Le regole del giornalismo sono ancora quelle del Washington Post, ma un’inchiesta Watergate è ancora possibile nell’era Trump?
Le regole del giornalismo sono ancora quelle del Washington Post, ma un’inchiesta Watergate è ancora possibile nell’era Trump?
L’inchiesta leggendaria che ha portato alle dimissioni del presidente Richard Nixon (a cui si è ispirato il film Tutti gli uomini del presidente con Robert Redford) e il ruolo del giornalismo oggi. Il testo è tratto della Lectio alla Spes Academy Carlo Azeglio Ciampi

di Roberto Sommella   13/03/2025 19:30

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Cinque uomini, uno dei quali ha dichiarato di essere un ex dipendente della Cia, sono stati arrestati alle 2:30 del mattino durante quello che le autorità hanno definito un elaborato complotto per installare microspie negli uffici del Comitato nazionale dei Democratici, a Washington.

Così cominciava il primo articolo del Washington Post sul caso Watergate. Carl Bernstein e Bob Woodward in poche righe non solo rispettavano le regole deontologiche della professione - chi, dove, perché - ma anticipavano quello che sarebbe stato uno dei più grandi scandali della storia americana, lo spionaggio di una parte politica al potere sull’altra che era all’opposizione.

Quell’inchiesta leggendaria del 1972, che portò alle dimissioni del presidente Richard Nixon, fu possibile grazie all’esercizio della libertà di stampa, cardine di ogni democrazia. Senza di esso non sarebbe arrivata in fondo e l’editore del giornale sarebbe stato costretto a chinare il capo di fronte al potere.

Oggi è cambiato tutto, non siamo più negli anni Settanta, quando si fumava nei cinema dove venivano proiettati film leggendari come Tutti gli uomini del presidente (interpretato magistralmente da Robert Redford, deceduto il 16 settembre 2025 all’età di 89 anni), Serpico e il Padrino, eppure la stampa, con tutte le difficoltà che affronta, resta in auge: ha ancora un futuro? Proviamo a rispondere, cambiando il punto di osservazione e spostandoci sul lettore.

Domanda e offerta di informazione non si incrociano più come un tempo e lo fanno con modalità diversa, perché le persone desiderano comunque essere informate, anche se non spengono mai il telefonino.

Da tempo quasi un quarto della popolazione americana non legge libri. Un terzo della popolazione adulta tedesca legge un libro meno di una volta al mese. I più recenti sondaggi dell’Ocse mostrano un forte declino della lettura per il tempo libero, con circa un terzo degli studenti che dichiarano di non leggere o leggere molto raramente. Generalmente, il 49% degli studenti intervistati ha detto che legge solo se di fatto obbligato a farlo, 13 punti percentuali in più rispetto al 2000. La disaffezione alla lettura non è solo un fenomeno editoriale né rappresenta il semplice conto da pagare all’avvento della tecnologia digitale.

È un cambiamento mentale, scaturito, come ha anticipato con il suo bellissimo libro Susan Greenfield, dall’utilizzo smodato dei social e della lettura monodimensionale che ne consegue.

La lettura distratta genera una ancor più ampia distrazione nei rapporti sociali e nel controllo che ogni società, ogni individuo che la compone, devono avere su chi li amministra, sulle aziende che ne decidono i gusti e i consumi, sulle autocrazie che vogliono imporre con la forza e le guerre il loro punto di vista. Senza una lettura attenta dei fatti non esiste una democrazia sana, compiuta. In fondo, non si scrive correttamente la cronaca e si dimentica la storia.

La distrazione di massa

Questa distrazione di massa ci porta a non essere nemmeno in grado di valutare quando una legge sia fatta per il bene comune o per il desiderio di pochi, perché non abbiamo il tempo di approfondire cosa nascondono e come sono composte leggi e regolamenti, così come fatichiamo a discernere tra vero, virtuale e verosimile da quando nel giugno del 2020 le fake news in rete hanno superato le notizie vere.

Non basta approfondire, come pur si deve fare, il rapporto tra giornalismo e meccanismi di divulgazione digitale, occorre ripartire dalle basi della scrittura, come insegna l’esperienza del New York Times, unico grande giornale ad essersi opposto ad accordi con Open Ai improntando una causa a ChatGpt affinché venga stabilito da un giudice quali sono i confini dell’intelligenza artificiale e quali quelli dell’editore.

Per questo è sicuramente da segnalare e fa ben sperare una ricerca denominata Il Manifesto di Lubiana, condotta da alcuni studiosi universitari interessati a spiegare «perché la lettura di un più alto livello è importante».

Nella ricerca si legge un’analisi della situazione piuttosto lucida che voglio qui in parte condividere con i lettori perché la considero essenziale per capire il momento che stiamo vivendo.

Le società stanno affrontando trasformazioni fondamentali, poiché le tecnologie digitali stanno cambiando il modo in cui viviamo, interagiamo, lavoriamo, studiamo e leggiamo. L'impatto sociale e culturale del processo di digitalizzazione sulle capacità di lettura resta poco studiato.

Mentre le tecnologie digitali offrono molto potenziale per nuove forme di lettura, recenti ricerche empiriche dimostrano che l'ambiente digitale sta avendo un impatto negativo sulla lettura, in particolare sulla forma lunga e sulla comprensione della lettura, che comporta un declino delle competenze.

La politica, nel frattempo, si basa invece fortemente sul collaudo standardizzato monoculturale delle capacità di lettura di base su un uso sempre più diffuso delle tecnologie digitali. La lettura, l'istruzione, la valutazione, la ricerca e la definizione di politiche dovrebbero invece concentrarsi maggiormente sulle pratiche di lettura di livello superiore sia negli adulti che nei bambini, conclude il Manifesto di Lubiana.

Leggere per elaborare il pensiero, scrivere per esprimersi, conoscere per deliberare. In questa evoluzione l’informazione si innesta per formare il pensiero critico, preservare la libertà di stampa, infine proteggere la democrazia.

Agire su tre fronti

Occorrono azioni su tre fronti per preservare questo bene primario. Il primo è quello di dotare l’Italia di una legge sull’editoria che garantisca il pluralismo dell’informazione, che definisce di per sé il tasso di democrazia di un Paese, reperendo le risorse che servono all’esercizio di tale diritto sancito dalla Costituzione e tutelando coloro che operano nel settore e sopportano i costi e le difficoltà crescenti del momento.

In secondo luogo, dal punto di vista del mercato, grazie alle leggi antitrust vigenti, va assicurato che la forza monopolista delle grandi piattaforme digitali non si riverberi nell’utilizzo e nella applicazione dei sistemi di intelligenza artificiale nel comparto editoriale come in tanti altri settori, dal credito alla politica.

In terzo luogo, l’Italia deve dotarsi di una avanzata legge sulla AI, come il Comitato di cui faccio parte ha proposto, che tuteli sia l’occupazione nei settori in cui verrà applicata che la formazione di nuove professioni umane, garantendo, per quanto riguarda l’editoria, il rispetto del diritto d’autore.

«Non c’è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell’informazione», scrisse il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in un messaggio al parlamento, per sottolineare il valore imprescindibile di un’informazione libera e indipendente come pilastro della democrazia.

Questo obiettivo deve essere la stella polare della nostra attività, come di ogni soggetto politico e istituzionale, e in fondo lo era anche per i due giovani giornalisti del Washington Post. Anche oggi i loro articoli sarebbero pubblicati? A questa domanda dobbiamo rispondere tutti. (riproduzione riservata)