Non di soli dividendi che affluiscono ogni anno da Campari vive Lagfin, la holding lussemburghese dei fratelli Luca e Alessandra Garavoglia che governa con il 51,7% sul gruppo globale degli alcolici. Tutt’altro. C’è tanta finanza nella società del Granducato al centro della bufera giudiziaria che ha visto il sequestro per 1,3 miliardi di azioni Campari per presunta evasione fiscale nell’operazione di fusione del 2018 con l’ex cassaforte italiana Alicros.
Negli ultimi anni gli utili non sono mai mancati. Trecento milioni di euro di profitti netti l’anno scorso, grazie anche a un capital gain di 215 milioni dalla vendita di quasi il 3% di Campari per finanziare parte dell’acquisto del cognac Courvoisier. Nel 2023, senza poste straordinarie, altri 170 milioni. E ancora 148 milioni nel 2022.
Ma a produrre tutta questa ricchezza non sono i dividendi da Campari. Non basterebbero, dato che nel 2024 il flusso cedolare dalla casa dell’Aperol è stato di 43 milioni; nel 2023 sono stati 37,8 i milioni incassati dai dividendi Campari e altri 37 milioni nel 2022. Come si vede le sole cedole non farebbero quegli utili che sfiorano i 200 milioni che Lagfin produce con una certa continuità. I dividendi sono solo la base per gli investimenti finanziari di Luca Garavoglia e di Alessandra (c’è un’altra sorella, Maddalena, ma dal 2000 le strade sono separate).
Da cassaforte di partecipazione industriale, Lagfin si è via via trasformata in holding finanziaria. Immobili innanzitutto ma anche azioni, bond e fondi d’investimento. Un castello societario che dal Granducato si dipana verso gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito, l’Olanda, l’Italia, il Principato di Monaco, con 31 controllate dirette dai nomi più disparati.
Spesso le ragioni sociali dei veicoli ricordano il mondo degli spirits e come le fortune dei Garavoglia nascano dalla spritz economy. E dunque nel portafoglio di Lagfin si trovano società come Bourbon Sidecar, Bourbon Manhattan, Boulevardier Spritz, Grand Margarita, Dirty Banana o, ancora, Negroni. Veicoli che affiancano l’ammiraglia Davide Campari-Milano nv, con sede nei Paesi Bassi.
L’azienda dell’Aperol costituisce il grosso dei 2,41 miliardi di euro patrimonio che fanno del 56enne imprenditore milanese il 1460° uomo più ricco del mondo e l’ottavo Paperone di Piazza Affari, assieme alla sorella Alessandra, di nove anni più grande.
Lagfin è una sorta di family office di diritto lussemburghese che fa girare, investendole, le risorse della famiglia. A fare gli utili ci sono naturalmente le cedole incassate e i valori pro-quota dei profitti del gruppo dell’Aperol. Ma per il resto entra in campo la gestione finanziaria, che dagli investimenti nel 2024 ha prodotto utili per 146 milioni; nel 2023 per 106 milioni e altri 100 milioni nel 2022.
Del resto Garavoglia – che di fatto amministra in prima persona Lagfin, anche se viene corteggiato da numerosi banchieri e wealth manager – ha necessità di far fruttare al meglio le risorse a disposizione. Dato che, altra faccia della medaglia, su Lagfin si scaricano gli oneri finanziari pagati sui bond emessi dalla scatola lussemburghese. Spesso le obbligazioni finiscono per mangiare quasi del tutto i proventi della gestione del denaro.
A fine 2024 in Lagfin c’erano asset finanziari per un totale di 153 milioni. Tra gli investimenti più significativi, 16 milioni in bond; 60 milioni in investimenti azionari; 32 milioni in fondi, oltre agli investimenti immobiliari. Nell’attivo della holding la fa padrone la quota in Campari, scesa dal 54,4% al 51,7% nel 2024. Il pacchetto è a bilancio a patrimonio netto pro-quota per 2,4 miliardi.
Mentre l’altro asset pesante è Dr Finance: è un veicolo nato sempre in Lussemburgo nel 2023, controllato al 51% e iscritto a bilancio per 108 milioni. Lo scorso anno Dr Finance ha contribuito all’utile di gruppo per 4,6 milioni grazie alla rivalutazione della quota e agli affitti di un palazzo a specchi a Londra da 32 milioni di sterline (sette piani di uffici) situato al numero 50 di Cannon Street nel cuore della City e gestito con la controllata Negroni Ltd.
Sono tanti gli investimenti di Lagfin nel mattone. Sono in gran parte in Francia, Italia, Montecarlo, Inghilterra e Stati Uniti, a New York e a Chicago. Oltre la metà delle 31 dirette controllate di Lagfin (150 NM Chicago, Bizzy Izzy, Dirty Banana, Fuzzy Navel, La Rosita, Longshoreman, Palingenia, Teton Tanya, Brown Derby, Telco Real Estate, 10 Chapel Street, 14 Chapel Street e tutte le Sci francesi ovvero le société civile immobilière: Vesper, Feu Rouge, Sazerac e Vieux Carré) scommettono sul real estate. Questi veicoli sono a bilancio per una trentina di milioni, ma hanno un fair value di 60 milioni. Garavoglia ottimizza anche gli spazi: parte degli uffici della branch svizzera a Lugano Paradiso sono affittati infragruppo a Campari Schweiz che a valle si occupa invece della distribuzione degli spirits nei cantoni elvetici.
La cassaforte lussemburghese è ben patrimonializzata, con un capitale proprio salito a 2 miliardi da 1,6 miliardi del 2023 e da 1,5 miliardi del 2022, consistente a fronteggiare debiti (tra bond e prestiti bancari) per poco più di 1 miliardo. L’accomandita del Granducato presenta quindi una struttura equilibrata e vede le quote di possesso così distribuite: Artemisia e Aurantium sono soci accomandatari con lo 0,269% ciascuno, la prima ha il ruolo «ordinario» di gestore.
Dietro a entrambe – schermato attraverso Pictet Fiduciaria – c’è Luca Garavoglia, controllore della catena. Il restante 99,462% di Lagfin non è meno complesso: c’è ancora Pictet Fiduciaria che detiene formalmente la maggioranza, ma dietro il sipario pare ci siano lo 0,003% di Luca Garavoglia, il 50,797% di Doro Anstalt e un pacchetto del 48,662% in mano ad Alessandra Garavoglia. Doro Anstalt è una fondazione del Liechtenstein che fa capo al ventiquattrenne Alessandro Garavoglia, figlio di Luca.
Come ricostruiscono i magistrati di Monza nell’analisi della struttura del gruppo Lagfin, grazie alla combinazione tra trasferimento della sede legale di Campari in Olanda e l’assegnazione di azioni speciali, ad Artemisia sono stati conferiti poteri di gestione che, di fatto, equivalgono all’82,5% dei diritti di voto nel colosso dell’Aperol. In altre parole, la proprietà economica e i flussi cedolari di Lagfin, che crescono ogni anno, sono separati dal vero controllo strategico dell’asset principe, Campari, che la holding per statuto non può vendere.
Dietro a numeri e percentuali, Lagfin non è solo una cassaforte, ma una macchina perfetta di asset protection, governance familiare e controllo assoluto, dove la famiglia Garavoglia resta al timone senza apparire in prima fila e in cui ha già preparato la struttura per il passaggio generazionale.
Già, ma come investe e soprattutto chi sono i consulenti che accompagnano Luca nella gestione delle finanze? Sempre dalle carte del decreto di sequestro emerge che Garavoglia ha un ruolo molto attivo nella gestione del patrimonio, tanto da raccomandare ai propri consulenti di spingere sul rischio investendo nell’azionario come con i titoli dell’aeroporto di Zurigo. Ma per valutare le numerose proposte di collaborazione che gli arrivano in mail dai banker come ad esempio dal ceo di Eurizon Saverio Perissinotto o da Massimo Cagliero di Banor si confronta con i «consulenti di XY», che poi leggono «in copia». Lo fa sistematicamente. Anzi, si potrebbe dire che in casa Lagfin non si muove foglia senza che la boutique XY non accenda luce verde sul dossier di turno.
Ma chi sono i «consulenti di XY»? Si tratta del gestore fondato da Daniele Migani, un intermediario svizzero apparso nelle cronache finanziarie italiane come il «broker dei vip». È stato appena rinviato a giudizio a Milano per presunti raggiri a imprenditori e personaggi noti a cui avrebbe proposto investimenti ad alto rischio per decine di milioni di euro. I reati ipotizzati sono truffa, abusivismo finanziario e reati fiscali.
Tra le presunte vittime del broker – che avrebbero perso soldi seguendo le sue indicazioni su investimenti finanziari – ci sarebbero la cantante e produttrice Caterina Caselli e il figlio Filippo Nicola Sugar (ex presidente della Siae), il designer di auto Giorgetto Giugiaro e altri manager e imprenditori. Il nome di Migani era finito sotto ai riflettori lo scorso anno, quando era stato citato in giudizio a Londra dall’ex presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo con la richiesta di un risarcimento da 50 milioni di euro, causa poi persa dall’ex numero uno della Ferrari.
Ex fisico nucleare al Cern con un passaggio poi a Boston Consoulting, Migani si è convertito alla gestione patrimoniale «applicando competenze scientifiche alla finanza digitale», si legge sul sito di XY dove «gli assi cartesiani XY simboleggiano il valore della razionalità». A giudicare dalle tre sedi aperte a Zurigo, Francoforte e a New York in una decina d’anni e dalla fiducia accordatagli dal Paperone Garavoglia, per il momento l’intuizione di Migani si è rivelata vincente.
I magistrati scrivono che «per la gestione strategica in materia di investimenti la holding (Lagfin, ndr) ha esternalizzato e contrattualmente demandato al gruppo XY le attività di consulenza finanziaria e, soprattutto, di supporto al processo di pianificazione, implementazione e controllo della strategia patrimoniale».
«Da quando è iniziata la nostra collaborazione noi siamo molto, ma molto soddisfatti», scriverà Garavoglia a Migani in una mail del 2019, «il progetto di positive carry trade ha dato i risultati sperati, costanti e prevedibili nel tempo, anche grazie all’assai rilevante calo del cost of funding. Abbiamo guadagnato anche nel 2018, allorché quasi tutti hanno perso. L’investimento di New York sembra andare molto bene, e avete dimostrato una professionalità notevolissima nella gestione, superiore alle mie aspettative! Abbiamo evitato molte sirene che si sarebbero rilevate stonate».
Dopo il sequestro monstre da 1,3 miliardi in azioni Campari, più che in Lagfin – che dovrà far fronte alla diatriba giudiziaria – il problema oggi sta in Campari. Che è cresciuta molto a colpi di acquisizioni nell’era di Bob Kunze-Concewitz e ora deve affrontare la sfida dell’indebitamento cresciuto con lo shopping. Solo dal 2022 al 2024 i debiti sono saliti da 1,6 a 2,3 miliardi.
La cura taglia-debito, che dovrebbe già attestarsi a poco più di 2 miliardi a fine del 2025 per poi scendere ancora negli anni successivi, è nelle mani del ceo Simon Hunt. La scorsa estate il top manager ha aperto la stagione delle cessioni dei marchi con minore profittabilità (sono circa 30 le etichette marginali potenzialmente in vendita, che corrispondono a circa il 9% dei ricavi) proprio per riportare nei prossimi anni il debito in equilibrio. (riproduzione riservata)