Lo stop all’anticipo delle pensioni arriva direttamente dal governo. Il vertice di maggioranza a Palazzo Chigi convocato d’urgenza con i ministri Antonio Tajani e Matteo Salvini dalla premier Giorgia Meloni di rientro da Bruxelles ha dato i suoi frutti. Anche se non mancano sorprese. Nel maxi emendamento depositato dall’esecutivo sabato 20 in commissione Bilancio al Senato salta la possibilità di andare in pensione di vecchiaia cumulando i fondi di previdenza complementare.
«Si tratta di una norma introdotta l’anno scorso, dal nostro governo, che pare non interessasse a nessuno», ha spiegato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ai cronisti presenti al Senato. «A me dispiace ma evidentemente non è stata ritenuta strategica». La mossa vale risparmi fino a 130 milioni annui a regime e si inserisce in una manovra ancora in bilico, con i lavori in commissione in ritardo e l’ipotesi di uno slittamento dell’approdo in Aula.
«È la 29esima legge di Bilancio che faccio so perfettamente come funziona e so che (i disaccordi, ndr) sono cose naturali. C’è un Parlamento, ci sono le commissioni e ci sono le proposte del governo: alla fine a me interessa il prodotto finale non quello che presento io. Naturalmente crediamo di aver fatto delle cose giuste, pensiamo di lavorare bene nell'interesse di tutti gli italiani e i risultati vanno in questa direzione. Però adesso tocca al Parlamento», ha aggiunto il titolare del Mef che, scherzando, ha detto ai cronisti che dimettersi «sarebbe la cosa più bella da fare: ci penso tutte le mattine».
Il nuovo emendamento elimina la possibilità di andare in pensione di vecchiaia anticipatamente cumulando gli importi di forme pensionistiche di previdenza complementare. Sopprimendo una norma introdotta dalla legge di bilancio dello scorso anno, l’esecutivo Meloni è in grado di ottenere risparmi annuali fino a 130,8 milioni nel 2035 sulla spesa pensionistica nei prossimi anni.
Il testo fa saltare la possibilità, in vigore dal 2025, di computare, su richiesta, anche il valore di una o più rendite di forme pensionistiche di previdenza complementare ai soli fini del raggiungimento degli importi mensili richiesti per accedere alla pensione di vecchiaia con almeno 20 anni di contributi e se si è pienamente nel regime contributivo.
La proposta dell’esecutivo contiene interventi in materia di Tfr e adesione alla previsione complementare. Su quest’ultimo fronte il testo introduce, a decorrere dal 1° luglio 2026, un meccanismo di adesione automatica alla previdenza complementare, con facoltà di rinuncia entro 60 giorni, per i lavoratori dipendenti del settore privato di prima assunzione.
Torna anche la misura per l’ampliamento dei soggetti tenuti al versamento del Tfr al Fondo Inps per l’erogazione del contributo. Secondo quanto si legge nella relazione tecnica, si prevede che dal 1°gennaio 2026 vi rientrino «anche i datori di lavoro che, negli anni successivi a quello di avvio dell’attività, hanno raggiunto o raggiungano la soglia dimensionale dei 50 dipendenti». In via transitoria è, però, previsto per il biennio 2026-2027 che tale inclusione sia limitata ai datori di lavoro con un numero di dipendenti non inferiore a 60. L’estensione dell’obbligo del versamento scatterà a partire dal 2032 per le aziende con un numero di dipendenti non inferiore a 40.
Sul fronte aziendale, il maxi emendamento prevede l’istituzione «nello stato di previsione del ministero dell’Economia e delle Finanze un fondo con dotazione di 1,3 miliardi di euro per il 2026, da ripartirsi a fini di incremento delle dotazioni di misure a favore delle imprese», prevedendo che le relative risorse possono essere assegnate (limitatamente agli investimenti effettuati prima del 31 dicembre 2025) all’incremento dei limiti di spesa previsti per il credito di imposta da usufruire esclusivamente in compensazione presentando il modello F24 nel corso del 2026.
Tornano, inoltre, le misure per gli investimenti nella Zes unica, nuove risorse per il Piano casa (con un ammontare di 200 milioni di euro nel biennio 2026-2027) e, tra le altre cose, si autorizza una spesa complessiva di 350 milioni di euro (200 milioni nel 2026 e 150 milioni nel 2027) per interventi normativi in materia di mobilità. A Palazzo Madama, comunque, sono già un giorno in ritardo. L’obiettivo era infatti quello di chiudere venerdì 19 per portare il testo in Aula lunedì 22.
Ma i lavori non sono ancora terminati e nessuno esclude lo slittamento dell’approdo del testo in Aula: i senatori di maggioranza sarebbero stati già avvisati dell’ipotesi che occorra lavorare anche il 23 notte o arrivare al 24 mattina. L’esame in commissione Bilancio riprende alle 10 di sabato 20 con l’obiettivo di arrivare al mandato ai relatori in giornata: presente a sorpresa il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. (riproduzione riservata)