«La Banca Centrale Europea ha recentemente ridotto i tassi di interesse, portando a cambiamenti in tutto il settore bancario: di conseguenza, il tasso del tuo conto deposito senza vincoli sarà adeguato (dal 2%, ndr) all’1,5% annuo». Milioni di italiani stanno ricevendo nelle ultime settimane mail di questo tipo, in cui la loro banca comunica che, a fronte dei tagli ai tassi d’interesse decretati da Francoforte, la remunerazione dei loro depositi è stata ridotta.
Nulla di anomalo, certo: se il costo del denaro scende, è normale che a esserne impattati siano in primo luogo tutti gli strumenti finanziari pensati proprio per l’impiego della liquidità, che dal 2022 in avanti - l’era dei tassi di interesse elevati - avevano abituato i risparmiatori alla possibilità di parcheggiare il loro denaro a basso rischio e alto rendimento, seppur con un’inflazione ben più sfidante rispetto a quella attuale.
Basta un semplice confronto tra la rilevazione che MF-Milano Finanza aveva condotto su conti deposito, Etf monetari e titoli di Stato appena due mesi fa (il taglio Bce è arrivato a metà giugno) per notare come nel mondo della liquidità remunerata sembri passata un’era geologica.
I conti deposito sono la cartina tornasole più evidente: se fino a maggio si potevano ancora trovare offerte sui conti vincolati fino al 3,5% o comunque sopra il 3%, anche per le soluzioni svincolabili, adesso le migliori offerte sul mercato - comparate tramite il simulatore di Segugio.it - si muovono intorno a una media del 2,5% per i conti senza vincolo e intorno a 2,7%-2,8% per quelle vincolate. Non mancano le eccezioni: al netto delle ultime vicissitudini in cui è incappata, ad esempio, Banca Progetto propone ancora un conto vincolato al 3,25%. Se si depositano 20 mila euro oggi con un vincolo a un anno si riceveranno 441 euro netti (tasso del 2,41% dopo la tassazione al 26%, meno l’imposta di bollo di 40 euro), liquidati trimestralmente.
Sul fronte dei conti svincolati invece le offerte più ghiotte le propongono oggi le challenger bank e i broker di investimento regolamentati. L’opzione di interesse sulla liquidità di Scalable Capital, piattaforma tedesca guidata in Italia dal banker ex Goldman Sachs Alessandro Saldutti, ha attualmente un tasso loro del 2,98% che, su un deposito di 20 mila euro e al netto di tassazione e imposta di bollo, restituirebbe tra un anno un guadagno di 404 euro.
Al pari di Scalable, nella rosa dei conti deposito svincolabili a tasso più elevato oggi si sono Revolut, Klarna (fintech svedese del buy-now-pay-later) e la neobank tedesca Trade Republic. A fianco a loro compare anche Ing, la banca olandese divenuta celebre in Italia per il suo prodotto più iconico, il Conto Arancio, ancora oggi in offerta promozionale al 3,5% per sei mesi (a maggio la promozione era ancora del 4% per 12 mesi).
È in questo contesto di rendimenti sui depositi in calo per adattarsi ai nuovi tassi Bce che sul mercato è tornato un prodotto che ha scompaginato tutte le carte in tavola e ha fatto molto parlare di sé: il Buono 100 di Poste Italiane, nuovo buono fruttifero con tasso lordo del 3% per quattro anni, che verranno corrisposti interamente alla scadenza ma solo a chi nel frattempo non avrà chiesto lo svincolo. Il prodotto di Poste ha l’indiscusso vantaggio della tassazione agevolata: essendo emessi da Cassa Depositi e Prestiti, infatti, i buoni fruttiferi godono di tassazione agevolata al 12,5%, in quanto vengono equiparati a titoli di Stato.
In sostanza, il Buono 100 può essere considerato come un conto deposito vincolato a quattro anni, che a scadenza offre il 12% al lordo della tassazione. Una simulazione fatta dal sito di Poste, che ipotizza un versamento iniziale di 20 mila euro, mostra come al termine del vincolo il risparmiatore avrà indietro (netti) 22.196,41 euro. Nessun altro prodotto comparabile offre rendimenti netti così elevati.
Ovviamente, il Buono 100 di Poste ha un grande limite: il vincolo di quattro anni non è cortissimo, e se per qualsiasi ragione il denaro servisse prima si rinuncerebbe in automatico a tutti gli interessi maturati fino a quel momento.
Ragion per cui un’opzione di questo tipo, sebbene intrigante dal punto di vista del guadagno finale (e considerando anche il rischio particolarmente contenuto) non è troppo indicata per un risparmiatore che, per qualsiasi ragione, dovesse aver bisogno di ritirare il suo denaro in anticipo rispetto alla scadenza.
Per chi invece avesse una necessità di questo tipo (ad esempio, un risparmiatore che deve costruire il suo fondo di emergenza) le alternative sul mercato sono due. Da una parte i conti deposito svincolabili. Dall’altra gli Etf monetari - o obbligazionari a brevissima scadenza - che, rispetto a un conto deposito, hanno tassazioni variabili ma tendenzialmente più vicine al 12,5% che non al 26%, perché gran parte dei sottostanti di questi strumenti di risparmio gestito è costituita da titoli di Stato.
A differenza dei conti deposito, i cui tassi dipendono dalle decisioni delle singole banche, gli Etf monetari recepiscono praticamente in tempo reale le mosse di politica monetaria della Bce. Ad esempio il più grande comparto di questa tipologia, Xtrackers II Eur Overnight Rate Swap 1C - meglio conosciuto come Xeon -, Etf da oltre 16,5 miliardi di masse, replica la performance di un deposito con il tasso di remunerazione Euro short term più un aggiustamento di 8,5 punti base.
Attualmente il tasso di riferimento (noto anche con l’acronimo Ester) è dell’1,921%. Sommati gli 8,5 punti si arriva a un tasso lordo del 2,006%. Alla rilevazione di metà maggio il tasso di questo comparto era del 2,257%.
L’indiscusso vantaggio di questi strumenti, oltre alla tassazione tendenzialmente agevolata, è la flessibilità: gli Etf monetari sono facili da disinvestire laddove ci fosse bisogno in tempi rapidi della liquidità, per un’esigenza concreta o perché si vuole spostare il denaro verso altre opportunità d’investimento.
Interessante in tal senso è la dinamica fotografata da Assoreti, l’associazione di categoria delle reti di consulenza finanziaria presieduta da Massimo Doris, relativa al mese di maggio. A fronte di una raccolta complessiva positiva per 4,4 miliardi di euro, il risparmio gestito ha portato da solo 3,3 miliardi e l’amministrato il resto, ma con alcune dinamiche peculiari: dopo mesi di afflussi particolarmente corposi infatti i titoli di Stato (inclusi i Btp) hanno dovuto fare i conti con riscatti per oltre un miliardo. Mentre sulla liquidità pura sono confluiti poco meno di 1,4 miliardi.
Dinamica curiosa: i dati di maggio non recepiscono infatti il collocamento dell’ultimo Btp Italia, che ha visto una partecipazione importante anche di clienti facoltosi con più di 160 ordini oltre il milione di euro. Sarà ora interessante verificare, con i dati di giugno, se i clienti delle reti hanno costruito il loro tesoretto di cash per poi investirlo nel nuovo titolo di Stato indicizzato all’inflazione, o se hanno iniziato - come peraltro ipotizza la stessa associazione di categoria - una dinamica di transizione dagli strumenti amministrati (Btp in primis) a quelli gestiti, passando per una fisiologica fase di accumulo di una parte liquida.
Un’ulteriore alternativa a conti deposito ed Etf monetari per gli investimenti in liquidità è quella dei titoli di Stato. Che, oltre alla tassazione agevolata, hanno anche un ulteriore vantaggio rispetto ai fondi di investimento strutturati: costi di negoziazione più bassi (anche se le commissioni degli Etf sono in genere piuttosto contenute, nell’ordine dello 0,1%).
Se dopo il taglio della Bce i rendimenti dei Btp erano subito scesi in modo importante, nell’ultimo mese si è assistito a una lieve dinamica di deprezzamento (quando il prezzo scende il rendimento sale e viceversa) che ha portato a un rialzo della curva dei titoli di Stato tricolore.
Il decennale, ad esempio, è passato dal 3,4% al 3,6% attuale, il biennale dal 2% al 2,15%, il cinque anni dal 2,66% al 2,78%. In tutto ciò lo spread, differenziale tra il rendimento del Btp decennale e del Bund tedesco di pari durata, è sceso sotto la soglia - anche psicologica - dei 90 punti base, con alcune primarie case di gestione (come Vanguard) che lo vedono in ulteriore discesa fino a 80 punti.
Vero è, d’altro canto, che anche per i titoli di Stato è difficile trovare ancora i ricchi rendimenti che si avevano con i tassi Bce elevati, e che li avevano portati a essere per anni la primissima scelta degli italiani, anche di quelli serviti dai consulenti.
La tabella in basso, elaborata da Skipper Informatica, elenca tutti i Btp a tasso fisso disponibili sul mercato secondario per investitori individuali, ordinati per rendimento a scadenza lordo.
Per andare a cercare ancora opportunità interessanti è stato scelto di allargare il campo d’azione fino ad arrivare a cinque anni di scadenza. Non si tratta di un investimento di liquidità puro, certo: può però essere una valida soluzione intermedia, ad esempio per chi sapesse già di dover sostenere una spesa impegnativa (come l’acconto per un’abitazione) dopo un certo periodo di tempo e intanto volesse fermare il suo denaro in un Btp per garantirsi cedole periodiche ed eventuale plusvalenza (se l’acquisto del titolo viene fatto sotto la pari).
Un’ulteriore prospettiva è quella di andare a cercare titoli di Stato che prezzino sotto la pari, e aprirsi così due opportunità: incassare cedole e rimborso alla pari a scadenza, oppure approfittare di eventuali rialzi dei prezzi per portare a casa la plusvalenza, nel caso si dovesse per qualsiasi ragione vendere il bond in anticipo.
Allo stato attuale, secondo i calcoli di Skipper, il rendimento effettivo lordo a scadenza più elevato, pari al 2,8%, lo si avrebbe con un Btp in scadenza nel novembre 2030, che ha una cedola particolarmente elevata (4%) ma prezza sopra la pari, a 106.
Questo significa che, se portato alla scadenza, un titolo di questo tipo genera una minusvalenza, che può però essere usata nello zainetto fiscale per compensare plusvalenze future generate da altri strumenti finanziari. Il rendimento a scadenza netto è però inferiore al 2,3%, e questo perché su ogni singola cedola incassata bisogna pagare la tassazione al 12,5%.
A livello fiscale (e di riflesso di rendimento netto) ci sono però titoli di Stato più interessanti: ad esempio un Btp in scadenza nel dicembre 2030, che prezza 94,5 e ha una cedola piuttosto bassa, pari all’1,65%. Se portato a scadenza, la somma di cedole e plusvalenza finale genererebbe un rendimento a scadenza lordo annuo del 2,768% che, al netto dell’imposizione fiscale (più bassa visto l’importo minore delle cedole) sarebbe pari al 2,547%. (riproduzione riservata)