«Omettendo di comunicare al mercato e alle competenti autorità di vigilanza» l’esistenza di un accordo tra Delfin, il gruppo Caltagirone e lo stesso Lovaglio, volto a far ottenere ai primi due il controllo, nella forma dell’influenza dominante…, di Mediobanca». E poi ancora: «Procedendo ad acquisti di titoli Mediobanca e Generali coordinati» e per questa via arrivando a detenere più del 20% di Mediobanca, soglia entro la quale Delfin era stata autorizzata. Conseguenza? Una mancata opa su Mediobanca in contanti.
È questo il punto di partenza fissato dai pubblici ministeri di Milano nell’inchiesta sulla scalata alla banca di Piazzetta Cuccia che secondo le ipotesi sarebbe stata orchestrata dal costruttore-editore romano Francesco Gaetano Caltagirone e dal numero uno della finanziaria Delfin degli eredi Del Vecchio, Francesco Milleri, insieme con il ceo di Montepaschi, Luigi Lovaglio.
Da questa inchiesta, clamorosa per l’impatto che già la sola prima discovery degli atti ha avuto – una manciata di intercettazioni telefoniche e alcune citazioni di verbali di dichiarazioni alla Consob –, prende avvio a cascata un filone doppio che coinvolge le autorità le cui disposizioni sarebbero state violate: da un lato quella presieduta da Paolo Savona, dall’altro la Vigilanza unica di Francoforte.
Ricevuto il faldone dei sequestri disposti giovedì 27 novembre, Consob e Bce hanno subito iniziato a studiare il caso del presunto «patto parasociale occulto» tra l’ingegnere e il top manager di Essilor-Luxottica ed eventualmente ad agire, con conseguenze che possono essere gigantesche non solo per le società coinvolte ma anche per l’intero sistema finanziario, e quindi anche per la politica e il governo.
I capi di «incolpazione provvisoria» con le ipotesi di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, come tecnicamente chiamati nei decreti di perquisizione, tirano in ballo anche Montepaschi: a novembre 2024 Caltagirone e Delfin avrebbero comprato il 3,5% a testa di Mps pagando lo stesso premio rispetto al mercato (il 6,96%) e poi avrebbero «coordinato» i successivi acquisti della banca senese fino a quasi il 10% a testa «funzionali alla promozione e al successivo successo dell’ops con cui Mps acquisiva il controllo di Mediobanca, ed attraverso essa di Generali», concertata da Lovaglio con Caltagirone e Milleri.
Il presidente della Consob, Paolo Savona, è stato chiaro: «È un fatto molto delicato». Anche perché c’è un convitato di pietra nell’inchiesta: il governo, citato nelle carte ma senza persone fisiche coinvolte tra gli indagati, almeno per quanto si sa finora.
Secondo le norme, aver superato il 25% nel capitale di una società quotata impone il lancio di un’opa obbligatoria. In questo caso, Caltagirone e Milleri l’avrebbero superato in Mediobanca agendo in un concerto non dichiarato. Se la Consob fosse di questo avviso, dovrebbe imporre loro l’opa. Ma Mediobanca ormai non è disponibile sul mercato, dato che da settembre è controllata all’86,3% da Mps che ha registrato massicce adesioni all’offerta pubblica di acquisto e scambio (opas) da complessivi 14 miliardi compresi i 750 milioni proposti nel rilancio cash. Dunque, che fare?
«Bisogna vedere che evidenze ci sono, per ora stiamo ragionando solo di quattro frasi», mette le mani avanti un importante avvocato milanese non coinvolto sul caso. Certo è che il quadro è parecchio complesso. Se avessero dichiarato il concerto, Caltagirone e Milleri avrebbero dovuto lanciare da soli l’opa su Mediobanca: un esborso cash che potrebbe aggirarsi sui 13 miliardi, in base ai calcoli sul prezzo (il più alto pagato per arrivare oltre il 25% o quello medio dei dodici mesi precedenti).
Era più o meno conveniente per un azionista Mediobanca rispetto all’opas di Montepaschi? Forse non era poi così male se ha alla fine ha aderito anche l’ex ceo di Piazzetta Cuccia Alberto Nagel (che venerdì 5 ha raggiunto un accordo da 5 milioni come cessazione del rapporto di lavoro e patto di non concorrenza, al pari dell’ex dg Francesco Saverio Vinci).
Secondo alcuni esperti, resterebbe agli ex azionisti di Mediobanca la strada del risarcimento danni: ma devono provare che avrebbero avuto maggiore convenienza a ricevere denaro da investire in titoli diversi da Mps, la cosiddetta «cash alternative». Difficile, e comunque cause simili durano anni (come nel precedente di oltre vent’anni fa dell’opa obbligatoria imposta a Sai su Fondiaria).
Secondo un ex alto funzionario della Consob e altri esperti di diritto penale e di diritto finanziario consultati da MF-Milano Finanza, lo scenario più accreditato è che scattino le sanzioni pecuniarie nei confronti dei concertanti. Sulla carta può anche scattare la conseguenza più grave per Caltagirone e Delfin, ovvero l’imposizione di un’opa obbligatoria su Mps, di cui adesso controllano il 27% dopo aver scambiato le loro azioni Mediobanca con quelle di Siena (dove erano peraltro già azionisti).
Con in pancia Mediobanca, Mps vale oggi 23 miliardi. Se fosse questo il prezzo fissato dalla Consob, l’esborso teorico per arrivare al 100% sarebbe di circa 17 miliardi. Possibile? Un banchiere d’affari sorride: «Ammesso che questo accada, dovrebbero dimostrare di avere i soldi pronti per garantire il buon esito dell’operazione: ma dove la trovano una fideiussione bancaria da 17 miliardi di euro?»
Le cose peraltro non sono così semplici, ammesso che finora lo siano state. Ci sono altre variabili da considerare. Innanzitutto: bisognerà vedere se nell’ipotetico concerto su Mps la Consob inserirà anche Banco Bpm e Anima, e in teoria perfino il Tesoro, tutti e tre soci di Siena; ma è anche vero che tra le pieghe del Tuf ci sono vie d’uscita, per esempio quelle legate al momento degli acquisti rispetto a quello in cui viene fatto risalire il patto occulto, che farebbe evitare l’opa. Inoltre c’è da considerare che il 25% è stato superato per un fatto subìto, appunto il concambio. Quindi secondo alcuni esperti non è detto che di per sé l’essere andati oltre la soglia faccia scattare l’obbligo di opa.
Ma la cosa più rilevante è un’altra: come farebbero Caltagirone e Delfin a lanciare un’opa obbligatoria se non sono autorizzati dalla Bce a prendere il controllo di una banca? È proprio la Bce il vigilante che deve prendere decisioni importanti, forse più della stessa Consob, secondo gli esperti consultati da MF-Milano Finanza.
La Bce aveva autorizzato Delfin a salire fino al 20% in Mediobanca come investitore finanziario, quindi senza possibilità di incidere sulla governance della banca. Analogo via libera lo aveva dato a Delfin su Mps, e poi anche a Caltagirone. Se Bce riconoscesse un patto parasociale tra i due, quella soglia sarebbe stata superata prima in Mediobanca e poi in Mps.
La violazione del Tub (testo unico bancario) è una cosa seria e per sanzionarla la Vigilanza di Francoforte e la Banca d’Italia possono intervenire in più modi. Innanzitutto si possono congelare i diritti di voto in assemblea Mps per le azioni oltre la soglia autorizzata, che è il rimedio che anche la Consob può applicare. Ma oltre ai procedimenti sanzionatori sui singoli azionisti, ci potrebbero essere altri effetti rilevanti come la perdita del “fit and proper”, quindi la possibilità di salire sopra il 10% considerata congiuntamente tra Milleri e Caltagirone. In questo scenario ipotetico, la Bce potrebbe imporre anche la vendita del 17% di Montepaschi.
Ma la Bce deve anche considerare – continuano gli esperti consultati da MF-Milano Finanza – i temi di stabilità. Mettere sul mercato una tale massa di titoli senesi potrebbe far tracollare il titolo, oltre a privare l’azionariato di due punti fermi. Per questo tale ipotesi è considerata estrema. Possibile anche che venga mantenuto il via libera a salire al 20%, ma considerando il ticket Delfin-Caltagirone: in questo caso sarebbe congelato solo il 7% eccedente e a perderci sarebbe soprattutto la holding dei litigiosi eredi di Leonardo Del Vecchio. Viene invece considerata di scuola l’ipotesi che la Bce revochi a Mps l’autorizzazione a comprare Mediobanca.
Il fronte legale che assiste i tre indagati rivendica un elemento che è sotto gli occhi di tutti: non c’è nulla di segreto o occulto nell’interesse collimante di Caltagirone e Milleri per Mediobanca e Generali o nell’ostilità a Nagel. Lo sapevano tutti, a cominciare dalla autorità. E avrebbero dato il disco verde se avessero ravvisato un concerto, cioè un coordinamento per governare assieme? Il ragionamento fila, anche in una logica di prudenza come quella che sembra essere stata adottata per il momento dalle due vigilanze.
Molto dipenderà da quello che verrà fuori dal complesso delle intercettazioni e dall’analisi delle chat sequestrate. Ci vorranno mesi. Anche per questo è possibile che i vigilanti preferiscano attendere il dossier completo dalla procura milanese.
Nell’attesa dei responsi di authority e procura, i dossier industriali sembrano rallentare. Lovaglio ha in ballo il nuovo piano industriale di Montepaschi, che dovrebbe decidere se avviare l’integrazione di Mediobanca come indicato nelle carte dell’opas. È un passaggio che avrebbe l’effetto collaterale di diluire sotto il 25% la compagine Caltagirone-Delfin facendola così rientrare nel limite dell’opa, peraltro che si avvia ad essere elevato al 30% con la riforma del Tuf, che indirettamente sanerebbe così la posizione dei due.
Un’operazione su Mediobanca favorirebbe i soci rimasti in Piazzetta Cuccia? Dipenderà dai concambi. Ma Lovaglio punterà a una proposta market friendly, pur tenendo conto che una diluizione eccessiva peserebbe sui soci di Mps.
Montepaschi deve poi rinnovare il board in primavera. Ma né Caltagirone né Delfin possono presentare liste di maggioranza. La conseguenza è che Mps dovrà affidarsi alla lista del board, quella che Caltagirone ha osteggiato pubblicamente un anno fa.
Contemporaneamente, Generali deve riprendere il dossier della gestione del risparmio dopo l’imminente abbandono del dossier Natixis, salvo sorprese. E la triade Mps-Delfin-Caltagirone, che insieme hanno quasi il 30%, sarà guardata con la lente d’ingrandimento. In particolare sugli ipotizzati cambi alla governance come l’uscita anticipata del ceo Philippe Donnet.
Le fila le tira un avvocato d’affari: «Per certi versi i buoi sono scappati. E non li rimetti nella stalla senza creare un disastro». (riproduzione riservata)