Il cuore di Wall Street batte ancora per le big tech, ma la testa inizia a guardare altrove. Mentre l’intelligenza artificiale domina i listini, le small e mid cap americane tornano a offrire valore e prospettive di crescita.
Negli ultimi anni l’attenzione degli investitori si è concentrata sulle grandi società tecnologiche americane, protagoniste dell’espansione dell’intelligenza artificiale e motore principale dei rialzi dell’S&P 500.
Il risultato è una forte polarizzazione del mercato: circa il 40% dell’indice è rappresentato da otto titoli (Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon, Meta, Broadcom e Tesla), tutti appartenenti al settore tech. Questa concentrazione, ai massimi dagli anni Ottanta, ripropone dinamiche già viste all’epoca della bolla dot-com e solleva interrogativi sulla sostenibilità di un simile equilibrio.
In questo contesto, il comparto delle small e mid cap statunitensi si presenta come una possibile alternativa. Molte di queste società scambiano con valutazioni vicine ai minimi degli ultimi vent’anni, al contrario delle large cap.
Una situazione ben sintetizzata da Matt Mahon, portfolio manager del T. Rowe Price US Smaller Companies Equity Fund, secondo cui «le aziende di piccola e media dimensione rappresentano circa il 70% delle società quotate negli Stati Uniti ma solo il 20% della capitalizzazione complessiva, e sono spesso ignorate nonostante fondamentali solidi e buone prospettive di crescita».
Mahon sottolinea anche un altro aspetto: a differenza dell’S&P 500, fortemente orientato al settore tecnologico, le small cap hanno una composizione più bilanciata, con un peso rilevante di industria, energia, materiali e sanità. Settori che storicamente hanno performace migliori in una fase con inflazione moderata o a rialzo e politiche fiscali espansive.
Le società di minori dimensioni non sono sinonimo di rischio eccessivo. Molte hanno modelli di business stabili e posizioni competitive consolidate nel proprio mercato di riferimento.
In quest’ottica Mahon mette in evidenza alcuni titoli promettenti, come l’assicurazione sanitaria Molina Healthcare, che sta aumentando le proprie quote di mercato grazie a una gestione efficiente dei costi, Teledyne Technologies, attiva nell’imaging digitale e nella difesa, e International Paper, che beneficia del consolidamento industriale e della capacità di alzare i prezzi senza perdere quote di mercato.
Secondo i dati di FactSet, l’indice delle società a piccola e media capitalizzazione Russell 2500 ha registrato un rendimento del 9,91% nell’ultimo anno.
Al suo interno il decile con il beta più elevato, cioè le società che hanno una volatilità maggiore rispetto al mercato, è salito del 63,36%. Una dinamica che riflette una componente speculativa crescente, ma che storicamente ha preceduto periodi di recupero per le società con i bilanci più solidi.
Il confronto con i decenni passati suggerisce che, su orizzonti temporali lunghi, le small e mid cap hanno spesso sovraperformato le large cap, soprattutto nelle fasi di rotazione del mercato successive a un forte rialzo delle quotazione delle società più grandi. Insomma, dopo un lungo ciclo di leadership incontrastata per le big tech, il rapporto tra rischio e rendimento torna a giocare a favore delle aziende di dimensioni più contenute.
Il possibile attenuarsi della spinta tecnologica, con l’intelligenza artificiale che potrebbe rallentare la sua corsa o mostrare un impatto sulla produttività inferiore alle rosee aspettative oggi scontate dal mercato, e la prospettiva di tassi d’interesse in graduale discesa offrono un contesto favorevole per una salita dei titoli a media e bassa capitalizzazione. «Per gli investitori pazienti, con un orizzonte pluriennale, le small cap non rappresentano una scommessa contro il mercato attuale, ma una strategia razionale e diversificata», conclude Mahon. (riproduzione riservata)