È il colpo più grande per dimensioni messo a segno da Investindustrial, il fondo di private equity attivo dagli anni ‘90 e che ha in Andrea Bonomi il suo dominus. L’acquisizione cash per 2,9 miliardi di dollari, debito compreso, del colosso della trasformazione alimentare e delle private label americano Treehouse Foods allarga e di molto il perimetro delle partecipate da Investindustrial nel campo dell’agro-alimentare. Che in questo modo scala si fa spazio tra i settori tradizionali in cui investe il fondo di Bonomi, cioè industria, tecnologia, consumer e healthcare.
Non solo le dimensioni dell’operazione, ma anche i tempi paiono ideali. Treehouse Foods, quotata al Nyse, viene da oltre un biennio di caduta in borsa. A marzo del 2023 l’azione valeva oltre 50 dollari, mentre pur con il forte premio concesso per l’acquisto, Bonomi pagherà le azioni 22,5 dollari. Del resto è la filosofia principe di ogni fondo di private equity: comprare basso, ristrutturare e rilanciare il gruppo, aumentare la profittabilità per poi uscire dopo alcuni anni con laute plusvalenze sull’investimento iniziale.
Il gruppo che vende private label nelle grandi catene di distribuzione americane, da Walmart in giù, ha fatturato nel 2024 circa 3,4 miliardi di dollari, con utili per poco meno di 30 milioni e sta uscendo da una crisi con svalutazioni di asset che potrebbero contrarre i profitti, come indica il consenso degli analisti. Ed è qui che Bonomi con i suoi gestori dovrà mettere mano per rilanciare la bassa redditività e anche contenere il debito finanziario, che come mostra S&P Global market intelligence è arrivato a valere 1,6 miliardi di dollari.
Ma questo non pare spaventare più di tanto Bonomi, abituato a rilevare gruppi in crisi ma con prospettive di rilancio. Inoltre l’operazione Treehouse si inserisce a pieno titolo nella creazione di un polo dell’agro-alimentare che sta prendendo forma nel tempo. Secondo quanto appreso da MF-Milano Finanza da fonti qualificate, l’obiettivo finale di Bonomi sarebbe quello di unire Treehouse Food, una volta delistata, a Windoria, il polo del private label da 4 miliardi di ricavi nato recentemente dall’unione di La Doria – produttore storico di conserve al pomodoro, che fornisce specialità italiane private label a lunga conservazione – e Winland Foods – produttore Usa di private label e marchi alimentari per retail. Secondo i piani, Investindustrial potrebbe in seguito, nel giro di un anno e mezzo, decidere di quotare a Wall Street l’intero polo.
Nella filiera agro-alimentare Bonomi ha messo in piedi un maxi polo composto da numerosi satelliti. Accanto a quello del private label Windoria-TreeHouse, si conta per esempio Nexture, player specializzato negli ingredienti nato dall’unione di Csm Ingredients e Italcanditi e che sempre il 10 novembre ha comprato da Ardian la portoghese Frulact per una cifra, rivelata da questo giornale, che valorizza il gruppo 600 milioni di euro in termini di enterprise value. Si potrebbe aggiungere il polo dei gelati e del freddo con Sammontana Italia, che ha aggregato Forni d’Asolo.
C’è poi il settore tech che è a monte del food&beverage, come la meccanica di precisione per il settore alimentare, rappresentata da Omnia Technologies, l’acquisizione di Nortan (produzione di capsulatrici), del ramo d'azienda di pasta secca di Pastificio di Martino, poi a settembre l’acquisto di Pharmagel (impianti per incapsulamento in softgel per settori nutraceutico e farmaceutico ), Meccanica Italiana (progettazione, ingegnerizzazione e produzione di stampi per il settore beverage) ed E4i (leader portoghese nella distribuzione di macchinari per il settore del beverage).
Come sta Eataly dopo l’ingresso di Bonomi
E come non ricordare l’acquisto, nel 2022, della quota di maggioranza di Eataly, la catena di negozi creata da Oscar Farinetti, finita in grave crisi di perdite e che con la gestione di Investindustrial sta rapidamente risalendo la china. Con la prospettiva di tornare agli utili già quest’anno.
A conti fatti ora il cosiddetto polo dell’agri-food di Investindustrial può contare su un fatturato aggregato vicino ai 12 miliardi. Ma non c’è solo la forte espansione nel mercato agro-alimentare che, del resto è uno degli asset del Made in Italy, da portare nel mondo. Ormai i fondi di Bonomi hanno dimensioni europee, con 34 società partecipate a oggi, in cui sono stati investiti 17 miliardi come valori di carico.E non manca certo di attivismo: la ratio è fare acquisizioni frequenti, anche due al mese. Non solo, ma lavorare sui cosiddetti add on, cioè ulteriori acquisizioni fatte da parte delle società partecipate.
Solo negli ultimi due anni la girandola di acquisizioni è stata vorticosa. Buon’ultima appunto Threehouse, ma subito prima l’azienda Fatro, specializzata in farmaci veterinari; l’integrazione tra Officina Stellare e Global Aerospace; prima ancora l’acquisto di Dea Group ed El.Mo, sistemi integrati di sicurezza.
Nell’estate 2025 ecco tre shopping su Kiremko; Idaho Steel e Reyco nel settore macchine utensili per l’agro-alimentare. E poi ancora sanità con Dcc Healthcare; ancora aerospazio con Logic e gelati con il gruppo spagnolo Alacant che si affianca a Sammontana, acquisita anch’essa nel 2024. Altre operazioni in quell’anno, con l’opa su Piovan, che lavora polimeri; lo shopping su Rcf group, attiva nell’audio professionale, e anche Fassi, leader nei sistemi a gru.
Queste le operazioni principali solo nell’ultimo biennio. Tanto per dare un’idea del volume di fuoco, negli ultimi 12 mesi Investindustrial ha investito (debito compreso) 5,1 miliardi di risorse nella campagna acquisti. Del resto il track record è di lunga data, operando ormai da più di 30 anni nel business del private equity. Dove è essenziale far girare gli investimenti con una certa rapidità. Il denaro non dorme mai troppo a lungo, è la regola che si è dato il nipote di Anna Bonomi Bolchini, la Lady della finanza milanese degli anni Ottanta.
Tra i marchi storici in cui il sessantenne Bonomi ha avuto partecipazioni rilevanti vanno ricordati Aston Martin, Ducati, Permasteelisa, Polynt, Recoletos, Knoll e Gardaland, solo per citare i più noti. Certo non sempre tutto è andato per il verso giusto, come la tentata scalata al Banco Bpm o lo smacco su Rcs, dove Urbano Cairo vinse la partita della presa di controllo dell’editore del Corriere della Sera. O ancora il fallito assalto a Club Med nel 2014.
Per chi fa il mestiere di Bonomi è essenziale portare rendimenti allettanti agli investitori dei suoi fondi, che sono oltre una decina a partire da quelli denominati Investindustrial da I a VIII, che nel tempo si sono succeduti. Senza ritorni che battano altre asset class, l’azionario globale in particolare, i grandi investitori istituzionali, cioè i fondi pensione e i fondi sovrani, non sarebbero tentati di dare soldi a Bonomi.
Evidentemente la fiducia nella gestione di Investindustrial è forte tra i suoi sottoscrittori, dato che la raccolta spesso supera gli obiettivi prefissati. L’ultimo fondo, l’VIII, ha chiuso la raccolta con 4 miliardi, più dei 3,75 miliardi prefissati. Cifre sui ritorni dei fondi di Bonomi non sono pubbliche; solo gli investitori lo sanno. Ma a giudicare dal successo della raccolta nel tempo, i ritorni dovrebbero essere sostanziosi. Fonti riferiscono a MF-Milano Finanza che i rendimenti si aggirerebbero intorno al 20% medio annuo nell’ ultimo decennio.
La linea di condotta consolidata di Bonomi è semplice: raccogliere soldi dall’estero, investire spesso in Italia e portare contemporaneamente le medie aziende italiane, target storico di Investindustrial, nel mondo, internazionalizzandosi quanto più possibile. Ad esempio dopo aver rilevato la maggioranza del capitale di Eataly, la nuova strategia ha puntato sull’estero, con aperture nei poli con grandi flussi di traffico come gli aeroporti, americani e non solo. O il caso di Omnia Technologies, nata dall’acquisto nel 2000 dell’azienda Della Toffola, specializzata in macchinari per l’imbottigliamento e che fatturava all’epoca 140 milioni: dopo una serie di aggregazioni oggi si chiama Omnia technologies e ha un giro d’affari di 740 milioni.
Interessanti anche l’operazione Sammontana e l’aggregazione con Forno d’Asola, che ha portato il fatturato oltre il miliardo, e quella La Doria-Winland, gruppo Usa che ha originato un gruppo da 4 miliardi di fatturato e che di recente ha comprato il gruppo saudita che produce salse e condimenti Al Fursan. Per l’occasione il fondo sovrano del Paese, Sic, ha investito nei fondi Investindustrial. (riproduzione riservata)