Nella manovra le patrimoniali non ci sono, anche perché già esistono
Nella manovra le patrimoniali non ci sono, anche perché già esistono
Il governo esclude che nella finanziaria spunterà una tassa sulla ricchezza. Anche perché, dall’Imu all’imposta di bollo, in Italia ce ne sono già. Intanto le tre aliquote Irpef sono un passo fondamentale 

di Roberto Sommella 14/11/2025 02:00

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A causa di una campagna elettorale permanente maggioranza e opposizione stanno dibattendo di una cosa che non c’è nella manovra, anche perché di solito si fa e non si annuncia: la patrimoniale. Lo spettro spesso si aggira sui salvadanai ma qualche volta si concretizza davvero. Nella storia d’Italia già alcune volte la scure del fisco si è abbattuta improvvisa sulle ricchezze o presunte tali dei contribuenti.

È accaduto nel 1992, quando il governo di Giuliano Amato dalla sera alla mattina varò un prelievo sui depositi retroattivo. Nel 1996, allorché l’esecutivo di Romano Prodi per centrare l’obiettivo dell’ingresso nell’euro inserì anche lì nottetempo nella manovra un’eurotassa per lavoratori autonomi e dipendenti, poi parzialmente restituita. E infine nel 2011, quando toccò a Mario Monti far calare la scure sulle pensioni e sulla casa con l’introduzione dell’Imu, versione aggravata dell’Ici. In tutti e tre i gabinetti in maggioranza c’era il centrosinistra.

Quali patrimoniali esistono oggi

Di patrimoniali per la verità ne esistono già oggi e non hanno mai suscitato scandalo nel Pd come in Fratelli d’Italia, quando il partito della premier Giorgia Meloni, che oggi nega qualsiasi ipotesi in materia, era all’opposizione. Si tratta, ha ricordato Italia Oggi, dell’Imu (aliquota standard al 10,6% che può arrivare al 12%), della Tasi (3,5%), dell’imposta di registro (dal 2 al 11%), dell’imposta di bollo su depositi e strumenti finanziari (0,2%), delle imposte di successione e donazione e altre di minore importanza.

Una proposta senza sostenitori

Proporre una nuova patrimoniale ha dunque un fine politico ma nella realtà pochi veri sostenitori e men che mai gli italiani, poco interessati al dibattito scatenatosi in Italia dopo l’elezione di Mandami a sindaco di New York ma invece molto interessati a non votare alle elezioni un partito delle tasse.

Meglio quindi concentrarsi su quello che c’è nella legge di Bilancio per il 2026, che vive nelle ristrettezze non tanto perché il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti voglia affamare ministeri e Paese, quanto perché il ritorno dell’assurdo Patto di Stabilità e Crescita frena quest’ultima e anche la futura uscita dell’Italia dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo significherà più rigore e meno flessibilità. Incredibile ma vero. Spesso l’Unione è un treno che all’incontrario va.

Cosa è stato fatto negli ultimi anni in tema di tasse

Non potendo aumentare le spese, tra mille difficoltà si sta provando perciò ad agire sul lato delle entrate riducendo le tasse, percorso iniziato ai tempi dell’esecutivo Draghi. Con la legge di bilancio per il 2023 è stato rifinanziato il taglio del 2% del cuneo fiscale, introdotto dal governo dell’ex banchiere centrale, per i redditi fino a 35.000 euro ed è stata elevata al 3% per i redditi fino a 25.000 euro.

Con il decreto Lavoro, approvato in Consiglio dei ministri il 1° maggio 2023, il taglio del cuneo fiscale per il secondo semestre 2023 è stato innalzato di 4 punti percentuali, quindi al 7% per i redditi fino a 25.000 euro e al 6% per quelli fino a 35.000 euro. Con la legge di bilancio per il 2024 l’esonero sulla quota dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori dipendenti pubblici e privati è stato confermato anche per tutto il 2024 (al 7% per i redditi fino a 25.000 euro e al 6% per quelli fino a 35.000 euro). Questi sono fatti che si possono verificare direttamente col ministero dell’Economia.

Cosa prevede l’attuale legge di bilancio

La legge di bilancio 2025 ha sostituito poi la previgente e temporanea riduzione del cuneo contributivo introducendo due misure strutturali di natura fiscale, le quali hanno sostanzialmente confermato i benefici già fruiti nel precedente anno e ne hanno ampliato la platea estendendoli ai redditi fino a 40 mila euro. In particolare, per i redditi fino a 20.000 euro è riconosciuto un bonus fiscale in busta paga, mentre per i redditi tra 20.000 e 40.000 euro il taglio diventa fiscale, con una detrazione fissa di 1.000 euro fino a 32.000 euro, detrazione che diminuisce progressivamente fino ad azzerarsi (il fatidico decalage) tra i 32.000 e i 40.000 euro.

Irpef, aliquote e redistribuzione: cosa è cambiato e come funziona

Discorso a parte si deve fare per la riduzione delle aliquote Irpef, per le quali si arriva al sistema a tre scaglioni, che non fu concretizzato nemmeno dal suo primo fautore, Silvio Berlusconi. Il decreto legislativo del dicembre 2023 ha dato attuazione al primo modulo della riforma dell’Irpef prevista dalla riforma fiscale, prevedendo appunto la riduzione da quattro a tre delle aliquote e dei relativi scaglioni Irpef, con l’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito. Scompare quindi la vecchia aliquota del 25% che si applicava da 15 mila a 28 mila euro di reddito.

Le aliquote Irpef e gli scaglioni di reddito - il lettore scusi la pedanteria ma si tratta di come vengono tassati i suoi redditi da lavoro - sono quindi così strutturati dal 1° gennaio 2024: 23% per i redditi fino a 28.000 euro; 35% per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro; 43% per i redditi che superano 50.000 euro.Questa misura è stata confermata e resa strutturale con la manovra di bilancio 2025. Da alcuni calcoli del Mef si può dedurre che in termini di effetti aggregati sono state redistribuite risorse per 8,1 miliardi nel 2023, 16,3 miliardi nel 2024 e 18 miliardi a partire dal 2025.

Il disegno di legge di bilancio per il 2026 prevede la riduzione di 2 punti percentuali dell’aliquota Irpef relativa allo scaglione di reddito che va da 28 mila a 50 mila euro, portandola a regime dal 35 al 33%. Tale riduzione favorirà 13,6 milioni di contribuenti, di cui 8,2 milioni con reddito prevalente da lavoro dipendente, con un beneficio ulteriore pari in media a circa 210 euro.

Una battaglia strutturale per la crescita del Paese

Fin qui i numeri che rappresentano non un uragano di riduzioni fiscali ma una pioggerellina costante.A sinistra si sostiene, come fa anche la Banca d’Italia di Fabio Panetta, che la manovra per il prossimo anno non alleggerisce a sufficienza i redditi più bassi, e questo è vero. Come non si può negare che, stante la progressività dell’imposta, è inevitabile che una riduzione delle aliquote impatti maggiormente con la crescita del reddito imponibile. Il dibattito proseguirà, ma non sarà certo con una patrimoniale che il governo (questo o il futuro) riuscirà a riequilibrare la distribuzione dei redditi e a ridurre le disuguaglianze.

Servono una ancor maggiore lotta all’evasione, una drastica riduzione del debito pubblico e una lotta a tutte quelle forme di speculazione sui prezzi che hanno prodotto un aumento a doppia cifra delle spese alimentari per gli italiani, facendo entrare in campo anche Guardia di Finanza e Antitrust in questa battaglia che appare campale perché occorre difendere il potere d’acquisto di milioni di persone. Sicuramente sono misure molto più complicate di un’imposizione di un contributo straordinario sui redditi milionari ma darebbero una prospettiva di crescita a tutto il Paese per diversi anni. (riproduzione riservata)