. Poiché l’attuale dimensione del settore è circa 100 trilioni di dollari, qualsiasi cosa negativa possa accadere in quel mercato shadow ha un potente effetto sistemico sull’intera economia.

Quarto warning: come mai, a fronte di tassi di insolvenza record al 13% sul Commercial Real Estate, i non perfoming loans delle banche americane sono solo 1%? Le banche regionali hanno una esposizione al Cre pari al 260% del Tier 1, come mai l’indice del settore Kbw bank index è sui massimi storici in questa situazione? Le delinquencies sul credito al consumo sono ai massimi dal 2010, come mai le banche non evidenziano perdite in questo segmento del credito? 

Come evitare un crisi sistemica di proporzioni epiche

L’unica soluzione per evitare che questa situazione possa risolversi con una crisi sistemica di proporzioni epiche è quella di perseguire supporto fiscale e la nazionalizzazione del sistema finanziario, sostiene Novelli. «Se qualcuno non si è ancora accorto, i tassi sul mercato dei Treasuries sono di fatto controllati dal Ministero del Tesoro. Qualsiasi notizia non sposta il livello dei tassi decennali dall’area 4% e l’obiettivo politico è farli scendere almeno al 3%», continua l’esperto.

La curva, prevede, tenderà ad appiattirsi sul segmento 2-10 anni, non a irripidirsi, salvo potersi addirittura invertire se la situazione diventa critica. «Le banche devono continuare a pubblicare bilanci positivi e non aumentare gli accantonamenti su crediti per non far credere che ci possono essere problemi”, suggerisce Novelli per il quale il sistema è già di fatto nazionalizzato e i dati macro «politicizzati» aiutano a tenere la situazione sotto controllo.

Oro, unica asset class sfuggita al controllo

L’oro è probabilmente l’unica asset class che è sfuggita al controllo e ora è nelle mani dei policy makers cinesi. Probabilmente gli Stati Uniti hanno già venduto le riserve auree anni fa e hanno sempre pensato di poterle riacquistare a un prezzo più basso perché manipolavano il mercato dell’oro. Il problema è che non hanno fatto i conti con la Cina, che ha accumulato il metallo prezioso e ora controlla il mercato fisico. Nella sostanza, spiega Novelli, «qualcuno ha ora capito che gli Usa sono short di oro e alcune istituzioni americane sono short in un mercato che è controllato dal principale competitor geopolitico».

Ma non sono solo i cinesi a comprare oro, la Bce ha ora 500 miliardi di euro di lingotti nelle sue riserve valutarie. Nel momento in cui la Fed confermerà l’apertura di una fase di discesa dei tassi e accanto a Powell verrà nominato un «governatore ombra» che lo affiancherà fino alla fine del suo mandato, il dollaro aprirà un’ulteriore fase ribassista che potrebbe innescare un sell-off sugli asset americani da parte di Giappone ed Europa.

Dollaro verso 1,40?

«L’atteso rimbalzo del dollaro non si è concretizzato e ora gli investitori sono long dollari in posizioni alquanto precarie. Il nostro target è sempre 1,40 contro euro, al massimo in 18 mesi», conclude Novelli, «quindi un potenziale risk off significativo è collegato al cedimento della divisa che rappresenta la più elevata esposizione ad asset finanziari sopravvalutati detenuti massicciamente da investitori non dollar based». (riproduzione riservata)