Missili, navi e droni: così l’Italia ha costruito la sua economia militare
Missili, navi e droni: così l’Italia ha costruito la sua economia militare
Nel 2024 l’Italia ha esportato armi per 7,69 miliardi. Indonesia, Francia e Nigeria i primi tre destinatari. L’Ucraina scende all’11° posto. In crescita le transazioni bancarie legate a operazioni militari: i flussi movimentati hanno superato i 12 miliardi lo scorso anno

di Anna Di Rocco 18/07/2025 21:30

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L’Europa si prepara al riarmo strutturale, tra posizioni divergenti e tensioni tra alleati. E mentre a Bruxelles si discute, l’Italia ha già costruito una sua economia militare: nel solo 2024, le autorizzazioni per movimentazioni di materiali d’armamento hanno raggiunto un valore complessivo di 8,4 miliardi di euro. Di questa cifra, secondo l’ultima relazione parlamentare sul tema, 7,69 miliardi sono stati destinati all’esportazione verso clienti stranieri, mentre il restante, poco meno di 744 milioni, ha riguardato le importazioni.

Dati in crescita, soprattutto per le aziende italiane che, nel 2024 hanno esportato armamenti per un valore di 6,5 miliardi con un incremento del 35% rispetto all’anno precedente. Cifra a cui bisogna sommare i 1,2 miliardi relativi alla vendita delle «licenze globali di progetto» o di «trasferimento» che riguardano, appunto, progetti congiunti con alleati.

A chi vende armi l’Italia

Un solo Paese è risultato destinatario di autorizzazioni per un valore complessivo superiore al miliardo: l’Indonesia. Cifra riconducibile al contratto firmato a marzi dal ministero della Difesa indonesiano e Fincantieri per la fornitura di due pattugliatori polivalenti di altura (Ppa).  Le navi oggetto dell’ordine erano originariamente destinate alla Marina Militare italiana e sono in costruzione presso il cantiere integrato di Riva Trigoso e Muggiano, in Liguria.

Ma la lista dei Paesi a cui l’Italia vende armamenti è lunga. A completare il podio ci sono la Francia, con acquisti per 591 milioni e la Nigeria che, con 480 milioni di licenze, è una sorpresa nella classifica del 2024: l’anno precedente gli acquisti erano pari a 93,2 milioni. Scende invece all’undicesimo posto l’Ucraina: che nel 2023 occupava il 2° posto. Lo scorso anno Kiev ha acquistato dall’Italia materiali d’armamento per 222,1 milioni, in calo rispetto ai 417,3 milioni dell’anno precedente. Cifra comunque record (riconducibile all’invasione subita dalla Russa) dal momento che nel 2022 sono state siglate licenze per 3,8 milioni.

I protagonisti della macchina bellica

Leonardo è stata l’azienda che ha esportato più armamenti. Con un valore di 1,7 miliardi, le esportazioni della società guidata da Roberto Cingolani rappresentano il 27,7% del totale. Segue Fincantieri che, con 1,4 miliardi, copre il 22,6%. Al terzo e quarto posto Rheinmetall Italia (6,60%) e Mbda Italia (6,25%). Da soli rappresentano circa il 63,14% del valore monetario degli scambi. Completano la classifica Naviris, Avio, So.Ma.Ci.S e la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta.

Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi di Mediobanca le prime 100 imprese industriali italiane della difesa hanno generato nel 2023 un fatturato aggregato di oltre 40 miliardi di euro, con una quota militare pari al 49%. Il settore occupa oltre 54 mila addetti diretti e oltre 180.000 tra indiretti e indotto, rappresentando una delle filiere più tecnologicamente avanzate dell’economia italiana.

E i protagonisti della macchina bellica nazionale sono anche gli attori principali dell’export: Rheinmetall Italia (sistemi radar, contraerea), Mbda Italia (missili e sistemi d’arma guidati), Naviris (difesa navale), Avio (propulsione spaziale), So.Ma.Ci.S. (componentistica elettronica), Knds Ammo Italy (munizionamento pesante), Elettronica (guerra elettronica), M.E.S. (meccanica ed engineering), Martec (componenti navali) e Iveco Defence Vehicles (attiva nella produzione di veicoli blindati).

Tutte insieme contribuiscono a formare un ecosistema industriale che si estende dalla Lombardia (con il polo bresciano della meccanica armiera) al Friuli-Venezia Giulia (con cantieri e subfornitori navali), passando per la Liguria (navale militare), il Lazio (elettronica e droni) e l’Emilia-Romagna (meccanica e subcomponentistica).

Bombe, siluri, razzi e missili: ecco cosa esportiamo

Ma cosa vendono agli altri Paesi le aziende italiane? La principale voce di esportazione per il 2024 è stata quella degli aerei, con un valore pari a 1,27 miliardi, seguiti dalle navi da guerra con 1,26 miliardi. Sotto il miliardo troviamo bombe, siluri, razzi e missili (825 milioni), apparecchiature elettroniche (697 milioni), armi di calibro superiore a 12,7 millimetri (661 milioni), tecnologia per la produzione (461 milioni), munizioni (433 milioni), veicoli terrestri (303 milioni) e armi di calibro inferiore a 12,7 millimetri (205 milioni).

Più in generale dalla Relazione emerge che l’81,3% degli armamenti esportati è legato alla categoria dei «materiali», il 12% alle «tecnologie», il 3,4% ai «servizi» e il 3,3% ai «ricambi». Nei dati 2024, si legge nella relazione «non compare Israele, in quanto le caratteristiche dell’intervento israeliano su Gaza hanno indotto l’Autorità nazionale Uama a non concedere nuove autorizzazioni all’export a mente della legge n. 185/19».

Da chi compriamo le armi?

Ciononostante l’Italia, da Israele, continua ad acquistare. Il che rende la classifica dei Paesi da cui il governo Meloni compra armamenti più complessa sotto il profilo geopolitico. Nel 2024 l’Italia ha importato armamenti per circa 743 milioni, un valore in calo rispetto ai 1,2 miliardi del 2023. Il 24,7% delle importazioni proviene dagli Stati Uniti d’America (con acquisti per 184 milioni), il 20,8% da Israele, il 15% dalla Svizzera e l’11,6% dal Regno Unito e dall’India. I restanti, messi tutti assieme, non arrivano al 10% sul totale.

L’Italia ha acquistato di tutto tranne che tecnologia. Il 93,8% delle importazioni di armamenti ha riguardato i «materiali», il 3,5% i «servizi» e il 2,7% «ricambi». Entrando nel dettaglio, secondo la relazione, l’esecutivo di centrodestra ha autorizzato acquisti dal valore di 340 milioni per importare munizioni, bombe, siluri e razzi, 84 milioni per le apparecchiature elettroniche e 76 milioni per le armi con calibro superiore ai 12,7 millimetri.

Il ruolo delle banche: movimentati flussi per oltre 12 miliardi

L’export militare italiano non si regge soltanto sulla forza industriale, ma anche su un robusto sistema finanziario che consente, garantisce e accompagna ogni transazione. Nel 2024, secondo la relazione, gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari operanti in Italia hanno effettuato oltre 21.500 comunicazioni per operazioni di esportazione, importazione o transito di materiali di armamento. In totale, i flussi movimentati hanno superato i 12 miliardi di euro, in lieve aumento rispetto all’anno precedente.

Tre le grandi banche protagoniste: Intesa Sanpaolo, Unicredit e Deutsche Bank, che da sole hanno gestito il 68,7% delle transazioni per introiti da esportazioni definitive e l’83,8% delle garanzie e dei finanziamenti concessi nel 2024. Una quota crescente di queste operazioni, pari a 1,6 miliardi, è legata a programmi di cooperazione intergovernativa e a licenze globali di programma (+25% sul 2023).

A queste si aggiungono i fondi movimentati sulla base dell’art. 27 bis della legge 185/90, relativi a operazioni finanziarie di particolare rilevanza: 10 comunicazioni per un totale di oltre 72 milioni. Il commercio di armi non è più solo una questione industriale o geopolitica: è una struttura economica che attraversa governi e territori. Un sistema rodato, in crescita, che si muove sotto traccia e muove miliardi. Ma appare ancora difficile distinguere dove finisca la produzione e dove cominci la strategia militare di questo governo. (riproduzione riservata)